Come studiosa di comunicazione, di consumi e advertising, ho sempre seguito con grande interesse il lavoro che Oliviero Toscani ha svolto in particolare come fotografo pubblicitario. Impossibile, d’altra parte, non notarlo: in questo campo Toscani ha sempre fatto parlare molto di sé, ha diviso gli animi, acceso discussioni, fomentato polemiche e attacchi.

Era la sua cifra stilistica, il suo marchio di fabbrica, per usare espressioni che, pur essendo logore e come tali lontane dalla creatività che lo ha sempre contraddistinto, rendono subito l’idea. «Nel bene o nel male, purché se ne parli» (o qualcosa del genere) è il motto con cui da anni, in pubblicità come in politica, in televisione come sulla stampa e sui social media, si giustificano le comunicazioni più aggressive e provocatorie.

La frase riprende un passaggio del Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde (1890) («There is only one thing in the world worse than being talked about, and that is not being talked about») e pare adattarsi specialmente all’ultimo Toscani, quello che, dal 2000 in poi, dopo la fine della collaborazione con Benetton (cominciata nel 1983), tornò a muoversi in solitaria sul mercato (salvo la breve ripresa con Benetton dal 2018 al 2020).

Infatti, anche se il suo lavoro in pubblicità è sempre stato molto controverso, fin dai celebri manifesti “Chi mi ama mi segua” e “Non avrai altri jeans all’infuori di me” del 1973, accusati di blasfemia dal Vaticano, è soprattutto negli ultimi vent’anni che le provocazioni di Toscani hanno dato l’impressione di un complessivo crescendo, indipendente dai brand per cui ha lavorato, da Nolita e Relish, marchi di abbigliamento, alle assicurazioni Genertel, fino al nuovo formato de L’Unità.

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Indipendente dai brand al punto tale da farli di volta in volta dimenticare, per attirare l’attenzione sempre e solo su di lui, il fotografo irriverente e impenitente. Ed è sempre negli ultimi vent’anni che si sono intensificati i contrasti con l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, in cui lui non si riconosceva, e persino le citazioni in giudizio, visto che ha accumulato denunce per diffamazione, vilipendio alla religione e altro, da parte di uomini politici (Salvini, Gasparri) e di persone qualunque. In tribunale, poi, è stato a volte condannato, a volte assolto, ma il crescendo ha fatto sì che negli anni si consolidasse l’idea che quel “nel bene o nel male” fosse soprattutto un “nel male” e assai meno un “nel bene”.

Impegno sociale e anticonformismo

Tutto ciò ha oscurato, almeno in parte, il contributo di Toscani non solo più innovativo, ma più duraturo, meno legato all’estemporaneità della polemica di turno. Qualcosa che, alla fine di una vita, si può indicare come il suo lascito principale, ciò che di lui ancora resta nella comunicazione contemporanea. Lo riassumo in due punti: l’impegno sociale e l’anticonformismo, che in pubblicità significa soprattutto evitare o ribaltare gli stereotipi.

Per quel che riguarda il primo punto, oggi nessuno più si stupisce quando le multinazionali promuovono campagne di sensibilizzazione sociale con obiettivi commerciali. Ebbene, il primo a fare una cosa del genere fu proprio Toscani, quando dal 1983 al 2000, per oltre 17 anni, associò all’immagine di Benetton, con scatti fotografici subito riconoscibili e concept spesso inquietanti, temi come l’uguaglianza razziale, la pace fra i popoli, l’antimafia, la lotta contro l’omofobia, il contrasto al diffondersi dell'Aids, l'abolizione della pena di morte. In questo modo Toscani non solo trasformò l’azienda italiana in uno dei marchi più celebri al mondo, ma anticipò un modo di fare comunicazione che oggi va ben oltre la pubblicità e arriva fino alla responsabilità sociale d’impresa.

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Per quel che riguarda il secondo punto, la rottura degli stereotipi, il contributo di Oliviero Toscani è molto più sfumato e diffuso, più difficile da collegare a singole campagne, perché dipende dal suo atteggiamento complessivo, dal suo sguardo sul mondo. Per semplicità, mi limito a ricordare la rappresentazione della varietà dei corpi umani che Toscani ha sempre messo in scena, dagli “United Colors of Benetton” degli anni Ottanta al progetto "Razza Umana" iniziato nel 2007, una ricognizione fotografica mirata a censire tutte le espressioni e le caratteristiche somatiche, sociali e culturali dell’umanità.

Toscani ha sempre fotografato e magnificato razze diverse, età diverse, fisionomie irregolari, bellezze non canoniche, corpi di tutte le taglie, colori di capelli strampalati, incarnati imperfetti.

Un ventaglio di differenze e unicità che ha sempre reso sfolgoranti. Si pensi allora a quanto oggi si parli, dalla pubblicità ai social media, di diversity e body positivity. Molto se ne parla, però, e meno si praticano, visto che sui media l’omologazione e gli stereotipi tendono sempre a riguadagnare terreno. Anche in questo, insomma, Toscani è stato il primo. E finora il migliore.

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