Consoli, Jovanotti, Gazzelle, I Cani, Zen Circus, Baustelle, Caparezza: un anno di musica italiana che ci è piaciuta. Tra gli album internazionali: Lily Allen spietata, Rosalía ambiziosa, Ben Folds re dei sottovalutati
Il 2025 in musica secondo la redazione di Domani. Ecco i nostri consigli su alcuni degli album più belli pubblicati durante l’anno che sta per concludersi.
Amuri Luci, Carmen Consoli (Narciso Records)
La cantantessa suona tutta. Nella voce, nelle armonie, nella lingua - il suo siciliano - che ha scelto per Amuri Luci e che così bene ammanta le sue melodie capricciose e sensuali. I testi passano quasi in secondo piano: contano le vibrazioni, dalla brillante 3 Oru 3 Oru alla poetica Comu veni veni. Menzione d'onore per La terra di Hamdis. Lisa Di Giuseppe
People watching, Sam Fender (Polydor Records)
People Watching, il terzo album di Sam Fender, conferma la maturità di uno degli autori oggi più ispirati del rock inglese, che non è mai stato solo il clone di Bruce Springsteen. Tra chitarre distorte, ritornelli che si fissano in testa e testi sociali, l’album racconta una generazione cresciuta nella precarietà, in lotta perenne fra disillusione e voglia di riscatto. Daniele Erler
West end girl, Lily Allen (Bmg)
Sui revenge album Giulia Pilotti ha scritto su Domani che «le corna vanno sempre fatturate». Sante parole. Il genere si è appena impreziosito di una gemma velenosa, il geniale West end girl in cui Lily Allen per 14 tracce sputtana malissimo l’ex marito, l’attore David Harbour, il Jim Hopper in Stranger Things. Usare il proprio potere per vendicarsi degli ex non sarà onorevole. Ma, fatturato a parte, vuoi mettere la soddisfazione? Danilo Fastelli
Lux, Rosalía (Columbia Records)
Di qua sesso, violenza e pneumatici. Di là bagliori, colombe e sante. Questo è un album sull’estasi. All’ascolto fa prima sentire che pensare, arriva prima alla pancia che al cuore. Un’impresa sorprendente per un disco che è un progetto intellettuale massiccio: le figure di sante cattoliche e mistiche di altre religioni, le 13 lingue in cui canta, il pop operistico. Una scommessa ambiziosa. Vinta. Maria Tornielli
Ben Folds Live with the National Symphony Orchestra (Kennedy Center for the Performing Arts)
Ben Folds è il numero uno nella classifica dei sottovalutati. Eppure è genio tra i più grandi: pianista, multistrumentista, lo vedi suonare da solo, con la band (Ben Folds Five anche se sono tre) oppure con immense Orchestre sinfoniche, come in questo caso. Da trent’anni vola su un crinale altissimo tra jazz e pop, puntellato di folgorazioni e provocazioni. Perché farne a meno? Roberto Brunelli
Niuiorcherubini, Jovanotti (Universal)
E il settimo giorno, Lorenzo Jovanotti Cherubini si riposò. Lungi da noi qualsiasi tentativo di deificazione, ma il dato resta: questo disco è stato registrato in sei giorni ed è il frutto di jam session realizzate da Jovanotti con una serie di musicisti “niuiorchesi”. Musica live, in presa diretta su nastro analogico. Un disco inaspettato, nato dal gusto di fare musica insieme. Tutto il resto è noia. Nicola Imberti
Il male, The Zen Circus (Carosello records)
Si sta scomodi ad ascoltare il 13esimo disco in studio degli Zen Circus, “Il male”. È un grido di sopravvivenza, che svela l’ipocrisia di questi «stupidi falsi noiosi anni Venti», in cui «al bene artificiale, io preferisco il male». Fragilità, rabbia, solitudine, ferite, vuoti, sbagli, tanti, e quei piccoli tentativi di restare a galla e dirsi «è solo un momento». E che quello che resta «è meglio di niente». Marika Ikonomu
Magic, alive!, McKinley Dixon (City Slang)
Il quinto album del rapper liricista di Richmond (Virginia) è un viaggio magico che parla di morte e rinascita attraverso un sound eclettico tra jazz, soul, funk e conscious rap. McKinley Dixon riadatta il concetto di magia – ispirato dai testi della scrittrice Toni Morrison – per connettere il materiale allo spirituale. La salvezza drenata dal pozzo dell’immaginazione. Simone Libutti
El Galactico, Baustelle, Bmg
Un disco che è «un fiume di storie», tanto per citare liberamente uno dei brani di El Galactico dei Baustelle, che naviga tra l’osservazione dell’attualità e lo sguardo (disincantato) al passato. Un viaggio di dodici tracce, a tratti riflessivo e talvolta irriverente, che nei titoli parte da Pesaro e passa per Lanzarote. Con una destinazione definita: «L’arte di lasciare andare». Stefano Iannaccone
Orbit Orbit, Caparezza (Bmg)
L’artista pugliese unisce la nona arte alla seconda, affiancando al disco un fumetto: è un cosmonauta che intona un inno alla creatività e alla conoscenza, senza rinunciare all’emotività. Nell’ultima traccia conia un neologismo (“perlificare”) per indicare l’atto creativo che nasce da una realtà tossica: la musica è affidata a un’orchestra da 74 elementi. Tutto ciò che non ti aspetteresti da un rapper. Carmelo Leo
Indi, Gazzelle (Warner Music)
«Il mio amico si sposa/il mio amico si sposa». In Indi il cantautore romano Gazzelle, al secolo Flavio Pardini, canta la conquista della maturità. La sua e del suo percorso artistico, la nostra. Che non siamo più Peter Pan, ma ultratrentenni alle prese con mutuo e bollette da pagare. Un album che suona come una presa di coscienza, e dove non manca la nostalgia per quello che è stato. Enrica Riera
Post Mortem, I cani, 42 records
Un album che non insegna niente, non risolve nulla, non offre via d’uscita, eppure necessario. Anche se «pure a sparire ci si deve abituare», Niccolò Contessa, simbolo, suo malgrado, dell’indie italiano torna dopo nove anni di silenzio. Non tanto per raccontare la fine, ma il dopo, quel momento in cui ti accorgi che la catastrofe è già avvenuta. Restando il genio di sempre. Emanuela Del Frate
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