Si fa presto a dire grani antichi. E anche ad abusare del fascino della locuzione più sbandierata nell’ultimo decennio, almeno, della storia della panificazione (al pari dell’onnipresente, onnipotente, lievito madre, che tutto può e tutto risolve, anche quando a rivendicarne l’utilizzo è qualcuno non in grado di domarlo: no, il lievito madre non può essere una religione).

Nel kibbutz di Einat, entroterra israeliano non troppo distante da Tel Aviv, Hagay Ben Yehuda produce il suo pane a partire da varietà tradizionali di grano, macinate a pietra, padroneggiando la lievitazione naturale. Ma nel suo forno di campagna ogni cliché diventa sostanza. Perché nella sua terra, quella Mezzaluna fertile raccontata sui libri di storia di tutto il mondo, il grano si coltiva dalla notte dei tempi, anche se oggi riallacciare i fili con un passato soverchiato dall’avvento di coltivazioni estensive e farine industriali, in gran parte di importazione, non è semplice neppure in Israele.

Hagay Ben Yehuda, però, non ha avuto paura di tornare alle origini, anche quando si è trattato di mettere in crisi le sue convinzioni, scavando nella storia della sua famiglia, ebrea di origini polacche, e della terra che l’ha accolta alla fine dell’Ottocento. E ricercando le radici della sua identità per trovare uno stile di panificazione rispettoso del contesto che l’ha generato e insieme personale.

Da Israele all’Europa, e ritorno

Per capirlo ha dovuto viaggiare, alla volta di Francia e Germania – «l’Europa a cui guardavo come la patria della panificazione moderna» – per apprendere tecniche moderne e scoprire il valore dei grani autoctoni, con il risultato di sentirsi rispondere dai suoi “insegnanti” che la migliore ricerca sulle origini del grano e sulla storia della panificazione avrebbe potuto condurla senza allontanarsi da casa.

«La mia famiglia ha iniziato a panificare nel 1890, quando ha fondato un forno a Petah Tikva. Portava con sé la cultura di panificazione dell’est Europa, sfornando pane di segale e challah. Mio nonno mi raccontava della prima volta che fece la conoscenza del grano duro locale, ricevendo un sacco di farina da alcuni mercanti arabi. Ricordava distintamente il gusto delizioso del pane giallastro che ne aveva ricavato».

E quando Hagay Ben ha scelto di mettersi sulle tracce del passato per dare slancio alla sua moderna attività, ha dovuto intraprendere un lungo processo di riscoperta, spendendosi attivamente sul campo (in campo, con una propria produzione di cereali) con il supporto del Weizmann Institute e del Volcani Center, impegnati nel progetto “Land of Wheat”, per studiare centinaia di diverse varietà di grani tradizionali locali.

I grani antichi (per davvero)

«La scena della panificazione locale si è evoluta moltissimo, negli ultimi decenni. Seppur lentamente, diversi giovani panificatori stanno aprendo le loro attività: non un’impresa semplice in Israele, ma sono sostenuti dalle loro comunità. Eppure, per quel che riguarda la riscoperta dei nostri grani autoctoni e la reale conoscenza della biodiversità del nostro territorio, siamo solo all’inizio di un progetto imponente. I clienti sono ancora poco consapevoli di questo movimento, ma spero che i panettieri prenderanno questo progetto come una missione, e che nel prossimo futuro un numero crescente di loro stringerà un rapporto diretto con i contadini locali, per incentivare la coltivazione di varietà autoctone di cereali».

Ben ci è già passato, «scoprire l’agricoltura ha dato una svolta al mio mestiere. Ci capita di dimenticare che il pane discende dalla pratica agricola. Il lavoro artigianale del panettiere è direttamente collegato al lavoro del contadino che si prende cura dei campi e della sua terra. Ho scelto di lavorare con diversi di loro, in diverse parti del paese, e di coltivare i grani che meglio si adattano a ogni regione. Se più panettieri condivideranno con me questa visione, sarà una motivazione per i contadini che oggi coltivano grano senza più passione, perché permetterà loro di guadagnare un compenso più giusto per il lavoro che fanno, restituendo valore al grano».

Un panettiere in crisi d’identità

In parallelo si è sviluppata la crisi di identità – Hagay Ben non ha timore a definirla per quel che è stata – del giovane panettiere che oggi rifornisce molti ristoranti e gastronomie di Tel Aviv, e presto aprirà la sua prima panetteria in città, per avere un contatto diretto con i clienti che visitano assiduamente il suo banco al mercato contadino nel nord della capitale per fare scorta delle sue pagnotte dorate, che sprigionano l’aroma del miscuglio di grani rinvigorito dalla lievitazione naturale.

«Ho imparato molto dai panettieri europei, specialmente come si dà valore al mestiere, e come si aggrega una comunità intorno a un progetto di panificazione. Oltre a molti metodi per panificare in modo creativo. Ma non volevo imitare qualcuno, ho dovuto cercare un linguaggio che identificasse me e il posto in cui vivo. È stato difficile ascoltarmi e comprendere quale fosse il mio stile di panificazione: sono più legato alla cultura europea, dal momento che mio nonno viene dalla Polonia, o devo guardare alla cultura araba perché vivo e lavoro nel medio oriente? Non ho potuto fare una scelta, perché in realtà io sono entrambe le cose. Questa è la difficoltà, ma anche l’unicità e la ricchezza, con cui ci si confronta in Israele, in ogni sfera culturale, e dunque anche nella panificazione».

Alla riscoperta della biodiversità agricola si è così aggiunto il viaggio nella biodiversità culturale di Israele, con il supporto dell’Asif Center, che a Tel Aviv fa ricerca sulla storia gastronomica del territorio. Con loro, Hagay Ben ha recentemente condotto uno studio sulla panificazione a Gerusalemme nel XVII secolo, scoprendo una moltitudine di ricette per la produzione dei tradizionali flatbread, ancora diffusamente consumati nel paese. Il pane del futuro ha bisogno di nutrirsi del passato: «Ora il mio ha il gusto della mia terra».

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