Erano un uomo e una donna su una banchina ferroviaria di Santa Maria Maggiore, un paese subalpino a una schioppettata dalla Svizzera. La val Vigezzo, nonostante il novembre inoltrato, offriva uno scorcio ancora estivo, e i suoi boschi erano verdissimi.

La donna sbuffò. «Non è stato un vero foliage».

«Ci abbiamo provato», rispose l’uomo, stringendosi nelle spalle.

«Neanche qui c’è l’autunno…», ribadì con delusione la donna.

Restarono in silenzio in attesa del trenino che, con il suo sferragliare e fischiare sempre uguale da cento anni, li avrebbe riportati a Domodossola. Le rotaie si perdevano in una calanca di castagni e querce, faggi e aceri, lambendo burroni a strapiombo su torrenti o case col tetto di ardesia. 

Gli spazzacamini

«Ci scriverò su un racconto», dichiarò l’uomo.

La donna distolse lo sguardo dal binario e puntò i suoi occhi su di lui. «Almeno tu hai la letteratura».

Il giorno prima l’uomo e la donna avevano visitato un luogo ameno di cui neanche conoscevano l’esistenza, il museo dello spazzacamino, dove erano conservati cimeli e divise d’epoca: a quanto pareva gli spazzacamini erano nati proprio in quella valle, tanta gente che d’inverno moriva di fame e che aveva pensato di migrare verso i paesi del nord, pieni di camini da sturare e pulire…

«Scriverò di un ispettore mandato da Roma per controllare l’arrivo dell’autunno», dichiarò l’uomo. «L’ispettore viene ingannato da un gruppo di agguerriti spazzacamini che nottetempo colorano tutta la valle di giallo e di arancione».

«Dipingono gli alberi per infinocchiare l’ispettore?».

«Esattamente, per fargli credere che l’autunno sia arrivato».

«Gli spazzacamini avrebbero potuto dipingere anche per noi…».

L’uomo sorrise e strinse a sé la donna. «Ti piace?»

«A volte penso che tu non faccia distinzione tra la scrittura e la vita».

«Che intendi?».

«Quel che ho detto.

«Sembra un’accusa».

«È una constatazione. Gli spazzacamini mentono all’ispettore e tu menti a me». 

«Io non ti mento, ci abbiamo provato. Fa caldo e non piove da settimane, magari quassù poteva essere diverso».

La donna fece una smorfia. «Non parlavo del foliage».

L’uomo proseguì come se niente fosse: «Qualche acero comincia a ingiallire».

«Sono tutti ancora carichi di foglie. Io voglio le foglie che cadono».

«Pioviggina».

«Voglio una tempesta».

«Abbiamo anche visto la nebbia».

«E tu quella la chiami nebbia?», disse la donna, indicando un punto preciso del calanco, dove un esile banco di nebbia sembrava qualcuno che per scherzo si era messo un lenzuolo addosso: un fantasma del fenomeno atmosferico.

Il narcisista

L’uomo sospirò. «Mi è passata la voglia di scrivere il racconto».

«Lo scriverai, se non altro per narcisismo».

«Ancora con questo narcisismo?».

«Ti piace che le lettrici si fotografino coi tuoi libri sulle cosce, tutto qui».

«Non sarei comunque un narcisista. Mi rifiuto di entrare in una categoria così generica e alla moda».

La donna scoppiò a ridere. «Siamo tutti narcisisti?».

«Non ci avevi fatto caso?».

«Vanitoso può andare?

L’uomo lasciò cadere l’accusa nella gola della vallata».

«Mi menti», insistette la donna.

«Quasi mai».

La donna ridacchiò. «Questa è bellissima, devo ammetterlo. Come se non bastasse una volta sola».

«Ti ricordo che tra di noi sta andando tutto bene. Non abbiamo mogli o mariti che si mettono in mezzo o ex ingombranti. Non abbiamo neanche aborti da affrontare o malattie degenerative o…».

«Stiamo insieme, non ti basta come problema?».

Stavolta fu l’uomo ad accennare un sorriso.

«Non mi credi?», insistette la donna. «Io ne sono convinta. Le relazioni hanno sempre qualcosa di terribile, sennò non sono niente. Conoscersi è entrare in collisione».

Menzogna o verità?

«Cosa vuoi?», chiese l’uomo di punto in bianco.

«Mi basterebbe un autunno credibile».

Ancora entrambi si voltarono istintivamente in direzione dei binari come se il trenino che stavano aspettando potesse salvarli da loro stessi.

Per un attimo la pioggerella s’intensificò e le foglie dei castagni, degli aceri, delle querce, dei salici e dei faggi intonarono una tenue sinfonia d’autunno.

«Come finisce il racconto?», domandò la donna. «Vincono gli spazzacamini imbroglioni o l’ispettore scopre la verità?». 

L’uomo si preparò una sigaretta con una cartina e del tabacco sfuso, cercando di ripararsi dalla pioggia sotto la tettoia della stazione.

« Appena me l’accendo arriverà il treno, scommetti? Succede sempre così…».

«Non cambiare discorso, dimmi del racconto».

«Non lo so, immagino che dovrei dare importanza al cambiamento climatico, parlare di anticicloni persistenti e di fronti freddi latitanti».

«Risparmiami questi discorsi da scrittore, per favore.  Io voglio sapere come finisce il racconto».

«Menzogna o verità?».

«Esattamente».

«Tu tifi per la verità?».

«Sì, l’ispettore deve scoprire tutto, le foglie si stingono con il primo acquazzone, la vernice gialla e arancione scivola via e forma patetiche pozze d’acqua sporca».

«E se invece lo facessi tornare a Roma ingannato e contento?».

«Non ci può essere vera contentezza nell’inganno».

A quel punto il trenino, con il suo sferragliare e fischiare uguale da cento anni, piombò finalmente sulla banchina. Le porte si aprirono e da dentro annunciarono: «Linea Vigezzina-Centovalli, diretto per Domodossola».

L’uomo salì per primo, precipitosamente, come se gli fosse stata offerta un’occasione imperdibile, mentre la donna lo fece quasi con riluttanza, rifiutando di farsi aiutare dalla mano che lui le tendeva dal predellino.

Le mucche salvifiche

Si sistemarono nei posti prenotati.

«Magari adesso l’autunno lo troviamo a Roma», disse l’uomo.

«Sì certo, non l’abbiamo trovato qui e lo troviamo a Roma».

L’uomo si mise a ridere. «Bello, no?».

«È solo un altro dei tuoi inganni».

«Inganno è una parola melodrammatica. Come narcisista».

«Avevamo detto che sei vanitoso. Ci eravamo messi d’accordo su vanitoso».

L’uomo parve ricordarsi di una cosa importante. «E non mi piace per niente quando le lettrici si fotografano coi miei libri sulle cosce».

«Per niente, vero? Come soffri!».

«Preferirei che mi leggessero».

«Non ne sono del tutto convinta».

L’uomo tentò di intrecciare una mano a quella di lei, senza riuscirci: «La gelosia è una tempesta, comunque».

«Che c’entra?».

«Sei tu che hai cominciato a parlare del foliage come una metafora».

«Ah sì?».

«Credevo di sì».

«E se invece non ci fosse nessuna metafora? Ne saresti deluso?».

«Un po’ sì».

Restarono in silenzio per un po' mentre dal finestrino scorreva invariabilmente una vegetazione lussureggiante: tentativi d’autunno falliti.

«Allora è o non una metafora?».

«Chissà».

«Chissà?».

«Mica solo gli scrittori amano le menzogne, sai».

«Il foliage lo volevo anche io».

Il treno tagliò dentro una fattoria e un gruppo di mucche spuntò noncurante dal finestrino. La donna, per quanto si sforzasse, non riuscì a trattenere una risatina.

«Lascerò perdere gli spazzacamini, scriverò un racconto sulle mucche».

La donna gli dette una gomitata. «Cretino!».

«Sei una narcisista, ecco cosa sei».

«Una vanitosa, semmai».

Risero ancora tutti e due.

«Il vero elemento risolutivo è la leggerezza», disse l’uomo, ora improvvisamente serio.

La donna gli porse finalmente la mano. «Gli psicologi fallirebbero se la gente lo sapesse».

*Il treno del foliage della storica ferrovia Vigezzina-Centovalli che attraversa la parte settentrionale del Piemonte fino alla Svizzera così come il Museo dello Spazzacamino a Santa Maria Maggiore (che ogni anno in settembre ospita anche il raduno degli spazzacamini di tutto il mondo) non sono frutto di fantasia, bensì realtà tangibili.

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