Le parole sono importanti, ma pure i sentimenti. Soprattutto per noi millenial cresciuti con quei genitori progressisti che tra un Live Aid e l’altro volevano sensibilizzarci ai problemi del mondo. Ci costringevano a finire l’halibut perché i bambini in Africa morivano di fame, ci regalavano le Pigotte dell’Unicef (bambole di pezza multiculturali) invece delle Barbie (maschilismo, capitalismo, patriarcato), ci portavano alle marce della pace avvolti in bandiere arcobaleno che avremmo un giorno riciclato a mo’ di pareo in occasione del Pride. Potevamo diventare persone magnifiche, non fosse stato per Zuckerberg. E invece i social sono arrivati nelle nostre vite per dirci tutto il contrario di quello che avevamo imparato: ognuno di noi è al centro del proprio universo, le nostre emozioni sono uniche e speciali, i nostri sentimenti i più importanti di tutti, siamo creature fragili e affascinanti, guarda che bella torta che ho fatto. In Africa non ci siamo mai stati.

Primo mondo

I sentimenti, dunque, non ci mancano e i problemi neppure. Magari sono problemi del primo mondo, esili crepe in una vita privilegiata, ma cionondimeno ci rendono infelici, o comunque meno felici di quanto pensavamo saremmo stati a questo punto.

Condividiamo le nostre angosce senza vergogna, in mille forme diverse più o meno serie: stories dal nostro bagno, dirette streaming in lacrime, meme sul male di vivere, infografiche sui disturbi mentali, disegnetti depressetti (che non è una mia licenza poetica, ma il nome di un’illustratrice da 200mila follower che sintetizza vari disagi generazionali in piccole vignette colorate). Quelli molto molto bravi ne tirano fuori un’ora e mezza di spettacolo su Netflix, come ha fatto Bo Burnham con Inside: mentre noi in quarantena imparavamo a fare pizze mediocri, Burnham ha scritto un album di hit e ha girato, recitato, montato da solo la cosa più divertente e più piena di idee che vedrete quest’anno.

La nostra vita interiore viene quotidianamente filtrata dai social, al punto che si fa ormai un po’ di fatica a definirla tale. Lo si percepisce anche dal linguaggio che stiamo costruendo, appropriandoci, in modo più o meno corretto, delle parole della psicanalisi. Narcisista, per dire, è diventato il sinonimo di stronzo (durante una partita a Taboo, una mia amica prende il cartoncino con la parola da far indovinare alla sua squadra e dice solo: “Tutti i nostri ex fidanzati”. Si leva un coro istantaneo: “Narcisisti!”).

Dannata internet

Così tra traumi, disturbi ossessivo-compulsivi, relazioni tossiche, codipendenze, sindromi dell’impostore, ansie ed episodi maniaco-depressivi, diagnostichiamo e ci auto-diagnostichiamo svariate psicosi con la sicumera di professionisti navigati, cercando la nostra identità in un’etichetta clinica precisa, che di questi tempi è comunque meglio che non avere etichette. Io stessa, proprio pochi giorni fa, a un aperitivo con un tizio che ho visto tre volte in vita mia e che di mestiere non fa lo psicologo, mi sono sorpresa a denunciarmi in quanto narcisista covert, mentre dentro di me pensavo: «Ma che cazzo dico?».

Poco ma sicuro, l’uso crescente del vocabolario della terapia va di pari passo con il declino della cosiddetta salute mentale tra i più giovani. Ogni generazione sembra fare più fatica di quella precedente, il che farebbe quasi sorgere il sospetto che sia normale, che un certo grado di sofferenza sia tappa obbligata della formazione di tutti, non fosse che per una volta è molto facile identificare il fattore esterno che in questo momento della storia sta influenzando più di ogni altra cosa i nostri già precari equilibri: è la dannata internet, per dirla con le parole di Elio e le Storie Tese. Che non sarà una guerra mondiale, ma se ci aggiungi che siamo perlopiù poveri e irrisolti in un mondo a cui gli scienziati hanno dato 50 anni di vita, in effetti c’è ben poco per cui stare allegri.

Posta del cuore

Va poi detto che, un po’ per lo stesso principio per cui siamo in grado di pensare solo ciò che sappiamo dire, il rapporto di causa e effetto tra ciò che proviamo e ciò che diciamo di provare non è sempre chiarissimo. Stiamo male davvero o pensiamo di stare male solo perché sappiamo dare un nome a infinite forme diverse di cattivo umore? Viene prima l’uovo o la gallina?

In generale, in quanto persona fisicamente incapace di scrivere due righe di testo senza infilarci dentro un aneddoto autobiografico, sono piuttosto fan della verbalizzazione dei sentimenti. Acquisire, seppur a livello superficiale, un vocabolario terapeutico è sicuramente un passo verso una maggiore consapevolezza di sé e, in un mondo ideale, anche degli altri. In questo senso, Instagram toglie, ma Instagram dà anche qualcosa: è sempre più diffusa la pratica della posta del cuore degli influencer, che forti di una saggezza che evidentemente solo la responsabilità di avere centinaia di migliaia di persone all’ascolto ti può dare, aprono i box delle domande ai problemi sentimentali dei loro follower.

Tradimenti, confusione sessuale, insicurezze, rapporti incrinati, paure ataviche, ambizioni, trovano spazio nei 15 secondi delle stories di personaggi più o meno affidabili che elargiscono consigli più o meno validi. È una modalità molto diversa da quella con cui sono cresciuta io, cioè le lettere di nostra signora Natalia Aspesi, ma proprio come le sue Questioni di cuore tracciavano una mappa sentimentale di un paese intero, anche questa nuova pratica racconterà molto di come pensa e sente una generazione. Peccato solo sparisca tutto nel nulla ogni 24 ore.

Parlare in un telefono

Tra gli influencer che si dedicano alla pratica del Q&A ci sono anche alcuni professionisti: penso per esempio alla dottoressa Stefania Andreoli, psicoterapeuta da 140mila follower e autrice di diversi libri sull’essere genitori, che nei suoi “Martedì delle parole” risponde alle domande sulla psicologia infantile e le dinamiche famigliari. Domande che io finisco sempre per passare in rassegna come guardassi un film horror, mentre penso con uno strano e inopportuno sollievo che la mia famiglia impresentabile tutto sommato non se la passa poi così male (ogni famiglia è impresentabile a modo suo).

Altre sono semplicemente persone molto brave a fare quello che fanno, cioè parlare in un telefono. Talento che ammiro, invidio e per il quale non nutro davvero nessuna forma di snobismo, essendo io incapace di formulare una frase di senso compiuto davanti a qualsiasi telecamera. Ma anche su Instagram, come d’altronde sui giornali, una posta del cuore non vale l’altra: c’è chi la fa ad arte e chi potrebbe anche risparmiare il fiato.

Re e regine

Regina di tutte le poste del cuore social è sicuramente Daniela Collu (@stazzitta, 265mila follower) che con la sua “Terapia di gruppo” risponde come un’amica saggia e risolta, quella che chiami se buchi una gomma di notte in una strada di campagna, ma non si fa problemi a dirti che sei un’idiota se un’idiota è quello che sei. Si pronuncia con ammirevole senso pratico su qualsiasi argomento. «Come si gestiscono due scopamici in contemporanea?» Le scrivono. «Intanto con un bidet tra uno e l’altro» risponde lei. Ma si passa con agilità dai bidet a questioni più serie: «Sindrome dell’impostore, come si cura?» «Con lo psicologo». «Dipendenza affettiva, come ne esco?» «Con lo psicologo». Collu, infatti, consapevole di non poter dare consigli su situazioni delicate che non le competono, qualche mese fa ha pubblicato un lungo elenco di psicoterapeuti, centri e sportelli di supporto a cui rivolgersi in tutta Italia. Un piccolo passo per l’umanità, un grande passo per Instagram.

Tra i miei preferiti c’è poi Pierluca Mariti (@piuttosto_che, 108mila follower) con la sua rubrica “Tell mama”, in cui risponde come se stesso, ma anche nei panni di un paio di alter ego (filtri di Instagram, li stai usando bene), o affidando le soluzioni a estratti delle lezioni di storia di Alessandro Barbero.

«Quando mi dite che vi ama tanto ma vi critica il fisico» scrive Pierluca su un video decontestualizzato di Barbero che dice: «Sono nemici nostri e nemici di Dio, ed è nostro destino combattere contro di loro». Nella mia personale top 5, menzione speciale anche per Giulia Torelli (@rockandfiocc, 166mila follower), sbrigativa e concreta come una zia al quarto divorzio che non ha tempo per le stronzate, e Andrea Batilla (@andreabatilla, 40mila follower), che a chi gli chiede come vestirsi a un battesimo risponde “in latex nero”. Per la sezione talenti internazionali, medaglia d’oro all’autore comico Jordan Firstman (@jtfirstman, 875mila follower) e alla sua rubrica Secrets: è incredibile – ed esilarante – la quantità di segreti inconfessabili e oltremodo imbarazzanti che la gente è disposta a rivelare a un completo sconosciuto.

La nostra posta del cuore

Io non ho mai scritto a un influencer in cerca di consigli, ma posso capire che in una realtà di solitudini in cui ci sembra di conoscere meglio la ragazza spigliata che ci parla ogni giorno dallo schermo dell’iPhone che non l’amica che si è trasferita in Australia a lavare i piatti e che sentiamo una volta al mese per via del fuso orario, a volte sia più semplice confessarsi nello spazio di un box domande. O magari è solo più facile sfogarsi con gli sconosciuti: non è forse uno dei pregi della psicanalisi, sapere che il professionista davanti a te non conosce tua madre?

Anche io non conosco vostra madre, e qui veniamo al dunque. Tutto questo, infatti, era una lunga e subdola premessa per dire che Domani dà il via alla sua posta del cuore, una rubrica settimanale in cui mi impegnerò a rispondere alle domande dei lettori e cercheremo insieme una soluzione ai vostri (nostri) problemi del primo mondo. Relazioni da buttare nell’umido, dubbi esistenziali, frustrazioni, imbarazzi, suocere che vi odiano, amicizie in bilico, famiglie opprimenti, manie assurde. Qualsiasi cosa vi tolga il sonno la notte o vi faccia semplicemente tremare la palpebra sono qui per voi: a differenza di una psicologa vi ascolterò gratis e a differenza di una cara amica non vi chiamerò nel cuore della notte pretendendo assistenza se buco una gomma in una strada di campagna (non lo farei neanche se fossimo amici, non so guidare). Sappiate solo che predico bene e razzolo male e che mio padre mi paga ancora il telefono, quindi non giudico nessuno.

Scrivetemi lettere lunghissime o pensierini da post-it, mandatemi vocali da 10 minuti come Tommaso Paradiso. Io vi risponderò, promettendo di fare del mio meglio. Che non è forse quello che facciamo tutti?

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