Da tempo seguo su questo giornale la situazione della scuola; la Dad, le sue ricadute psicologiche, la colpevole riduzione della comunità scuola a didattica. Ne ho parlato con ragazze e ragazzi del liceo, che argomentavano con una ragionevolezza da riformisti navigati.

I ragazzi, che trovano le posizioni infantilmente estremiste già occupate dagli adulti, si scoprono saggi moderati. Comprendono bene come la prima ondata sia stata una emergenza, e nelle emergenze vale il “si salvi chi può”, occorre reagire in fretta e qualcuno ne paga sempre le conseguenze. Che sia toccato a loro gli è risultato comprensibile e accettabile. Non erano invece disposti a perdonare l’assenza del governo negli ultimi nove mesi. Nella strategia di contenimento della pandemia è stato dissolto, per lungo tempo, un presidio sociale fondamentale e necessario trasformandolo in un passaggio di nozioni, cosa che ha aumentato il gap tra i più fortunati e gli esclusi, ovvero il contrario di ciò che dovrebbe fare la scuola. Sono passati i mesi, e nulla è accaduto. Fino a martedì.

Le prime notizie che sono trapelate (fatte trapelare?) dagli incontri di Draghi con i non-partiti riguardano le scuole. Il semplice fatto che la prima cosa di cui si parli sia la scuola è straordinario. Se ne leggiamo il contenuto ci coglie addirittura una certa euforia. Draghi ha un piano che prevede vaccini subito per gli insegnanti, tamponi a tappeto per gli studenti, prolungamento dell’anno scolastico e assunzione di un numero adeguato di insegnanti.

Vaccini e tamponi a tappetto non erano solo le due proposte con le quali concludevo il mio ultimo articolo; erano la base delle rivendicazioni di migliaia di studenti. Draghi ha semplicemente pensato ciò che abbiamo pensato in molti. Buonsenso, competenza, priorità.

Banalità dell’efficienza

Richiamo i tre ragazzi conosciuti all’occupazione del Parini di Milano, Luigi, Maddalena e Ludovica. Come la vedono?

Luigi non si fida perché queste dichiarazioni Draghi non le ha fatte in pubblico ed è stupito che queste parole, che lui definisce come “banalità dell’efficienza” abbiano sorpreso così tanto. Dice che non ci voleva un Nobel per pensare che vaccini, tamponi e sostegno psicologico fossero cose necessarie. Eh già, dico io. Ma tant’è. Luigi la chiude dicendo che va bene, evviva, ma ora bisogna vedere se Draghi riesce a «implementarle dal punto di vista burocratico-amministrativo». Ripeto un «eh già», che vorrebbe essere incoraggiante ma esce piuttosto dubbioso.

Insisto sulla buona notizia che le cose che stavano scritte sui loro striscioni durante l’occupazione corrispondono alle prime parole attribuite al presidente incaricato. «Ok, siamo felici – concede Ludovica – di essere finalmente presi in considerazione. Io sono fiduciosa perché Draghi sembra una persona seria e competente, ma mi chiedo se sarà fatto in tutte le scuole e come verrà finanziato».

Maddalena aggiunge che «a parlare siamo bravi tutti, ora bisogna vedere, ma certo è un passo avanti dai banchi a rotelle».

A giugno sui banchi

Sul tema del prolungamento delle lezioni fino a fine giugno, molti docenti hanno protestato: state forse dicendo che la didattica a distanza non ha funzionato? Volete dire che non era scuola? Che non abbiamo lavorato abbastanza?

La discussione si accende, ma Luigi ferma tutti dicendo che è inutile parlarne finché non si vedranno i “decreti attuativi”. Poi si fa più pensoso e prosegue: «È politica dire che la scuola vera è in presenza, e infatti, essendo politica, si sente già dire in giro “Noi non vogliamo venire a scuola fino a fine Giugno”. Fino a un mese fa eravamo tutti pronti a rivendicare il nostro diritto alla scuola “vera”, ora, quando la scuola diventa un dovere, crolliamo. Perché in Italia credo ci sia pochissima cultura del dovere e troppa cultura del diritto».

Direi che ci ha preso.

Per interrogare meglio

Ok, ma com’è questa via di mezzo, due o tre giorni a settimana di scuola vera? Maddalena parte subito: «Siamo felici di essere tornati a scuola, ma le ore in presenza le usiamo soprattutto per le verifiche, ed è un peccato perché quello che volevamo noi era la lezione in presenza, la verifica te la fai da solo, ok, avevano paura che copiassimo, però appunto siamo rimasti lì: si dà priorità al voto e non allo spazio sociale di interazione che ci è mancato».

Ludovica mi racconta che questa cosa delle verifiche non è granché però vuoi mettere la gioia di prendere la bici al mattino e andare a scuola? Non è mai stata così felice di andare a scuola in vita sua, dice: «Anche perché a me è andata meglio con le verifiche, la prof di greco sta dando la priorità alle lezioni, anche se oggi al Comitato studentesco tutti parlavano di questo. Molti professori lo hanno detto chiaramente: a scuola verifiche e interrogazioni, in Dad si fa lezione. Siamo tornati solo per farci interrogare meglio», conclude Ludovica.

Maddalena si lamenta che questo riflette una volta di più il ruolo sociale che viene attribuito alla scuola: zero. Se prendi dieci bravo, se prendi cinque cattivo. Ludovica inizia a sognare una scuola che sia un percorso di «crescita condivisa tra professori e studenti e non solo valutazione degli studenti». Bene, buon sintomo. Stanno ricominciando a volare alto. Si alza l’asticella. Chiedo a Luigi che quest’anno ha la maturità cosa si aspetta. Dice che è praticamente certo che non ci sarà la versione di greco, anche se non si informa sui rumors «perché altrimenti vado in paranoia. Io studio e come va va».

Tra fare la versione di greco e fare una vera festa senza limiti o niente versione e niente festa cosa scegli? «La versione e la festa tutta la vita». Mi verrebbe da dire bella lì, ma ho paura che mi prendano per il culo.

Allora li saluto.

La risposta è Draghi?

Dunque intorno a queste notizie a forma di cuore occorre disegnare la freccia che lo infilza: le proteste dei professori sull’ipotesi di prolungamento dell’anno scolastico. Un sintomo di quello che arriverà: inerzia, resistenze, proteste. Ce la farà Draghi? Quanto durerà il consenso quasi unanime – patetico, in alcuni casi, va detto – di cui gode ora in parlamento? Questa è la domanda, non di poco conto, che sta dietro la gigantesca ondata di euforia generata dalla nomina del presidente Draghi. Non si tratta solo della bolla – quella di Twitter, in questo caso – ma fa gioco partire da qui.

Ieri sera la scrittrice Valeria Parrella (ultimo suo bellissimo romanzo Almarina, un dolce e vitale teorema su come la scuola sia innanzitutto comunità, per studenti e insegnanti) ha condiviso un tweet piuttosto geniale. Diceva: «Domanda: “Ma credete davvero che Draghi sia la risposta per tutto?” Risposta: “Draghi”».

Draghi è come una dose di altissima qualità della nostra sostanza stupefacente preferita: competenza, conoscenza, curriculum, assunta dopo anni di astinenza. Il percorso che lo ha portato dove si trova è tuttavia stato innescato da una sequenza di “assalti” al potere dal basso: l’efficacissima macchina rottamatrice di Renzi, poi il qualunquismo fascistoide di Salvini e infine, in una discesa che sembrava impossibile fermare, lo strepitio sgrammaticato dei Cinque stelle ha conquistato il potere, solo per accorgersi che non sapevano che farsene, non avendo le capacità di gestirlo, per non parlare di quelle necessarie a usarlo per il bene comune.

Dunque oggi la “politica” si rivolge, genuflessa se non addirittura pentita, alla quasi unanimità, ai sistemi di potere. Questo rappresenta Draghi e va detto senza ipocrisia. Quei movimenti, con tutte le evidenti differenze, partivano dal basso; ora ci rivolgiamo direttamente all’altissimo. Dall’antipolitica al fuori dalla politica, dall’immondo “uno vale uno” alla delega in bianco a un “uno”. Quel che sta in mezzo, tra l’altissimo e il bassissimo, non c’è più; si chiama politica.

Si spera che il sistema di potere che Draghi incarna si dimostri illuminato, progressista e evolutivo; contrappasso straordinario per quei milioni di italiani che hanno ruttato nelle urne. Il bene del popolo è affidato a un uomo competente, e tanto basta per riconoscere la prova della scomparsa della politica, entusiasmante, perché già morta da tempo e, a funerali consumati e lutto elaborato, tanto vale pensare al futuro prossimo. Ce la farà, Draghi? La gigantesca forza di inerzia del nostro paese riuscirà ad affossare anche lui? Noi speriamo di no, ma la lotta sarà dura, con questo parlamento con l’asticella di quel che vogliamo che si è alzata. Finita la sbornia saremo lucidi ed esigenti, come i miei amici liceali.

 

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