Se c’era una persona che incarnava alla perfezione l’immagine dell’eleganza, questa era Rosetta Loy. Scrittrice anomala, riottosa ad apparire in televisione e a frequentare i salotti che danno notorietà a chi non la merita, Rosetta Loy ha segnato la storia della letteratura italiana con libri intrisi della sua vita, in cui ha cercato di fare i conti con una educazione borghese e disattenta alla politica. Loy divenne famosa al grande pubblico relativamente tardi, nel 1988, quando con Le Strade di Polvere vinse il Premio Campiello e il Premio Viareggio, descrivendo una famiglia del Monferrato (sua terra di origine) tra la fine del settecento e i primi anni dell’Italia unita. Ma è con Cioccolata da Hanselmann (Garzanti 1995) e La parola ebreo (Einaudi 1997) che Loy acquisisce un posto d’onore nella  letteratura: raccontando l’evoluzione della borghesia alle prese con l’avanzata del fascismo, Loy dà voce all’altra metà della storia, quella spesso nascosta ma ugualmente degna di attenzione, fatta di persone normali che hanno accettato il fascismo prima e il nazismo poi perché i loro interessi non ne erano apparentemente toccati, salvo poi scoprire che quando si colpiscono i diritti delle persone le vittime non sono soltanto i destinatari di queste azioni ma è l’intero genere umano.

Stile e anomalia

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Se, però, con La parola ebreo Loy riesce a unire lo stile tipico del romanzo con quello di un saggio, con Cioccolata da Hanselmann Loy scrive un vero e proprio film, pronto per essere girato, con i suoi amori e le sue lotte interiori, le sue debolezze e le sue vittorie. Di tono completamente diverso è Gli anni fra cane e lupo. 1969-1994 (Chiarelettere 2013), in cui Loy indaga le vicende più torbide del nostro paese mettendo in fila, come avrebbe fatto Pasolini, fatti che hanno marchiato indelebilmente la nostra democrazia.

Anche questa capacità di mutare stile, passando dal romanzo ad una scrittura cinematografica al saggio d’inchiesta, rappresentava l’anomalia virtuosa di Rosetta Loy in un contesto – quello della letteratura italiana – caratterizzato da libri sempre uguali e facilmente digeribili da parte di lettori superficiali.

Ma l’anomalia di Rosetta Loy stava anche in ciò che veniva dopo la scrittura del libro. Appena ne concludeva uno, per lei quel libro cessava di esistere: non amava promuoverlo, girare per festival e fiere, parlarne.

Le sembrava quasi una forma di violenza dover raccontare il perché e per come della sua opera: una violenza, però, non tanto verso se stessa quanto verso il lettore, come se lo scrittore, attraverso la presentazione del proprio libro, volesse indurre il lettore a leggerlo in un certo modo, ad interpretarlo secondo la sua impostazione pregiudizievole. Lei credeva nella libertà del lettore di poter amare o odiare un libro a prescindere dal suo autore.

Nel panorama della letteratura italiana, Rosetta Loy è stata tra le scrittrici più limpide: non amava i fronzoli, le frasi a effetto, le metafore facili. Scriveva con onestà, eliminare il superfluo.

L’essenzialità

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A volte le capitava di rileggersi e, con una matita, tagliava altre parole, alla ricerca continua dell’essenzialità, rifuggendo ogni costruzione logica artificiale. Forse anche per questo la Loy ha avuto un successo mondiale ed è tra le autrici italiane più studiate all’estero.

Oltre vent’anni fa, fu invitata dall’Università Luiss Guido Carli a tenere un corso di scrittura per gli studenti. All’inizio era molto perplessa perché convinta che la scrittura non si potesse insegnare.

Poi accettò e visse questa esperienza come un apprendistato: «Volevo mettermi alla prova», ricorda nell’introduzione al volume Saper scrivere: talento o mestiere? (Luiss University Press, 2001), «vedere quanto ero padrona dei miei strumenti, e nello stesso tempo mettere alla prova il mestiere. […] Gli studenti erano spinti, oltre che dal desiderio di conoscere i trucchi, anche dalla curiosità di vedere come è fatto uno scrittore».

Pur non amando la mondanità, Loy gradiva avere amici in casa: pittori, musicisti, altri scrittori (tra cui Carlo Emilio Gadda che si era innamorato di una stravagante poltrona novecentesca nel salone di casa sua), o giovani studenti in cerca d’autore, tutti erano i benvenuti e restavano stupefatti da uno splendido biliardo, subito dopo l’ingresso, interamente ricoperto da pile interminabili di libri, collocati in modo da sostenersi l’un l’altro. Ecco, della Loy ci mancherà soprattutto questo: il suo equilibrio, la sua essenzialità e la straordinaria passione della sua scrittura.

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