Un ragazzo è seduto su un prato con una ragazza. La scena, a prima vista, è romantica. Un appuntamento amoroso, una storia nuova, le possibilità che si schiudono. Lui le chiede che lavoro fa e lei gli dà una risposta evasiva, dice di interessarsi di molte cose, cinema, teatro, fotografia, musica, lettura. Lui allora la incalza: «Sì, ma concretamente cosa fai?» E lei: «Mah… Te l’ho detto. Giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio delle cose…» E lui: «Ma come campi? E l’affitto come lo paghi? E i vestiti? E il mangiare? E questa sigaretta?» 

A ogni domanda lei riesce a mantenersi sfuggente, rilassata, nonostante lui sia via via più agitato. I beni materiali le arrivano dagli amici e dal caso, spiega. Sembra che la questione economica in fondo non la riguardi.

La scena appena descritta è piuttosto nota, compare in un film del 1978 di Nanni Moretti, Ecce Bombo. È senza tempo, e ha qualcosa di universale: le domande di lui sono universali, il tetto sopra la testa, gli abiti, il cibo, le sigarette come vizio alla portata di tanti. Una scena potente. Credo che persone diverse notino cose diverse, guardandola, ieri e oggi. La ragazza forse incarna una certa precarietà della vita, e un modo in apparenza positivo di rispondere a questa precarietà. Oppure ha assunto una posa naïf, nel qual caso la sua è una semplicità costruita. O addirittura è in realtà molto ricca, e vive come quei personaggi agiati e alternativi di certi romanzi. Bohémienne senza che si capisca da dove le arrivano quei soldi che pur deve spendere.

Domande economiche

Chi guarda il film di certo nota la frustrazione del ragazzo, Michele Apicella, il personaggio interpretato da Nanni Moretti. Un fastidio espresso da piccoli movimenti del viso e del corpo. Michele Apicella realmente vorrebbe delle risposte.

Le domande che fa a una ragazza con la quale ha una relazione appena nata sono – piaccia o non piaccia – domande economiche, e nel momento in cui non riceve delle risposte comprensibili è come se la ragazza gli risultasse un po’ sgradevole. Senza dubbio c’è qualcosa di dolciastro nei modi di lei.

Altri potrebbero pensare però che la persona sgradevole è Michele Apicella, spesso Nanni Moretti fa assumere a questo personaggio ricorrente atteggiamenti difficili. Michele Apicella è un moralista, ma un moralista di un certo tipo. Non giudica le situazioni particolari partendo da una premessa universale, ma giudica il mondo partendo da posizioni personali che possono restare oscure. Però forse non è importante stabilire chi troviamo più sgradevole. Quello che conta è la scena, una scena che esiste, è viva e lascia qualcosa. Parla delle verità economiche inespresse e della tensione che il non detto, anzi la nebulosità, può provocare. 

In qualsiasi momento esiste una verità economica che ci descrive. Magari è un po’ nascosta, ma c’è e non sarebbe poi così difficile estrarla. Può essere definita anzitutto in modo numerico e attuale: quanti soldi abbiamo. Il valore del patrimonio di nostra proprietà, se esiste, al netto dei debiti; le rendite che ne derivano, sempre se esistono; l’entità dei nostri redditi da lavoro, se lavoriamo; le spese, lo stile di vita.

Poi ci sono i soldi non nostri ma dei quali beneficiamo o beneficeremo. Se riceviamo denaro dalla famiglia d’origine o dalla persona che vive con noi, se abbiamo patrimoni famigliari che ci circondano come una nuvola di benessere, se ci sono eredità che un giorno avremo. Naturalmente questo denaro non nostro ha una natura diversa. Parla in modo diverso di noi.

Poi c’è la nostra storia economica, ossia la storia di questi soldi o della loro assenza. Da dove arriva la nostra prosperità o povertà o medietà? È frutto di fortune, sfortune, ingiustizie? Quali? La storia economica non è la creazione di un’epica, ma una descrizione libera dalle passioni. L’epica offuscherebbe la verità economica, come quando nelle famiglie si favoleggia di antiche fortune o sventure finanziarie, e alla fine prende il sopravvento la falsità. Non bisogna cedere alla favola.

Partendo da queste informazioni prendono forma dei profili esistenziali economici, verità umane con una misurabilità. Descrivibili. Avremo una persona che guadagna molto, perché fa un lavoro ben pagato, ma che non ha patrimoni famigliari significativi, e non li ha perché non sono mai stati accumulati da nessuno dei suoi avi. Oppure una persona che guadagna poco perché fa un lavoro bellissimo che paga poco. Lo fa solo perché può permetterselo? Magari sì, grazie a un grosso patrimonio famigliare, le cui origini possono essere più o meno legittime.

O ancora una persona che non ha nulla, ma proviene da una famiglia che aveva molto, e che non ha più. O una persona che ha poco, ma quanto basta in base al suo stile di vita, e che deve misurare tutto e fare attenzione. O una persona che non ha, non ha mai avuto e forse mai avrà.

Tutte queste sono verità economiche. Spiegano qualcosa di chi siamo e di chi sono gli altri. Chi siamo per causa nostra, ma anche per via di un sistema o della sorte. (Persone con una visione diversa della società avranno una visione diversa del peso della sorte e delle possibilità. “Basta fare le scelte giuste, impegnarsi”, dirà uno. “No, non basta, perché bisogna anche trovarsi ad avere la possibilità di impegnarsi”, risponderà un altro).

Oltre i soldi

Le verità economiche non ci descrivono in modo esaustivo, ma neppure in modo residuale. Il loro valore va al di là della misura dei soldi che abbiamo. Sono verità legate profondamente alla nostra vicenda personale. Se definire i confini dell’identità è difficile, è però possibile immaginare che una parte dell’identità sia l’identità economica. Fonte di imbarazzo e di reticenze, luogo della vergogna o dell’orgoglio o della vanità. Talvolta nascosta sotto coltri di polvere, ma sempre presente, dotata di suono.

Potremmo fare un esperimento mentale, immaginare cosa accadrebbe se la verità economica di ognuno fosse conosciuta e pubblica, esposta e accessibile. Un cartello appeso alla schiena che dice cosa possediamo. Si passerebbe il tempo a giudicare gli altri? Oppure, proprio perché ogni cosa è nota, il passatempo del giudizio decadrebbe? Ci troveremmo sicuramente in una dittatura? O in una forma elevata di civiltà? Le nostre posizioni politiche sarebbero analizzate di continuo?

Oppure si supererebbero certi aspetti del dibattito? (“Se sei ricco puoi o non puoi avere posizioni pro o contro i ricchi, se sei povero…” E così via). Avrebbe ancora senso parlare di invidia sociale? L’invidia sociale viene usata, secondo alcuni a sproposito, secondo altri no, per smascherare le reali ragioni di una posizione politica. “Non siete davvero contro questo sistema per ragioni ideologiche, lo siete per invidia verso i ricchi.” Ribadisco che si tratta di un esperimento mentale. Serve per capire di cosa si parla, non per suggerire mondi possibili.

Vivere senza lavorare

Penso ora a un altro film. Will Freeman è un uomo attraente, sulla trentina, single, senza figli. Vive in una casa molto bella nel centro di Londra. La sua vita si basa sulla ricerca di piccoli piaceri, sul possesso di oggetti costosi, sulla frequentazione di donne che porta a cena in bei ristoranti. Will non lavora. Quando entra in confidenza con qualcuno è normale che gli venga chiesto (un po’ alla Michele Apicella) «Ma scusa, tu come fai a vivere senza lavorare?» 

Lui a quel punto assume un’aria imbarazzata. Si blocca per un attimo. Poi spiega di vivere di rendita perché suo padre scrisse una famosa canzone di Natale. «Ma quale? Se è così famosa la conoscerò». Will allora, con titubanza, dice il titolo, ben sapendo cosa accadrà. Il suo interlocutore, ogni volta, resterà a bocca aperta, poi inizierà a cantare la canzone, e la situazione sarà un po’ ridicola. Will sa di essere visto come uno che «non combina niente». E sa che la sua verità economica, il suo privilegio, non ha nulla di epico. Ma sceglie di esporsi.

Il film è About a boy, tratto dal romanzo di Nick Hornby. Will (Hugh Grant nel film) non è un individuo moralista, non è neppure molto onesto. Ma c’è in lui un fastidio sotterraneo per un certo tipo di reticenza. Ci troviamo qui all’inizio di una storia più ampia. Scopriremo cosa emerge quando non si ha paura di esplorare il fondo di quello che si è, di quello che sono gli altri. Ben oltre la verità economica, sia chiaro, ma senza nebulosità, anche.

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