S’arriva nello slargo gigantesco della stazione centrale di Milano, con le nuove aiuole che dovrebbero impedire i gioiosi colpi secchi degli skate. La popolazione solita – che si cerca in ogni modo da anni di spazzare via – sta sparsa qui e là, più concentrata verso via Vitruvio (la strada così così che porta Al corso Buenos Aires dello shopping facile dei piccoli borghesi e dei proletariato teenager della città). Da una parte, guardando la Centrale, oltre la mesta mela di Pistoletto, si intravede avanzare l’opera metodica di bonifica della zona.

Apertura del lisergico Mercato Centrale compresa (due tunnel uno sopra l’altro lunghi chilometri, nella percezione, con delizie geolocali ad alto prezzo ovunque). Dall’altro lato della stazione è impossibile non sbirciare i bus che portano alle mille destinazioni di Orio al Serio/Bergamo ma soprattutto arrivano in città.

Si fermano i pullman in arrivo dall’Ucraina. Si sente la guerra, forse per la prima volta, la guerra accanto. La benzina e il gas già sono carissimi. Si sente la povertà che presto ci toccherà da vicino. Siamo dentro e intorno – proprio nel posto dove di solito stanno gli ormai rarefatti pusher – a una strana installazione di poster montati su strutture di metallo e sabbia, per tenerli dritti.

È un’altra puntata di Hyperlocal, il lavoro di scandaglio sui singoli quartieri di Milano che Zero Edizioni – da oltre vent’anni un giornalino tascabile, da un po’ un sito di alta informazione sul divertimento anche culturale – sta facendo dentro la realtà di questa città, e tra breve a Roma.

Ha trasformato il giornale da sfogliabile a passeggiabile, diciamo: un chilometro di affissioni che raccontano le figure centrali under 35 dei vari quartieri ritratte da fotografi ventenni e illustrate da grafici sempre ventenni, che abitano tutti proprio in quel quartiere. La redazione di Zero è fatta da under 30.

Ne viene fuori una città mai vista, e nella quale la micro imprenditorialità per esempio musicale e quella dello stile vivono con naturalezza, interagendo a tratti (come precariato ben pagato) con il centro del mercato, ma per la maggior parte del tempo facendosi la propria vita.

Acceleratore di futuro

Tra antropologia sul campo, sociologia partecipativa (alla Ferrarotti vecchia maniera), reale curiosità e accurato lavoro di scouting mai fatto da nessuno, e assistiamo alla nascita del tessuto culturale e economico della Milano a venire. È lavoro da acceleratore del futuro, questo. E quindi ci sono stati NoLo (l’ormai turistico North of Loreto), i Navigli, la Porta Venezia queer con il vogueing di strada il mercoledì sera, Chinatown (con scoperte pazzesche), la rampantissima Calvairate e appunto la Centrale. Qui è stato dato il massimo: perché Centrale in qualche modo quartiere non è/era.

Pur essendo la prima cosa che si vede e dentro la quale si arriva a Milano, ed è da tempo un arrivo marcato dal tentativo chic di ritorno pulito alla grande architettura della stazione che deraglia verso l’umanità totale dell’intero perimetro, chioschetti compresi.

E con quegli alberghi strani, e le luci e i pennacchi dei nuovi (mini) grattacieli, compreso quello strano cilindro mozzo di Mario Cucinella per Unipol in costruzione. E sotto si sente ronzare il dedalo della metropolitana, spesso con corridoi ciechi, vuoti, ed esercizi improbabili. Si parla pure di Magazzini Raccordati in futuro, c’è in corso di recupero tutta la zona dei tunnel verso la via Gluck di Celentano e la Via Sammartini del morente quartiere gay.

Un inferno di idee, brillantissime per carità. Ma Hyperlocal, ravanando, trova il vero quartiere in trasformazione: gli studi grafici appena nati e in giusta crescita, quelli che zitti zitti programmano i giochi che verranno, alcune ben note etichette discografiche come “Asian Fake” ma anche studi fotografici che stanno iniziando a lavorare nell’industria dello stile ufficiale come “Cesura”, o la coppia che fa il magazine neosexy Carnale.

E parla con gli skater, con i musicisti emersi da un po’ (Go Dugong) e da un gran bel po’ (Vinicio Capossela). E trova la moda viva: quella per outdoor fatta in casa di “Rayon Vert” e soprattutto “Vitelli”, che sta emergendo grazie all’energia combinatoria di Mauro Simionato e della banda di ragazzi/e che si trasferiscono anche da Berlino e Londra per lavorare con lui. Sta in un passage anni Cinquanta completamente abbandonato, verso Porta Venezia.

E unisce tradizione cosmica veneta, neohippysmo, attenzione spasmodica alla high street, (i tempi d’oro di Missoni e Armani), allo svacco street e veramente afro della zona. Elisa, che vestono, ha suonato alla loro sfilata la settimana scorsa. Qui siamo dentro le cose, dentro gli sguardi che si scambiano per davvero. Le ciance della città con i servizi a portata di 15 minuti a piedi sembrano esercizi da preistoria del primo lockdown, mille anni fa. Qui siamo adesso e ora, proprio perché c’è chi arriva proprio da quel rettangolo azzurrogiallo che sta diventano ovunque la nuova bandiera rainbow, una sorta di peacewashing aziendale troppo facile. Qui ci sono in strada gli abitanti, i cittadini della Centrale e in mezzo la gente che scappa da una vita diventata di colpo impossibile. Non serve ossessionarsi con le notizie riportate da fonti impazzite tutto il tempo. Basta aprire gli occhi e leggere le storie dell’umanità che ci circonda, sentire l’aria che tira. Ed è, di nuovo, un’aria che non avevamo mai sentito addosso.

© Riproduzione riservata