La generazione Z (i nativi digitali) s’informa e diverte con i social mentre la tv dei boomer (nonni e padri) li rincorre coi trapianti. Nbc, il canale nazionale americano, ha tentato nello scorso mese un rapporto più profondo con i social attraverso “Dancing with myself”, un talent di TikToker.

La selfie dance ha preso piede nel 2014 quando una start up di Berlino ha rilasciato l’applicazione Dubsmash che consente di abbinare un proprio video a un assortimento di basi musicali, versi di animali, frasi celebri da film e serie televisive, voci dei vip dello star system. Dal 2019 tanto fermento ballerino ha trovato lo sbocco ideale su TikTok, che grazie al formidabile algoritmo, migliore di ogni altro social, connette ogni talento ai potenziali follower. La selfie dance, matura già da tempo, ha subito invaso l’app cinese facendola sembrare per parecchio un social di balletti e un fenomeno generazionale come tanti che ne passano. Ma poi negli Stati Uniti ha rivelato un notevole spessore, diventando la traduzione in “social” del retaggio dell’hip hop e ultimo segmento della lunga marcia dei giovani afroamericani verso il protagonismo culturale, politico e sociale.

Dal Bronx allo show business

L’hip hop è “nero” fin dall’origine nel Bronx degli anni Settanta, quando in quel ghetto di emarginati le tensioni sociali e i bisogni di autoaffermazione trovarono nelle gare di ballo uno sfogo alternativo allo scontro armato tra bande criminali.

Piccoli palchi, cortili e strade contenevano le coreografie ritmiche, acrobatiche dense di dettagli in un insieme di “semantiche posturali” (definizione tratta dal filosofo Cornel West) inanellate come note su basi musicali manipolate da un Dj. Ne è nato il genere, mischiato strettamente al rap, che negli anni ha mobilitato artisti d’ogni colore (come Eminem, che è bianco come il latte) ma la radice creativa nera è rimasta forte nei decenni. Sicché col sopraggiungere dell’èra dell’utente social “autoproduttore”, una serie di teenager afroamericani ha inventato il selfie hip hop, ovvero il ballo del Bronx a misura di TikTok.

Arrivato il successo, il mainstream ha cercato di inglobarlo su altri media, come nel caso della Nbc che gioca la scommessa di mostrare, nel format di una gara, quei talenti social al suo pubblico che, al massimo istagramma le foto delle torte e dei gattini.

L’azzardo della tv

Tuttavia il passaggio da un medium “intenso” come il social (che impegna l’attenzione di un “utente catturato” dal tenere in mano lo smartphone) a un medium “esteso e disteso” come la tv (con lo spettatore risucchiato dal sonno nel divano) costituisce un rischio elevato per ogni sorta di talento. E in particolare per quelli più caratterizzati dal contesto in cui sono sbocciati.

Alla Nbv lo sanno e “Dancing With Myself”, per accorciare la distanza rispetto al contesto del selfie social, non ha fatto esibire i TikToker in mezzo al palco, come fossero i cantanti di Sanremo, perché sarebbe parso ridicolo che, nonostante lo spazio tutt’intorno, cercassero di non sconfinare dal metro cubo d’aria che hanno attorno. E quindi, per ricreare quella originale e creativa costrizione, i concorrenti stavano in stanzette accatastate e la ripresa si guardava dall’avvolgerli al fine di somigliare a quelle fatte frontalmente con lo smartphone.

Con l’aiuto di questi accorgimenti la Nbc ha di certo tentato di strappare qualche centesimo di share dai membri della generazione Z e anzi di indurli alla scoperta del canale, se non della tv stessa in quanto tale. Mentre gli stessi concorrenti li immaginiamo speranzosi che, dopo essersi esibiti a tanta folla, al totale dei follower s’aggiungesse qualche zero. Però non è successa né l’una né l’altra cosa: Nbc non ha registrato scatti d’audience e i TikToker non hanno visto muovere l’indice dei follower. Segno che la differenza strutturale fra tv e social è dura da scalfire.

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