«Cosa intendete fare per Roma?», chiese il grande storico tedesco Theodor Mommsen a Quintino Sella nel 1870, subito dopo la Breccia di Porta Pia. «A Roma non si sta senza propositi cosmopoliti».

Cosa ne sia oggi, di quei propositi cosmopoliti, è sotto gli occhi di tutti. A non contare gli effetti della pandemia, da almeno dieci anni la capitale aspetta invano di essere governata. Al penultimo dei suoi sindaci è stata appena confermata una condanna a più di sei anni di carcere per corruzione; la sindaca attuale si dibatte maldestramente tra gli autobus incendiati da mano misteriosa (23 nel 2019, 28 nel 2020, più di 20 dall’inizio di quest’anno), il verde urbano in abbandono, i rifiuti che sommergono la città, i servizi allo stremo, le aziende comunali ribelli e sull’orlo del fallimento, i debiti a livelli insanabili (12 miliardi) e la rabbia dei cittadini alle stelle. Immagina forse che questi problemi si possano risolvere licenziando in tronco come una piccola Trump assessori e dirigenti (dal 2016, data dell’insediamento, ne ha liquidati non meno di venti; dei componenti della giunta originaria ne rimangono solo due).

Compleanno amaro

Da poco (il 3 febbraio) Roma capitale ha compiuto i suoi primi centocinquant’anni, ma il compleanno non poteva cadere in un momento peggiore, al punto che il presidente della Repubblica nel suo discorso celebrativo ha dovuto sollecitare un «sostegno nazionale» per tirarla un po’ su. In una situazione come questa, si può ben capire che i candidati a succedere della sindaca attuale non siano molti. Se qualcuno si farà avanti prima della scadenza del mandato in giugno, bisogna augurarsi che legga subito il libro che Walter Tocci (vicesindaco con Rutelli dal 1993 al 2001, ultima età felice per la capitale) ha dedicato alla città: Roma come se (Donzelli, da cui ho tratto tutti i virgolettati di questo articolo), una ricca raccolta di analisi, idee e proposte.

Non conosco molti politici capaci di scrivere un lavoro così denso e rilevante, ma Tocci riversa in questo libro riflessioni e proposte a proposito della capitale, che viene sviluppando da anni. Il libro è una fitta, avvincente e impegnativa analisi della condizione di Roma, alla ricerca della sua vocazione e del suo senso.

Nella prima parte, che si muove tra il passato remoto e quello recente, Tocci dipana con maestria i mille fili che formano il tessuto della capitale: la sua particolare geopolitica (nella quale distingue un centro e due periferie, quella storica e quella “anulare” creata dalla speculazione edilizia fuori del raccordo), la composizione sociale, la varietà delle sperimentazioni (le arti, il cinema, la musica, la scienza, l’associazionismo), il peso della storia (la chiesa, le antichità, le architetture, la parlata), l’urbanistica, i mali, da quelli evidenti (come la speculazione immobiliare, che negli ultimi cinquant’anni ne ha cambiato i connotati) a quelli impalpabili (come l’atteggiamento «cinico e opportunista» della popolazione).

Dall’analisi Roma esce come una città di paradossi: è storica ma non cura la sua storia, è “città statale” ma rifiuta le regole dello stato, è post-moderna ma non ha mai conosciuto la modernità. A questi contrasti si aggiunge il fatto che Roma, poco amata dagli italiani, a molti dei quali appare forse ancora (come voleva Giuseppe Gioachino Belli) «abietta e buffona», e poco sentita come capitale del paese, non è avvertita neppure come capitale del Lazio, rispetto al quale è isolata e diversa.

La “città statale”

Le cause di ciò sono molte e stratificate: alla città della storia e del cristianesimo si è sovrapposta parassiticamente la “città statale”; nei fermenti attivi si sono infiltrati la criminalità e i «coatti» (a cui sono dedicate pagine molto acute); gli spazi pubblici sono stati svenduti a vantaggio dei privati; si sono formate tendenze nefaste, come quella ad appropriarsi di ciò che è comune, la «motorizzazione sregolata», la mala gestione del comune («mai arrivato al collasso di oggi»).

Per effetto di tutto ciò, le grandi aziende (Sky, Mediaset, Esso e così via) sono fuggite dalla città, il patrimonio culturale ha preso a esser visto come un ostacolo più che come una ricchezza, le enormi risorse scientifiche sono state mortificate a vantaggio del nord, su cui si sono riversati i maggiori investimenti tecnologici (dallo Human Technopole all’Istituto italiano di tecnologia). Allo stesso modo, nell’ultimo decennio la spesa statale per Roma si è ridotta in media a un terzo di quelli per Milano. Sullo sfondo, come probabile causa di tutto, il crollo del sistema politico, a seguito del quale il Pd «si è rifugiato nella città storica», mentre le periferie, trascurate a dispetto delle mille promesse, sono state spinte a destra da un violento «rancore antiurbano».

L’intelligenza sociale

Nella seconda parte del libro, la più impegnativa e coraggiosa, Tocci prova a suggerire in un fitto dossier alcune delle ambizioni che Roma potrebbe coltivare per la metà di questo secolo. Non tutte sono condivisibili, ma il catalogo è del più grande interesse. Dal punto di vista strategico, propone che la capitale sia al tempo stesso una «città-regione», per effetto del necessario collegamento col territorio, e una «città-mondo», come risultato delle migrazioni. Riconoscendo questa vocazione, Roma dovrebbe diventare la «capitale del Mediterraneo», trasformando la sua struttura urbana, i suoi moduli organizzativi e la sua gestione.

Per ottenere questo risultato Tocci chiama in causa una risorsa che Roma ha conosciuto solo occasionalmente: l’«intelligenza sociale», che spinge a occuparsi del benessere dei cittadini prima che del vantaggio della propria parte. In questa chiave, immagina sistemi integrati di mobilità urbana (interessante la sua idea delle «piazze del raccordo anulare», utili per collegare il centro con la periferia anulare e mettere in comunicazione quartieri periferici altrimenti disuniti), centri di ricerca e di riflessione sulla città (come un’Accademia internazionale di Roma, «polo di formazione nei campi legittimati dalla sua tradizione»), un’organizzazione amministrativa completamente nuova e molte altre cose.

Questi cambiamenti richiedono operazioni di grande impegno. Tocci non esita a proporne alcune, anche radicali. Propone ad esempio di sopprimere l’entità Comune, per sostituirla con un reticolo formato dalla città metropolitana (finora una scatola vuota) e dai municipi. Propone di trasformare i vigili urbani in operatori sociali di prossimità. Suggerisce di cancellare le società di servizi (trasporti, igiene urbana, verde pubblico, ecc.), in parte sfuggite al controllo del comune, per trasferire i loro poteri ad agenzie pubbliche. Sono pretese esagerate? Può essere, ma per scacciare lo spettro della decadenza che incombe sulla città l’audacia visionaria può forse servire.


Walter Tocci è autore del libro Roma come se, Alla ricerca del futuro per la capitale, edito da Donzelli

 

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