A J. D. Salinger, l’inconsolabile

La ragazza era sdraiata sul letto, come imbambolata nel silenzio della camera. Sebbene otto piani sotto cominciasse la mattonata coi lettini e le sdraio che portava alla grande piscina, non volava una mosca. I frequentatori di quell’hotel avevano il contegno del potere, sapevano che per godersi la vita non c’era bisogno di fare baccano e, per quant o paradossale, ostentavano la loro riservatezza.

La ragazza afferrò il cellulare e schiacciò il tasto di chiamata rapida per mettersi in contatto con la sua amica del cuore. «Mi ero stufata di WhatsApp».

«Che significa alti e bassi?» le domandò l’amica.

«Il posto è una favola, però lui non mi sembra tanto a suo agio».

«Cioè? Non sta combinando niente?»

«Non è semplice se non conosci nessuno. Voglio dire, non basta dormire dove dormono tutti. Lui è proprio un pesce fuor d’acqua».

L’amica sospirò. «Io te l’ho sempre detto che devi smetterla con gli artisti incompresi».

La ragazza si strinse nelle spalle, lì sopra il letto, anche se l’amica non poteva vederla. «Che ci vuoi fare, lo sai come sono fatta. È dalle superiori che subisco il fascino dei belli e dannati».

Essere impazienti

«Ma il romanzo sta andando bene o male?»

«Lui non lo sa, e non fa nulla per saperlo. Non vuole chiamare l’editore, dice che il suo ufficio stampa lo detesta, e che comunque un libro dopo tre settimane è già vecchio».

«Dopo tre settimane? È il solito paranoico».

Bussarono alla porta. La donna delle pulizie chiedeva se occorreva rifare la camera, e la ragazza disse sbrigativamente di no.

«Be’, che ci fai ancora in camera? È quasi mezzogiorno», le disse l’amica.

«Hai ragione, ma questo posto mi spinge alla letargia».

«Lui dov’è?»

«Credo sia andato in spiaggia con il figlio di una giornalista importante».

«Con chi?»

«Sì, lui e questo bambino sono diventati inseparabili da ieri sera. Credo abbiano fatto amicizia per via delle ciliegie. Lui sputava i noccioli e il bambino lo imitava».

«No aspetta, tu mi vuoi dire che ti ha trascinato in vacanza nel posto più in vista del litorale, avete sborsato una cifra astronomica per frequentare il demi-monde culturale, e lui si perde in giochi infantili?»

«È il figlio di una nota giornalista che ha le mani in pasta…»

«Appunto, dovrebbe cercare di conoscere la madre».

«Credo che sia quello lo scopo…»

«Sputando i noccioli? Oddio a me a volte sembra matto. Matto da legare».

«È solo sopra le righe. Ha commesso il peccato originale di voler pubblicare».

«Questa è bella. Chi l’ha detta?»

«Ieri sera siamo riusciti a intrattenerci per qualche secondo con Philippe Marzio, presente? Il fustigatore dei costumi».

«Il fustigatore dei costumi, va bene. E cosa avrebbe detto di preciso?»

«C’era una ressa che non puoi capire. Comunque saputo che lui era al suo esordio gli ha dato una gran pacca sulle spalle e poi ha detto: “Esordire è come mangiare la mela del peccato ed essere cacciati dall’Eden. È troppo tardi per tutto amico mio”».

«Che paraculo».

«Infatti, così non ha voluto che lui gli facesse mandare il libro dall’ufficio stampa».

«Se è impaziente di proporsi i risultati saranno disastrosi».

«È un giovane scrittore. Ha pubblicato da poco il suo primo libro. Che altro dovrebbe fare se non tradire una certa impazienza?»

«Essere disinvolto, per esempio. Esistono anche le persone disinvolte, sai?»

«La fai sempre facile tu», disse la ragazza, toccandosi l’inguine per verificare che la sua depilazione “full bikini” fosse impeccabile.

L’amica invece sembrò cambiare repentinamente argomento. «C’è qualche vip? Hai riconosciuto qualcuno in albergo o in spiaggia?»

«Ci sono tutti, è perfino meglio di Capalbio. Sarebbe più facile dirti chi non c’è, te lo giuro».

«Anche politici?»

«Soprattutto politici. E mezza giuria di quel premio…»

«Ti stai annoiando da impazzire, dimmi la verità».

La ragazza ridacchiò. «Io avrei preferito un villaggio vacanze. Anche perché qui i soldi ci finiranno molto presto».

«Bei negozi?»

«Non so se sono belli, di sicuro sono cari. Ieri in un’anonima boutique per una borsa di tela mi hanno chiesto un occhio della testa. Era gialla canarino come le mie espadrillas, ok, ma non posso pagare una borsa da mare quanto una cena di pesce. Non posso andare fallita per un pendant».

L’amica sbuffò. «Che lui combini qualcosa, almeno».

«Lo spero, cazzo».

Aggravanti

«Ti ha più fatto quei discorsi strani?»

«Quali discorsi?»

«Sul fatto di uccidere l’editore».

La ragazza rise senza convinzione. «Oh, ma dai. Sono discorsi che fa ciclicamente».

«Il fatto che li ripeta non mi rassicura. Anzi, mi sembra un’aggravante».

«Se è per questo non vorrebbe uccidere solo l’editore, ma anche il correttore di bozze, l’ufficio commerciale e i grafici. I librai. E anche i lettori, a uno a uno».

«Ti ha detto proprio così, “a uno a uno”?»

«Sì, ha usato esattamente questa espressione».

«È matto da legare».

«Non dirmi così, mi spaventi».

«È mio dovere metterti in guardia, sei o non sei la mia migliore amica?»

«Sì lo so, ma non c’è bisogno di ingigantire singoli episodi».

«Tu stai bene?»

«Sì che sto bene. Perché non dovrei stare bene? Pensi davvero che lui potrebbe farmi qualcosa di male?»

«Non ho detto questo».

«Ma l’hai pensato».

«Lo trovo un po’ eccessivo».

«È solo teso per l’uscita del romanzo. E adesso è teso perché vorrebbe allacciare qualche amicizia, conoscere qualcuno che conta, farsi strada nel suo ambiente. È totalmente comprensibile».

«Combinerà qualcosa?»

«Non lo so», disse la ragazza, lasciandosi sfuggire un tono un poco spazientito. «Comunque, è stata un’idea mia».

«Dovrebbe solo ringraziarti».

«Lo so».

«Non solo perché l’hai portato lì. Dovrebbe ringraziarti perché stai con lui».

«Oh, adesso non esagerare».

Trascorse qualche secondo di silenzio.

«Se tu fossi davvero ok non staresti chiusa in camera a mezzogiorno», ripeté l’amica.

«Stavo per uscire, ma poi ho deciso di chiamarti».

«Vabbè, puoi scrivermi sempre. Se becchi qualcuno di famoso manda la foto».

«Non è proprio la Costa Smeralda, non c’è la gente che vediamo su Novella 2000».

«Sì sì ho capito che c’è solo gente di un certo livello», si lagnò l’amica. «Se incontri Oscar Wilde o James Joyce mandami la foto».

Superare gli scogli

Il ragazzo e il bambino avevano già camminato per un paio di chilometri buoni, quando dalla spiaggia affiorò un gruppo compatto di scogli che portava a un’altura.

«E ora?» chiese il bambino, che pendeva letteralmente dalle labbra del ragazzo.

«O torniamo indietro o si sale».

«E noi che facciamo?» chiese ancora il bambino, impaziente di essere comandato a bacchetta dal ragazzo.

«Nella vita tornare indietro non è mai una buona idea. Perciò saliremo».

Il ragazzo andò su per primo, e poi si sbracciò verso il bambino per aiutarlo a salire.

«Ci arrampichiamo fino in cima?» domandò il ragazzo, ben sapendo che il bambino avrebbe trasformato il punto interrogativo in un punto esclamativo.

Mentre si allontanavano dal bagnasciuga il ragazzo cominciò a parlare come una macchinetta impazzita.

«Nessuno scrive più per scrivere», diceva infervorato. «Scrivono per fare carriera, ma uno scrittore che carriera dovrebbe mai avere se non quella, più o meno brillante, di scrivere i suoi libri

Il bambino non si perdeva una parola di quel che il ragazzo diceva, anche se ne capiva sì e no la metà.

«Anche mia mamma scrive», disse, con orgogliosa ingenuità.

«Lo so bene che tua madre scrive. Ma lei scrive sul giornale».

«E non va bene?»

«È diverso».

«Tu scrivi romanzi?»

«Esatto, io scrivo romanzi», confermò il ragazzo, arrestando il passo per tirare un po’ il fiato. «Ho dato il mio libro a tua madre, sai?»

Il bambino, che era controsole, strizzò gli occhi. «Ah sì? E le è piaciuto?»

«Il mio ufficio stampa glielo ha inviato in anteprima. Le ho fatto una bellissima dedica».

«Cosa c’era scritto nella dedica?»

«“Con immensa gratitudine”».

«Che cos’è la gratitudine?»

Il ragazzo ci pensò su. «Vuol dire riconoscenza, essere grati. Significa dire grazie».

Il bambino non parve convinto. «Non avrebbe dovuto ringraziare lei? In fondo è lei che ha ricevuto il regalo».

Il ragazzo sorrise con amarezza, mentre avevano ripreso a salire. «Poi è successa una cosa abbastanza assurda. Vuoi saperla?»

«Certo che voglio saperla».

«Spesso bazzico un mercatino di libri usati. Ci si possono trovare bei titoli a pochi spiccioli. Be’ non ci crederai ma ho ritrovato la copia che avevo inviato a tua madre proprio in quel mercatino».

Il bambino non disse niente e abbassò lo sguardo.

«Incredibile, non ti pare?» proseguì il ragazzo. «L’ho capito perché sul frontespizio si poteva leggere la mia bella dedica: “Con immensa gratitudine”».

Il bambino ancora non se la sentì di dire niente, e aumentò il passo come per cercare di sfuggire a quell’aneddoto che, senza capirlo del tutto, lo metteva a disagio.

Arrivarono sulla cima dell’altura: erano saliti di una ventina di metri rispetto alla spiaggia, e adesso si sporgevano a picco sul mare. Da sotto non saliva una particolare confusione e gli ombrelloni punteggiavano l’arenile suddivisi in sequenze razionali: ancora il contegno del benessere. 

Chi si tuffa per primo?

Il ragazzo con una mano tesa sulla fronte esplorò l’orizzonte. «Forse sarebbe un azzardo, ma io dico che da quassù ci si potrebbe anche tuffare».

«Da così in alto?»

«Da così in alto».

«Ci tuffiamo?» suggerì il bambino, quasi automaticamente, non considerando la pericolosità di quella proposta.

«Sei abile nei tuffi?» disse il ragazzo, mettendosi a sghignazzare. «Voglio dire, bravo quanto coi noccioli delle ciliegie?»

«Mi sono tuffato una volta sola. Era da una barca».

«Ma su una barca l’acqua è vicina, ce l’hai subito lì. Non è come da quassù, ti pare?»

Il ragazzo prese il bambino e lo lasciò andare sull’ultima lingua di terra dell’altura, quasi un trampolino naturale.

«Cavolo», esclamò il bambino. «Non sembrava così alto quando salivamo».

«Basta trasformarsi in noccioli di ciliegia».

«Che?»

«Hai capito benissimo. Invece di sputare il nocciolo ti sputi. È come sputare sé stessi».

Il bambino fece una smorfia. «È una cosa disgustosa».

Il ragazzo guardò giù. «Probabilmente sì, bisogna farsi un po’ schifo».

Rimasero tutti e due lì in piedi, senza sapere più cos’altro dire.

«Tua madre presiede anche un premio letterario importantissimo, lo sai?»

«No, non lo sapevo».

«Mi avevano candidato».

Il bambino sorrise. «Fantastico, no?»

«Stamattina ho ricevuto la comunicazione che sono stato escluso dalla rosa finalista. Però hanno ammesso il libro di una ragazza giovanissima, chiunque ne parla come un capolavoro, soprattutto la gente di questo posto, sai? Se giri tra le sdraio, in spiaggia oppure anche a bordo piscina, non c’è nessuno che parli d’altro. Dicono che quella ragazza è un genio. Dico davvero, un genio».

«E tu la conosci?»

«Ancora non ho avuto questa fortuna. Magari è qui in vacanza anche lei. Probabilmente sì. È tua cugina».

«Cosa?»

«Sì, è la figlia di tuo zio, è la nipote di tua madre».

Una ventata attraversò rapida il cielo sgombro di nuvole del mezzogiorno, e fece oscillare i rami di pino che svettavano alle loro spalle.

«Chi si tuffa per primo?», tagliò corto il ragazzo.

«Vuoi tuffarti per davvero?»

«Sennò che siamo venuti a fare?»

«È meglio che vada tu per primo».

«Se mi tuffo prima io col cavolo che poi tu trovi il coraggio di tuffarti».

«No, mi tuffo».

«Te la faresti sotto. Secondo me è meglio se vai tu per primo».

«No, ti giuro, mi tuffo subito dopo che ti sei tuffato tu».

«Forse dovrei spingerti», disse il ragazzo e fece per afferrare il bambino, prima di mettersi a ridere. «Siamo troppo in alto, è troppo pericoloso. Niente tuffi per oggi».

Noccioli di ciliegia

Dopo che ebbero riguadagnato la spiaggia il bambino salutò frettolosamente il ragazzo, come se avesse preso uno spavento troppo grande per restare. Corse sulla battigia per qualche metro e poi sparì seguendo il sentiero sghembo e risicato dell’ombra prodotta dagli ombrelloni aperti. Il ragazzo per qualche secondo fu incerto sulla direzione da prendere, poi raggiunse quasi con riluttanza le sdraio che aveva pagato per tutto il fine settimana.

Riconobbe la roba della ragazza, il suo borsone straboccante di teli, giornaletti e creme doposole. Con ogni probabilità era andata a farsi un bagno, ma decise che non si sarebbe fermato a salutarla. Dopo aver recuperato infradito, maglietta e marsupio, camminò spedito in direzione della struttura alberghiera. Attraversò la spianata di mattoni adiacente alla piscina, facendo a zig zag tra i lettini ormai vuoti, vista l’ora del pranzo che incombeva. Superò la lunga fioriera di oleandri e imboccò l’ingresso principale dell’hotel, provando un istantaneo benessere a contatto con la fresca penombra della hall. Si massaggiò la nuca surriscaldata attendendo l’ascensore. All’interno, aveva premuto il tasto otto, ma al terzo piano era entrato un uomo in accappatoio bianco e ciabattine. Il ragazzo l’aveva fissato per un piano o due prima di rivolgergli la parola.

«Va sulla terrazza panoramica?», gli chiese.

L’uomo parve guardarlo attraverso un paio di occhiali scuri. «Sì, perché?».

Il ragazzo pensò che senz’altro doveva trattarsi di un noto editore, o giornalista, o politico, o direttore di museo o club di lettura, o forse di tutte queste cose insieme. Pensò che non avrebbe dovuto dire ciò che stava per dire, e che non sarebbe mai cresciuto, che non avrebbe mai imparato a comportarsi.

«Ha mai sputato dei noccioli di ciliegia per attirare l’attenzione di qualcuno?», disse. «Glielo assicuro, è una cosa umiliante».

L’uomo rimase fermo, pietrificato, senza dire una parola. Poco dopo l’ascensore arrivò all’ottavo piano, e con un doppio beep le porte si aprirono. Il ragazzo estrasse dal marsupio la sua chiave elettronica, la passò sulla maniglia e spinse la porta con uno scatto deciso. Trovò il letto perfettamente rifatto, con al centro una confezione di biscotti e di lato un paio di accappatoi sigillati. Andò in bagno a urinare, poi senza indugio aprì l’ampia finestra della camera e nel momento esatto in cui l’aria condizionata si bloccava – appena una manciata di secondi dopo – si buttò di sotto, sfracellandosi al suolo.

© Riproduzione riservata