Cara Giulia,

Ho quasi 25 anni e non ho mai avuto una storia seria. Non è che non ci abbia provato. Mi piacerebbe avere qualcuno con cui passare più di qualche appuntamento, ma ogni volta che esco con un ragazzo per un po’ mi ritrovo sempre al punto di partenza. Mi annoio facilmente.

Sono sbagliata? Con l’ultima persona con cui sono uscita temo di aver fatto un errore. Era dolce e mi piaceva fisicamente, ma mi sembrava di non avere niente in comune con lui. Vorrei una persona con cui condividere passioni e hobby, con cui parlare delle cose che mi piacciono. Lui era molto diverso da me. A me piacciono l’arte, i libri, il cinema e lui sembrava annoiato da queste cose. Non avevamo molti punti di incontro, oltre all’attrazione reciproca. Forse però l’ho lasciato andare troppo presto e dovrei dargli un’altra chance.

Il fatto è che non so quanto sia necessario in una coppia avere gusti simili. Nella mia testa è una cosa importante, ma visto che dopo tutti questi anni sono ancora sola comincio a pensare di dover rivedere le mie priorità. Quindi chiedo a te: si può amare qualcuno completamente diverso da noi? Bisogna fare dei compromessi?

Grazie,

S.

Cara S.,

Prima di tutto vorrei tranquillizzarti segnalandoti che a 25 anni, tra tutte le cose di cui potresti legittimamente preoccuparti – il riscaldamento globale, l’età in cui ti sarà concesso di andare in pensione, il fatto che alla tua età Zadie Smith pubblicava Denti bianchi – non avere mai avuto un fidanzato non merita neanche di avvicinarsi al podio, non guadagna neanche una medaglia di legno.

Non avere fretta: a differenza delle tasse – altra legittima preoccupazione – per la tua vita sentimentale non ci sono scadenze, non hai nessuna dichiarazione dei redditi da compilare.

Puoi liquidare tutti gli uomini che vuoi, fare un viaggio da sola, andare a letto con qualcuno al primo appuntamento o al decimo o mai e avrai tutto il diritto di prendere le misure di queste scelte, lasciarle depositare, e decidere come ti fanno sentire. Non c’è un’età migliore per farlo. Quindi no, non sei assolutamente “sbagliata”, qualsiasi cosa significhi.

In quanto alle passioni condivise posso risponderti solo come gli Jarabe de Palo: depende. Dipende da che persona sei – o sarai, andando avanti – e da quanta importanza attribuisci all’intesa intellettuale con un’altra persona. In una mia personalissima valutazione sapere che se regalo un libro a qualcuno quello non lo usa per farci gli aeroplanini di carta conta da “abbastanza” a “molto”, ma è anche vero che sto con una persona che fa il fantacalcio (però è laureato in letterature comparate, quindi le due cose si annullano).

Credo che non si possa pretendere di trovare un partner con cui si è sempre d’accordo su tutto (che noia, fra l’altro), ma fatico a immaginarmi in una relazione con un uomo spiritoso e piacevole che però per hobby colleziona busti di Mussolini (ammesso e non concesso che questa persona esista). La serenità sta da qualche parte tra il fratello gemello e il nostalgico fascista.

Cara Giulia,

non so se questo è lo spazio giusto per confidarmi, ma ci provo. Sono un ragazzo al secondo anno di università e ho paura di aver sbagliato strada.

Quando ho finito le superiori non avevo interessi particolari e ho scelto di iscrivermi a giurisprudenza consigliato dai miei genitori. Ora però mi rendo conto che faccio fatica a studiare e il traguardo della laurea mi sembra irraggiungibile, mentre per la maggior parte dei miei amici non è così.

Forse non aver potuto frequentare le lezioni normalmente per via del Covid ha reso questa esperienza ancora più difficile, ma ogni volta che apro un libro ormai ho un senso di fastidio e non riesco a concentrarmi.

Ho anche capito che in realtà mi piacerebbe seguire altri percorsi e nell’ultimo anno mi sono appassionato ad argomenti che mi porterebbero verso facoltà umanistiche. Ma ho paura di deludere i miei genitori e che sia troppo tardi per tornare sui miei passi e cambiare percorso di studi.

V.

Caro V.,

nell’estate del 2011, anno della mia maturità, mio padre spingeva perché mi iscrivessi a scienze internazionali e diplomatiche a Forlì. Ad oggi non mi è ancora molto chiaro il perché: a parte un’indole un po’ paracula (leggi “diplomatica”) non avevo particolari inclinazioni per quel tipo di studi. Forse non ero portata per studiare in generale.

Dalla maturità ero uscita con un voto da asina e avevo passato gli ultimi anni di scuola trincerata dietro ai dizionari di latino e greco strategicamente collocati sul banco a farmi una valanga di cazzi miei.

Mi piaceva leggere e mi piaceva scrivere e volevo andarmene di casa. Non sapevo nient’altro (nessuno sa niente a 18 anni). Ma con l’arroganza che solo quell’età ti sa dare mi impuntai per venire a Milano, e dopo lunghe, lunghissime, conversazioni e una lettera piena di buone intenzioni che convinse mio padre per sfinimento, presi la mia strada.

Oggi non sono né un esempio di grande successo né sono completamente insoddisfatta della mia vita. Ogni tanto mi capita di pensare che, tornassi indietro, farei molte cose diversamente, ma mai che sarei dovuta andare a Forlì. E se rileggessi quella lettera sono abbastanza sicura che scoprirei di aver mantenuto la maggior parte delle promesse.

Tutto questo per dirti, con un’incongrua quantità di aneddoti personali, che uno sa dove può arrivare e dove no. C’è chi è capace di passare cinque anni a testa bassa a studiare qualcosa che odia e chi ha bisogno di una qualche forma di gratificazione per andare avanti. Ammiro e invidio molto i primi, ma capisco di più i secondi.

Esplora i tuoi limiti e stai tranquillo: non è troppo tardi per correggere il tiro.

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