State per salire su un aereo con vostro figlio, siete già al gate, avete un trolley minuscolo con i ricambi per il bambino. L’hostess di terra vi ferma: «Mi spiace, ma non potete portare questo trolley sull’aereo. Le cappelliere sono piene».

Eppure non è una compagnia low cost con tutta la sua brutalità, e no, non avete cercato di portare con voi un bagaglio a mano che non rientra nel biglietto pagato. La compagnia aerea, anzi, è di quelle all’antica, è gentile. E il minuscolo trolley sarebbe pure un vostro diritto. Ma anche un diritto può incontrare delle eccezioni. «Se volevate portare il trolley a ogni costo, dovevate salire per primi, non per ultimi. I passeggeri con bambini possono salire per primi, lo facciamo apposta…»

L’errore insomma pare sia questo: invece di correre al gate alla prima chiamata, come fanno le pecore, pardon, le persone angosciate, voi avete aspettato perché ritenete che non ci sia motivo di angosciarsi. Ma purtroppo non è così. «Ormai siamo costretti a mettere il vostro trolley nella stiva. Potete prendere l’occorrente e infilarlo in un sacchetto. Ma fate in fretta, dobbiamo chiudere il volo».

Quale tattica usare

Nel vostro cervello alberga il ricordo di un principio che avete letto non sapete dove (magari l’avete sognato), un principio in base al quale se hai bambini piccoli hai il diritto di portare con te una borsa per i ricambi: pannolini, vestiti e ammennicoli vari.

E questo diritto è più forte del semplice diritto al bagaglio a mano. Anche perché i bambini in aereo possono essere complessi da gestire, e diventare molesti. Perciò è nell’interesse di tutti evitare che si creino situazioni spiacevoli per mancanza dei suddetti ammennicoli.

La domanda a questo punto è da corso di management: qual è il comportamento migliore da adottare, se volete provare a portare lo stesso il trolley sull’aereo? Come potete uscire vincenti da questa situazione?

Solitamente gli esseri umani in questo caso si dividono in due gruppi di comportamenti teorici. Quelli che puntano tutto sull’idea di far valere un proprio diritto, ponendo anche l’accento su una necessità, quelli che insomma mettono sé stessi al centro della situazione e perorano la propria causa come piccoli avvocati.

E quelli che invece subdolamente immaginano sia meglio giocarsi la carta del coinvolgimento dell’interlocutore, cercando di capire quali possano essere le ragioni che portano l’hostess di terra a questa inflessibilità, per poi scovare modi per entrare nelle sue grazie e punti deboli emotivi che possano portare a una soluzione favorevole. La seconda strategia è più complessa, bisogna esserci portati. Ma può essere efficace.

Nella realtà però spesso in queste situazioni ci lasciamo prendere dalla disperazione. Un senso di sconfitta ci assale, ci chiudiamo in noi stessi, subiamo. Oppure perdiamo completamente la bussola e finiamo per fare una scenata. Urliamo in mezzo all’aeroporto, diventiamo i pazzi della giornata, tutti ci guardano.

Una dote utile

Mantenere la calma in realtà è molto difficile, e per qualche ragione oggi ci sembra più difficile che mai. Alberga in noi un’incapacità negoziale, come se un’immensa stanchezza ci accompagnasse e affievolisse la pazienza minima che dovremmo avere.

Eppure la calma è utile. Prima di tutto perché facilita la comunicazione: quando mantieni la calma, è più probabile che tu riesca a comunicare in maniera chiara e efficace, arrivando a coinvolgere in maniera quasi naturale l’interlocutore. In secondo luogo, le emozioni sono contagiose: le persone tendono a sentirsi più coinvolte dai tuoi problemi se le avvicini in maniera amichevole e composta.

C’è poi un vantaggio intellettuale: la calma aiuta a pensare in maniera più creativa, e dunque aiuta a risolvere i problemi. Riduce inoltre le reazioni difensive negli altri, perché proietta l’immagine di una persona ragionevole e sicura, che non ha motivo di essere aggressiva.

Mi interessa questo ragionamento se lo caliamo non tanto nella storiella del bagaglio a mano, quanto nel clima della nostra società. Di certo non ci troviamo nell’epoca della calma, ma in quella del confronto rabbioso.

Che effetti ha questo sul discorso pubblico? Be’, ripercorrendo quanto detto sopra, rischiamo di trovarci in una società in cui la comunicazione dei problemi è più confusa, in cui la rabbia si diffonde come un contagio, in cui perdiamo il vantaggio intellettuale di discutere tranquillamente esplorando soluzioni creative, in cui le reazioni sono solo difensive e nessuno ha credibilità agli occhi degli altri.

L’epoca della guerra è sempre un’epoca perdente.

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