Eleganti, mai volgari, trasversali alle generazioni. «Due paia di gambe con una testa sola», avrebbe detto di loro Ennio Flaiano, a sottolineare quella natura rarissima di un doppio inossidabile, la moltiplicazione di un fenomeno funzionale allo spettacolo solamente se preso nella sua energia totalizzante
Insieme. Dal successo al declino fino alla morte. Hanno scelto il suicidio assistito, secondo i media, Alice ed Ellen Kessler, le celebri gemelle che hanno popolato l’immaginario della rivoluzione televisiva degli anni Sessanta, quella del varietà fatto di sketch, balletti e canzoni, rimane il ricordo di un mito capace di attraversare le generazioni e consolidarsi ben oltre la fugacità della presenza sul piccolo schermo.
«Due paia di gambe con una testa sola», avrebbe detto di loro Ennio Flaiano, a sottolineare quella natura più unica che rara di un doppio inossidabile, la moltiplicazione di un fenomeno funzionale allo spettacolo solamente se preso nella sua energia totalizzante. Fuggite appena maggiorenni dalla Repubblica Democratica Tedesca e riparate all’Ovest dove iniziarono la carriera come danzatrici a Düsseldorf, si trasferiscono dapprima a Parigi al Lido, locale di cabaret e spettacoli di rivista.
La carriera
Sul finire degli anni Cinquanta partecipano all’Eurovision Song Contest rappresentando la Germania Ovest e recitano in diverse commedie musicali, ma è con l’approdo in Italia nel 1961 che la loro carriera decolla e il loro nome si lega per sempre alla storia della televisione nazionale. È la regia di Antonello Falqui in Giardino d’inverno, il varietà che adatta la tradizione del music-hall e del cafè-concert alla tv, a sublimarne la presenza scenica, con le gambe rigorosamente coperte da calze scure che non lasciassero spazio a suggestioni inaudite per l’epoca.
Eleganti, mai volgari, trasversali alle generazioni, si fanno largo tra la conduzione del Quartetto Cetra e la robusta orchestra del maestro Gorni Kramer. Così, pochi mesi dopo, nello stesso anno, rieccole in Studio Uno, sempre a firma Falqui e punto più alto del varietà della tv bernabeiana, tutta rigore, professionalità ed equilibri sul filo della censura.
Esteticamente rappresentavano la bellezza nordica, sufficientemente algide e distanti da non destare strani turbamenti in famiglia; sono il Dadaumpa e La notte è piccola per noi a trasformarle da soubrette a icone, valorizzate dal formalismo minimale delle scenografie del varietà degli anni Sessanta e da un bianco e nero inevitabilmente concentrato sui personaggi, mentre la televisione dava sfoggio dei suoi sforzi e delle sue conquiste mostrando per la prima volta le telecamere e gli altri attrezzi tecnici dello show.
Il mito
Nella televisione che celebra sé stessa inaugurando nuovi linguaggi, le gemelle Kessler scoprono la loro dimensione, cavalcando un successo che le porterà nel 1964 a interpretare le sirene nell’episodio dell’Odissea di Biblioteca di Studio Uno, lo straordinario spin-off dedicato agli adattamenti in chiave musical dei grandi romanzi del passato, e nel 1969 ad affiancare Johnny Dorelli e Raimondo Vianello nella conduzione di Canzonissima.
È forse l’apice del successo e della notorietà, prima che negli anni Settanta, con un sistema televisivo che sta affrontando nuove sfide, le loro apparizioni si diradino; nel 1974 vengono invitate a partecipare a Milleluci, il varietà che segna al contempo l’apoteosi e il canto del cigno del genere, con la simultanea ultima interpretazione televisiva di Mina e la consacrazione di Raffaella Carrà in un ideale passaggio di consegne.
Il mito delle gemelle inseparabili verrà poi alimentato negli anni e decenni successivi in decine di altre ospitate, celebrazioni e ricordi di epoche televisive ormai lontane. Hanno ballato insieme e se ne sono andate insieme, quasi a voler sottolineare quella potente coincidenza tra lo spettacolo e la vita, tra la dimensione pubblica di un mestiere e quella privata di un legame insondabile con le sole lenti dell’intrattenimento.
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