Lo vedo, Paolo. Con gli occhiali e la faccia da buono, sui ventidue anni o giù di lì, quando ci capitava in casa con circospezione, perché era una casa di militanti noti e lui era un militante ignoto ma suonava e componeva già da virtuoso. Lo vedo quando imbraccia la chitarra per proporci le ballate irriverenti che scriveva prima del ‘68, come quella che faceva il verso alla fioraia di My Fair Lady: «Io qui vendo violette/ garofani e rosette/ vuol gradire?» E sul più bello la fioraia romantica sparava la tariffa: «Son diecimila lire!»

Mi rifiuto categoricamente di parlare di Paolo Pietrangeli al passato. Lui è un “pasionario” della politica, ma la condisce sempre col suo bagaglio di ironia e di dubbi confessati, merce rara per i sessantottini. «Chiarezza, chiarezza/ mi punge vaghezza di te», canta nei giorni del “dopo”. Il ’68 ha la sua voce, che per me ragazza è un’aureola.

Slogan in note

(Foto Vicenzo Coraggio/LaPresse)

Il ’68 è il tempo di Contessa e di Valle Giulia, ma è anche l’anno della morte tragica, improvvisa, di babbo Antonio Pietrangeli. C’è una strada amata da seguire sulle sue orme – il cinema – ma quella chitarra e quei versi nelle piazze fanno furore.

«Che roba Contessa, all’industria di Aldo/ han fatto uno sciopero quei quattro ignoranti/ volevano avere i salari aumentati/ gridavano pensi di essere sfruttati». Cito a memoria, magari sbaglio. Le università sono occupate, anche gli studenti medi svuotano gli istituti, e dopo una manciata di ore si ritrovano celebrati in una canzone, la loro canzone: «Il primo marzo sì me lo rammento/ saremo stati millecinquecento/ e caricava giù la polizia/ ma gli studenti la cacciavan via». Vuoi mettere la differenza tra gli slogan gridati e quelli forniti di note? «No alla scuola dei padroni/ via il governo, dimissioni, sì». Mette del virtuosismo nella lotta di classe, questo ragazzone. Il vestito di Rossini, che è uno dei suoi pezzi più belli e meditati, musicalmente è ispirato a una “cavatina” di Gioacchino Rossini.

Paolo Pietrangeli è raffinato ma ha il dono dell’immediatezza. Anche se i suoi pezzi più indimenticabili, quelli di cui Wikipedia non parla, sono all’insegna del dubbio. Mi ritrovo adesso a ricantare con Giovanna Marini al telefono la sua Era sui quarant’anni.

Dalle due parti del filo, ci ricordiamo benissimo le parole: «Era sui quarant’anni/ ma non se n’era accorto/ tutta la vita lui stava a pensar/ cosa dovese far». E poi quest’omino incerto, dubbioso, senza qualità, si ritrova a osare quello che i suoi compagni più coraggiosi e sicuri non fanno, e a morire per le idee.

«Riempiva lo spazio»

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Giovanna Marini l’ho conosciuta molto prima di Paolo. È bello sentirla parlare di lui e della sua «presenza prorompente». «Dove lo mettevi riempiva lo spazio, l’aria, tutto. Riempiva. E insieme abbiamo vissuto anche quel periodo difficilissimo tra il Pci e i gruppi degli Autonomi, ai quali non osavamo dire di no, anche se non eravamo proprio d’accordo, perché erano prorompenti, proprio come Paolo». Mi racconta Giovanna una cosa che ignoravo anch’io.

Paolo Pietrangeli non ha mai messo giù una nota, non sapeva nemmeno leggere uno spartito, esattamente come l’altro geniale Paolo del Nuovo Canzoniere Italiano, Ciarchi. «Non aveva idea di come fosse fatto un Do – dice Marini – ma aveva una memoria colta di operette, di cabaret tedesco, cresciuto com’era con una grande padre che si circondava di grandi musicisti da film.

Fiorenzo Carpi era uno dei suoi punti di riferimento. Ha sempre avuto uno stile preciso senza avere studiato composizione: succede solo se la musica ce l’hai dentro».

Marini se lo ricorda nei primissimi tempi del suo approdo al Nuovo Canzoniere Italiano, dopo il 1966: «Vedevamo questo ragazzo della buona borghesia che arrivava con la sua borsa di pelle – che nessuno di noi aveva mai posseduto – e le camicie perfettamente stirate. Tanti di noi approfittavano largamente di quella borsa. Lui sospirava: “Ah, se mi vedesse adesso mia mamma!”».

Fede politica, quella sempre. «Era tifoso della Roma e del Partito comunista, alla pari», dice Giovanna. Per me, che non facevo caso ai titoli di coda dei film, Paolo non è mai stato l’aiuto-regista di Bolognini, Visconti, Fellini e Zurlini.

Ma il regista di Porci con le ali, testo base dei ragazzotti gauchisti anni ‘70, quello sì ti si inchioda alla memoria, molto più de I Giorni Cantati, del ’79, che pure era un «contenitore eccellente» di miti: Francesco Guccini, Ivan Della Mea, Giovanna Marini, perfino il giovane Roberto Benigni. Potrebbe “tirarsela”, da regista, ma non lo fa mai.

Regista tv

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Procedo per flash. Paolo Pietrangeli nella sua casa di tronchi che sembra un ranch da western spaghetti. Il Partito comunista non esiste più, lui è passato a Rifondazione comunista, dove resterà per tutta la vita candidandosi anche qualche volta in liste che non arrivano al quorum. Per Rifondazione ha scritto anche un inno, Il canto della Rifondazione, dice: «Perciò è comunista l’impegno reale». Questo non lo trovate su Wikipedia.

Paolo che si guadagna da vivere con la regia del Maurizio Costanzo show, e di passaggio anche dei programmi di Maria De Filippi. Molti, per questo, gli hanno voltato le spalle, accusandolo di essersi accasato alla “corte di Berlusconi”. C’è un’amarezza che gli forma come un’ombra intorno.

Non riesce a capire: è un lavoro, le sue idee non sono cambiate. Scrive ancora canzoni, su questa stagione strana e tutta in salita. «Se tu bagni il tuo piede in un lago/ di un paese chiamato Cultura/ poi tirar dietro il piede è assai dura/ ma è più duro imparare a nuotar». Anche questa abbiamo cantato al telefono con Giovanna Marini. Versi acuti, suggestivi.

Altro flash: al telefono con Sergio Staino, il papà di Bobo, che gli ha conferito in assenza, quest’anno, il premio Tenco alla carriera. Paolo era già in ospedale. «Un premio che gli ha attenuato il dolore degli ultimi mesi, ma che avrebbe meritato molto prima – dice Staino – per quella sua caratteristica di unire la passione rivoluzionaria col gioco, l’ironia e l’amore». Pietrangeli ha dedicato tra l’altro un intero album, Tarzan e le sirene, a Tango, l’inserto a fumetti diretto da Staino. E nel primo Drive in di Antonia Ricci addirittura ha incarnato Bobo, recitando vignette con Michele e Ilaria – i figli bambini di Staino – nel ruolo di sé stessi. Tra i tanti “non fatti” di Paolo Pietrangeli c’è anche un film su Bobo progettato da Ettore Scola e Furio Scarpelli.

Così vivo, Paolo, coi suoi occhiali inforcati su quella faccia da buono. Così dubbioso, e orgoglioso del dubbio, mai però sui fondamentali. Uno che puoi cantare, e continuare a cantare a memoria – anche se come lui non hai mai imparato a leggere uno spartito – proprio del tutto non muore mai.

 

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