Con il suo dodicesimo film, Tre amiche, il regista francese prosegue nel suo percorso di ricostruzione di frammenti di un discorso amoroso. «Una coppia è la più piccola società che esista al mondo. Jean-Louis Comolli diceva che due persone in una stanza sono già politica. Il cinema è stato un modo per avvicinarmi alle donne. Riesco a esprimere meglio i miei sentimenti attraverso le donne perché mi sento meno timido». Al cinema dal 19 giugno
Frammenti di un discorso amoroso. Con il suo dodicesimo film, Tre amiche, il regista Emmanuel Mouret continua ad auscultare i battiti del cuore con un elegante “dramma gioioso” che vede protagoniste tre insegnanti quarantenni alle prese con i vortici dei rapporti sentimentali.
Joan (India Hair) soffre di non essere più innamorata di Victor e si sente in colpa, mentre Alice (Camille Cottin), la sua migliore amica, la rassicura sul fatto che lei stessa non prova passione per Eric, eppure la loro relazione va a gonfie vele. Non sa però che Eric ha una relazione con Rebecca (Sara Forestier), la loro amica comune.
Con lo spirito del teatro dei sentimenti di Marivaux e del Woody Allen di Hannah e le sue sorelle, Emanuel Mouret orchestra una raffinata partitura al femminile che non esclude la commedia, il dramma e anche un elemento fantastico. Un film che ci interroga sulla complessità di un mistero chiamato amore, al cinema con Lucky Red dal 19 giugno.
Ha realizzato 12 film che affrontano diverse declinazioni dell’amore. Da dove nasce questa fascinazione per le sfumature sentimentali? Da una sua osservazione dell’amore o da una sua esperienza personale?
È un tema che esiste da sempre, dalla pittura alla letteratura, e molti altri registi hanno concentrato le loro opere sui tumulti sentimentali. Come dice sant’Agostino, sappiamo tutti cos’è il tempo, è dentro di noi, ma appena iniziamo a pensarci ci sfugge e non riusciamo ad afferrarlo, per l’amore è lo stesso, se iniziamo a pensarci, nessuno dirà le stesse cose sull’amore. Perché l’amore è in ogni cosa: nell’amicizia, nella separazione, è ovunque. Forse è questo il vero tema del cinema. Il mio film ruota attorno alla coppia o al triangolo amoroso e, nella mistica dell’amore, la coppia, o l’unione di due persone, è la più piccola società che esista al mondo. Un mio caro amico scomparso, il regista e teorico di cinema Jean-Louis Comolli mi diceva: «Due persone in una stanza sono già politica». È politica perché le relazioni amorose si rispecchiano nella società, ci fanno riflettere su tante questioni: come vivere insieme, come rispettare l’altro, come prendersene cura, come raccontarci, come sopravvivere agli ostacoli e al dolore, come esplorare il nostro desiderio in base al desiderio dell’altro. Con il triangolo amoroso entra in gioco l’altro, l’incidente, l’incontro imprevisto della coppia con “il resto della società”, ed è interessante vedere come questo incontro si sviluppa nel tempo. È anche un argomento affascinante perché coinvolge il desiderio, che è ovviamente ciò che tutti si aspettano, crea suspense... Quindi, in breve, l’amore è un argomento caleidoscopio che ci permette di parlare di intimità, umanità, società, di tutto senza problemi.
Perché oggi è così complicato dire «ti amo»? Pensa che dichiarare il proprio amore sia diventato un atto di coraggio?
Dire «ti amo?» Non credo che lo sia... È più complicato oggi di prima? Non lo so. Del resto, per poter dire «ti amo» devi conoscere già la persona, è una dichiarazione che implica proiezioni, un voler impegnarsi con l’altro. Ma dire «ti amo» può essere anche un atto molto egoistico, non è necessariamente un regalo o un gesto di generosità, può comportare anzi molte nevrosi. C’è un termine alla moda che mi piace molto: “decostruzione”, la quale richiede di analizzare un gesto, una parola o un comportamento per comprendere le sue origini. Il lavoro di scrittura consiste nel cogliere la genealogia delle cose, ed è questo, credo, che percepiamo e sentiamo nel cinema.
Lei dà grande spazio alla scrittura nel suo cinema, i dialoghi sono minuziosi e in questo film c’è addirittura un narratore, una voce off come in Viale del tramonto. Molti la definiscono un regista “letterario”, si riconosce in questa descrizione?
Da giovane, sono stato molto influenzato dal cinema italiano classico in cui si parlava davvero molto. Riflettendo sul mio amore per i dialoghi mi sono reso conto che nei film in cui si parla molto è il silenzio a essere un evento, e viceversa, in quelli poco dialogati è la parola a essere evento. È semplicemente una questione di gusto. Il fatto di essere considerato un regista “letterario” mi imbarazza un po’ perché mi sento prima di tutto un cinefilo, e non qualcuno che viene dalla letteratura, anche se ovviamente il cinema eredita dalla letteratura. Ma se ci pensa, il cinema non è mai stato così loquace come negli anni anni ’30, quando ci fu l’avvento del sonoro e nei film si diede finalmente voce alle persone, eppure in quegli anni nessuno tirava fuori il termine “letterario”. Il dialogo è profondamente cinematografico, quando qualcuno parla, lo si guarda per vedere se ciò che dice corrisponde a ciò che prova. Il dialogo rappresenta un secondo livello di recitazione per lo spettatore, e ciò che un personaggio dice fa appello all’immaginazione, quindi, alla sfera più intima dello spettatore.
Parlava di cinema classico italiano, ma nei suoi film si sente anche l’influenza del cinema dell’età d’oro di Hollywood e di Woody Allen, chi sono gli autori che l’hanno ispirata di più?
Sono stato ispirato principalmente dal cinema classico. Ci sono tanti autori che sono per me un riferimento: Rohmer, Guitry, Truffaut, Renoir, Lubitsch, Billy Wilder, Leo McCarey, Douglas Sirk. Ho menzionato molti americani ma nutro anche una profonda ammirazione per il cinema Italiano che ho introiettato completamente nel mio percorso. Adoro Rossellini, Fellini, Risi, Moretti, e ovviamente il neorealismo italiano. In realtà, credo che quello che inventiamo sia in gran parte un’eredità inconscia dei film che abbiamo amato.
Parliamo di donne, anche in questo film ha dato voce a personaggi femminili molto complessi, pensa che la natura del cinema sia femminile? Che cosa l’affascina nelle donne e nelle attrici?
Da adolescente ero un ragazzo estremamente timido e riservato e credo che il cinema sia stato un modo per avvicinarmi alle donne, per scoprirle da vicino, nella loro intimità e per studiare il loro rapporto con gli altri uomini. Era un desiderio di vedere al cinema ciò che non potevo osservare dal vero. Da autore è poi tutta un’altra cosa, perché racconti delle storie, le vivi, succede qualcos’altro. Ricordo di aver sentito un romanziere rispondere a chi gli chiedeva perché i suoi personaggi fossero sempre femminili: “Per pudore”. Ecco credo che questo valga anche per me, riesco ad esprimere meglio i miei sentimenti attraverso le donne perché mi sento meno timido, meno vulnerabile, meno esposto. Può anche succedere che un personaggio femminile diventi poi un personaggio maschile, perché la cosa meravigliosa del cinema è che cancella la nozione di identità di genere. Come spettatore, puoi essere un uomo e identificarti completamente con un personaggio femminile e viceversa, c’è un processo di identificazione nel cinema che va oltre il maschile e il femminile, è prodigioso.
E un po’ come Flaubert che diceva «Madame Bovary, c’est moi».
Assolutamente e poi, sono cresciuto con l’idea di Simone de Beauvoir secondo la quale l’unica differenza tra uomini e donne è il determinismo culturale e sociale. Sono contro ogni forma di sessismo e credo che con il tempo dare voce a personaggi femminili sia diventato anche un atto politico per me.
Il movimento MeToo ha influenzato la sua scrittura?
Sì, credo che mi abbia influenzato, come ha potuto influenzarmi un grande regista come Ernst Lubitsch che non dispiaceva affatto a Simone de Beauvoir. Il MeToo mi ha portato ad avere una maggiore attenzione per i rapporti uomo-donna. Purtroppo abbiamo fatto molti passi indietro su tutta una serie di conquiste sociali, e il movimento MeToo è stato forse uno degli eventi sociali più interessanti e progressisti che abbiamo avuto nell’ultimo decennio.
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