Il primo gennaio 2020 ho mandato a tutti lo stesso messaggio di auguri: «2020 anno della svolta». Chissà che svolta mi ero immaginata. Niente favorisce il pensiero magico quanto il Capodanno: diete e buoni propositi coincideranno con la durata dei fuochi d’artificio e svaniranno altrettanto rapidamente, dopo un lampo di ottimismo malriposto. Di certo non avevo messo in conto una pandemia, ma per fortuna nessuno si aspetta da me previsioni attendibili. Non si può dire lo stesso di Paolo Fox, astrologo di professione, che invece dichiarando in tv le sue solite proiezioni per l’anno nuovo aveva inquadrato il 2020 come «un anno di crescita, vantaggioso per viaggi e spostamenti», un pronostico che, visto com’è andata, più ubriaco non si poteva. Ciononostante, a distanza di dodici mesi, c’è molta più gente che mette in discussione l’affidabilità del vaccino Pfizer che non quella di Paolo Fox.

Previsioni mainstream

Di oroscopo non so quasi nulla, se non che è preferibile avere un amico serial killer piuttosto che Scorpione. Lo so mio malgrado, perché l’oroscopo ha conquistato la cultura mainstream ed è entrato nelle nostre vite sotto forma di meme, app e rubriche, come qualcosa di cui chiacchierare a cena e su cui tutti (o almeno donne e uomini gay), prima o poi, dobbiamo formulare un’opinione. Personalmente faccio fatica a crederci.

Non per una particolare vocazione illuministica – faccio anche fatica a credere che un aereo possa sollevarsi da terra con tutte quelle persone a bordo e nonostante me ne sia stato spiegato il funzionamento in più occasioni, ogni volta che devo volare faccio il check-in con lo spirito di un condannato nel braccio della morte –, ma quando ho provato a interessarmene ho avuto l’impressione che ci fossero troppe varianti – soli, lune, ascendenti, l’onnipresente Mercurio retrogrado, fonte di tutti i nostri mali – e che alla fine il margine d’errore fosse talmente ampio da comprendere in sé tutto e il contrario di tutto.

Eppure l’oroscopo non è più qualcosa che leggi distrattamente sulle riviste mentre aspetti che il parrucchiere ti faccia la piega. Non è più una tecnica d’approccio, com’era invece per l’amico bagnino di mio padre che negli anni Ottanta si faceva il giro della piscina a chiedere a tutte le ragazze «di che segno sei?», tipo pesca a strascico. Non è neanche più Paolo Fox che canna le previsioni dell’anno nuovo.

I millennial vi hanno attribuito una nuova dignità che l’ha reso un valido sostituto di psicanalisi e religione. La prima viene rimpiazzata per una banale questione economica: chiunque può farsi un quadro astrale gratuito dal proprio iPhone, invece che spendere 80 euro all’ora per chissà quanti anni senza riuscire a cavarne un’autodeterminazione altrettanto rassicurante (nessun quadro astrale tira in ballo tua madre, al quadro astrale non importa se hai fatto la pipì a letto fino ai 14 anni. Siamo tutte creature splendide e complesse e l’universo è grandissimo, c’è spazio per tutti. Tranne che per gli Scorpioni, gli Scorpioni se ne andassero affanculo).

Nel caso della religione invece sembra evidente che l’astrologia abbia in qualche modo colmato un vuoto spirituale nella nostra quotidianità. Nel 2019 sono stata a vedere uno spettacolo di Louis CK, che a un certo punto si è rivolto al pubblico per chiedere chi credeva in Dio. Nel teatro pieno si saranno alzate dieci mani in tutto. Il comico era talmente divertito dalla scoperta che ha continuato il sondaggio: chi è stato in Nuova Zelanda? Chi ha visto i Van Halen dal vivo? C’era più gente che credeva nei Van Halen che in Gesù Cristo. Avesse chiesto «chi pensa che gli Scorpioni vadano esiliati tutti insieme su un’isola deserta nel Pacifico?» sono certa che avrebbe ottenuto risultati migliori.

Esoterismo vs religione

Sono cresciuta con due genitori non credenti, in un mondo in cui l’unica Ostia che conta è quella in cui hanno ucciso Pasolini, quindi so di religione più o meno quanto so di oroscopo, ma va detto che l’esoterismo ha un che di magico e fricchettone che lo rende ai miei occhi molto più digeribile e accattivante della gran parte delle pratiche cattoliche (non ricordo esperienza più estenuante di una messa).

Quindi di recente – in questo anno di bilanci forzati e rivalutazione delle priorità – ho deciso di dare all’astrologia una chance. Ho scaricato Co-Star, l’app dal successo mondiale fondata nel 2017 dall’americana Banu Guler, che ha stabilito i suoi uffici in un loft di Chinatown a New York, insieme a una squadra di giovani donne vestite di nero che maneggiano l’algoritmo delle stelle, come delle streghe moderne fastidiosamente cool.

Co-Star funziona così: elabora un oroscopo personalizzato quotidiano in base alla completa carta astrale dell’utente, ovvero in base non solo al segno zodiacale di ciascuno, ma a tutte le posizioni dei pianeti al momento della nascita. Ed ecco il primo ostacolo, ancora prima di iniziare: ho chiesto ai miei genitori a che ora sono nata e mi hanno dato due risposte diverse (non credo in niente, se non nella certezza matematica che mia madre e mio padre saranno sempre in disaccordo su qualsiasi cosa).

Ho deciso di fidarmi di mia madre, che per quanto sedata al tempo e tendenzialmente imprecisa su questioni di orario (al punto che i suoi amici hanno coniato il "Pico-Silvia”, l’unità di misura per quantificare un ritardo dai 45 minuti in su) in questa specifica circostanza mi sembra la più attendibile. Così procedo con il mio quadro astrale. Che sono del Toro lo sapevo già. Scopro l’ascendente Cancro e la Luna in Bilancia e inizio a leggere tutti i profili degli altri pianeti, arenandomi al Saturno in Aquario, all’altezza del quale mi rendo conto di aver perso anche il poco interesse che nutrivo e realizzo di aver appena letto talmente tante definizioni contrastanti della mia presunta personalità da non avere più alcuna idea di che tipo di persona sia. Mi scopro a rivalutare la messa, dove almeno a un certo punto mettono la musica.

Nei giorni successivi però Co-Star continua a mandarmi messaggi sintetici, spesso quasi aggressivi (lascia perdere, chi ti credi di essere) e mi viene il sospetto che Co-Star sia dello Scorpione. Non trovo nessun conforto, nessun legame con la mia vita, ma mi ostino ad aprirla tutti i giorni perché l’app ha una grafica gradevole in bianco e nero che mi ricorda i credits di Woody Allen, e ormai aspetto la notifica quotidiana con lo stesso febbrile entusiasmo con cui scarto il Cucciolone Algida per leggere una barzelletta che so già che mi farà tristezza.

La versione orientale

Ormai ci sono dentro fino al collo e, non paga, decido di esplorare anche Il metodo Power Wish (HarperCollins, 2020) di Keiko, famosa astrologa giapponese e autrice bestseller, nella speranza di scoprire che in Giappone l’astrologia assomiglia meno a una fede religiosa e più ai Cavalieri dello Zodiaco.

Mi scontro invece con un manuale tecnico per esprimere desideri rivolgendosi all’universo con parole e formule molto precise (poco Cavalieri dello Zodiaco, molto Marie Kondo). L’universo, infatti, realizza i desideri solo di chi lo sa prendere per il verso giusto, a volte non è dell’umore (è forse l’universo uno Scorpione in piena sindrome premestruale? Qualcuno ha mai provato a offrirgli del cioccolato?).

Keiko spiega come e quando formulare i propri desideri, corredando le istruzioni di alcune letterine paracule che lei e i suoi amici hanno scritto all’universo nelle corrette fasi lunari, garantendosi i benefici concreti del metodo Power Wish. Ad alcuni esempi è particolarmente difficile relazionarsi: Keiko racconta di quando aveva bisogno di un buon produttore alimentare (eh?) e l’universo gliene ha mandato uno. Il che fa pensare che non ci sia limite a cosa puoi chiedere all’universo: una macchina nuova? L’eredità di una vecchia zia miliardaria defunta che non sapevi esistesse? Il potere di mangiare senza ingrassare? Il teletrasporto?

Mentre leggevo la ricetta dell’acqua lunare alla fine del libro e l’emisfero destro del mio cervello cercava di scappare da me con la stessa determinazione di Clint Eastwood in Fuga da Alcatraz, mi è tornata in mente l’opera di un’altra donna giapponese dall’aura mistica ma non troppo, L’albero dei desideri di Yoko Ono, un albero a cui i visitatori possono appendere dei bigliettini di carta con le loro speranze per il futuro.

Ho visto l’installazione alcuni anni fa, nel giardino di Peggy Guggenheim a Venezia, e in mezzo agli auguri di pace e prosperità che oscillavano tra le foglie, io e il mio ragazzo dell’epoca attaccammo il primo desiderio che ci venne in mente, considerato che eravamo giovani, innamorati, in salute e ci sembrava di non poter chiedere niente di più se non: vincere il Superenalotto. Giocammo la prima e ultima schedina della nostra vita il giorno stesso, apertamente scettici e segretamente speranzosi. Non vincemmo niente, ça va sans dire.

Forse era il momento sbagliato del ciclo lunare, forse stavamo sulle palle all’universo. Più probabilmente non esiste nessun ordine cosmico che possa garantire la nostra felicità. «Il comune denominatore dell’universo non è l’armonia, ma il disordine, lo scontro, l’assassinio» dice il sempre incoraggiante Werner Herzog in Grizzly Man. Ma la verità è che sia l’acqua di luna, l’oroscopo, un albero, un braccialetto colorato che si spezza, una stella cadente, la convinzione che se non pestiamo le crepe sui marciapiedi andrà tutto bene o l’inizio di un nuovo anno, abbiamo tutti bisogno di un po’ di magia nella nostra vita.

Forse la mia generazione ne ha più bisogno di altre. Sarà che siamo cresciuti aspettando di ricevere la lettera da Hogwarts. Sarà che in astrologia ognuno di noi è al centro del proprio universo, una posizione che alimenta la tendenza solipsistica da cui siamo già irreversibilmente afflitti (disse con tono saccente quella che da mesi infligge i fatti propri ai lettori di questo giornale). Sarà che viviamo in un mondo che sta contemporaneamente annegando e andando a fuoco e ci sembra ragionevole cominciare a studiare i pianeti adesso, in vista di un possibile trasferimento su Marte. Spero solo di non doverci arrivare in aereo.

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