Non c’è cristiano che non lo sappia: Cristo è il figlio di Dio fattosi uomo e, in quanto uomo, è fatto di carne, ossa e fluidi corporei. Il suo essersi incarnato è il segnale più profondo dell’amore che ha per l’umanità, con cui può così condividere la condizione naturale. Dalle sue ferite sgorga lo stesso sangue di un comune mortale.

Quando nel 1987 Andres Serrano ha dato la sua versione di questo mistero teologico fotografando un piccolo crocifisso di plastica bianca immerso in un liquido misto di sangue e urina le polemiche che ne sono scaturite sono state tali e tante da rendere questa fotografia una delle rappresentazioni contemporanee della crocifissione più note al mondo. Il dibattito ha toccato argomenti inerenti all’etica e non è mancato chi ha considerato blasfemo immergere un crocifisso nei fluidi corporei. «Le forze che hanno reso Piss Christ così controverso e problematico sono all’opera ancora oggi» mi dice adesso Serrano. «Le agende politiche e religiose che mirano a incitare le persone piuttosto che a informarle sono dilaganti oggi come lo erano quando Piss Christ è stato esposto per la prima volta. Le persone più suscettibili al lavaggio del cervello sono facili bersagli per i loro manipolatori. Devi dare alle masse qualcosa per farle accorrere, e l’indignazione morale è un boccone succulento da offrire loro in pasto. Piss Christ è un gigante addormentato e solo perché le cose sono rimaste tranquille per un po’ non significa che lo saranno per sempre. È una delle poche opere d'arte controverse che è rimasta controversa».

Il simbolismo dei fluidi

A distanza di più di trent’anni dalla sua prima apparizione, Piss Christ è annoverata oggi tra le più significative rappresentazioni religiose dell’arte contemporanea. Tuttavia, nonostante sia stata esposta in importanti musei e manifestazioni e non provochi più le violente polemiche delle origini, non manca di suscitare quella sana inquietudine che invita a indagare più a fondo il suo significato. Quando ha iniziato a lavorare con i fluidi corporei come sangue, urina e latte, Serrano li ha trattati alla stregua di materiali pittorici.

«Era come prendere i pigmenti dal tubetto e dipingere con il colore» mi disse nel 1997 nel corso di un’intervista. «Mi sono comunque reso conto che, oltre alla qualità formale, c’era un contenuto, un simbolismo legato ai fluidi. Tuttavia non mi sono mai posto il problema di quali fluidi fossero buoni e quali cattivi, non ho affrontato il significato di mescolare sangue e urina. Lascio il giudizio a chi guarda l’opera». Nella stessa intervista Serrano smentiva che le sue parole stessero a indicare noncuranza del giudizio degli altri, affermando che il suo lavoro «non è difficile da capire, è alla portata di tutti, non serve una grande conoscenza dell’arte per apprezzarlo». In altre parole l’immagine incarna un significato e, a ben guardare, la figura di Cristo immersa nei liquidi organici umani dà immagine alla piena compenetrazione di materia e spirito. Scegliendo un oggetto dozzinale di scarso valore commerciale – un semplice crocifisso di plastica – e affidandogli una valenza simbolica così pregante di significati, Serrano ha reinventato la forma di questa rappresentazione muovendosi nella logica dell’artista d’avanguardia.

L’uso pittorico dei liquidi corporei, inoltre, al di là del significato implicito che essi conferiscono all’opera, insieme alle possibilità offerte dal cibachrome, gli ha permesso di dare alla sua rappresentazione della crocifissione una luminosità mistica.

Il punto cruciale della natura controversa di Piss Chist risiede nel rapporto ambiguo che il cristianesimo ha con il corpo. Nel sacramento dell’eucaristia, per esempio, i fedeli ritengono di mangiare realmente (i cattolici) o simbolicamente (i protestanti) il corpo di Cristo e di berne il sangue. Per quanto però il rapporto con il corpo sia centrale nel cristianesimo, nel corpo si individua spesso l’elemento corruttibile che fa da grimaldello per la corruzione dello spirito. L’opera di Serrano è invece un’esaltazione della purezza del corpo. Ce ne rendiamo conto se pensiamo a quale profondo atto di amore sia prendersi cura di una persona inferma, entrando in contatto con i suoi fluidi corporei. I momenti che l’essere umano ha sempre ritenuto tra i più sacri dell’esistenza, come la nascita o la morte, sono segnati dal rapporto con il sangue o con gli scarti corporei. C’è dunque un profondo legame tra spiritualità e corporeità.

Nel 1989, in una delle nostre conversazioni (oggi raccolte nel libro Arte e Poststoria) Arthur C. Danto afferma che l’opera di Serrano e Nan Goldin conferiscono «bellezza a un soggetto che si trova ai limiti dell’accettabilità sociale. La permissività artistica di un mondo d’arte aperto, all’interno di una società molto meno aperta e permissiva, rende avanguardisti questi lavori, non certo il fatto che siano esposti in una galleria». E aggiunge: «Non vedo perché non si possa sostenere che Goldin e Serrano stanno affermando una nuova forma di spiritualità: sono entrambi artisti profondamente morali». Più che alla morale la questione va allora ricondotta all’estetica e all’idiosincrasia di molti verso le nuove espressioni linguistiche che affrontano temi legati alla religione. Se così non fosse, ben prima di Piss Christ di Serrano avremmo dovuto considerare blasfemi dipinti come il Cristo in croce di Matthias Grünewald nel Polittico di Issenheim (1512-16), il Cristo morto nel sepolcro (1521) di Hans Holbein o quello raffigurato da Rosso Fiorentino nella Deposizione dalla Croce (1528) conservata a Sansepolcro. In questi dipinti infatti il corpo di Cristo, prossimo alla decomposizione, può far sorgere il dubbio che alla sua morte non seguirà la resurrezione.

Prima i piedi

Meno potente della crocifissione di Serrano sia sul piano formale che concettuale, anche Zuerst die Füße (Prima i piedi, 1990) del tedesco Martin Kippenberger ha suscitato polemiche quando nel 2008 è stata esposta nella mostra Sguardo periferico e corpo collettivo al Museo d’arte Moderna di Bolzano. La scultura raffigura una rana crocifissa che tiene in una mano un uovo e nell’altra un boccale di birra. Kippenberger aveva inteso la sua rana come un autoritratto ironico realizzato in un momento in cui stava cercando di liberarsi dalla dipendenza da droga e alcool. La birra rappresenta proprio questa dipendenza, mentre l’uovo è il simbolo della perfezione cui si aspira. Nulla di blasfemo dunque. Ogni chiarimento non fu tuttavia sufficiente a placare gli animi. Intervenne nella polemica anche Benedetto XVI che, in una lettera all’allora presidente del consiglio regionale del Trentino-Alto Adige, affermò che la rana crocifissa «ha ferito il sentimento religioso di tante persone che nella croce vedono il simbolo dell’amore di Dio e della nostra salvezza, che merita riconoscimento e devozione religiosa».

Fede nell’Arte

A rendere complesso il rapporto tra chiesa e artisti concorre innanzi tutto il fatto che prima ancora che aver fede religiosa gli artisti hanno fede nell’Arte. L’iconografia cristiana è un repertorio essenziale della storia dell’arte e, poiché l’arte nasce dall’arte, per gli artisti è naturale attingere al patrimonio di immagini che è loro familiare. Soprattutto dalla seconda metà del XIX secolo, più che appropriarsi dei simboli della cristianità, gli artisti si appropriano delle immagini della storia dell’arte che a quei simboli hanno fatto riferimento nei tanti lavori realizzati nei secoli precedenti su committenza della chiesa. La questione si pone infatti per quelle religioni che hanno consentito e incoraggiato l’uso delle immagini per veicolare il loro messaggio. Non si pone invece per i musulmani che hanno sempre vietato di dare immagine a Dio e al profeta.

In passato si chiedeva all’artista di parlare anche a chi non sapeva leggere: il primo livello di lettura doveva essere chiaro a tutti. I significati più complessi o più profondi erano indirizzati alle persone colte. A partire dalle avanguardie storiche l’immagine non si giustifica più da sola neppure a un primo livello di lettura perché rimanda a un retroterra concettuale. Questo significa che la stessa immagine può essere percepita o interpretata in maniera diversa, prova ne è che si è sempre più avvertita l’esigenza di accompagnarla con la parola. Ogni opera incarna un significato, ma questo significato va decriptato tenendo presente che il simbolo agisce in modo diverso a seconda della formazione culturale e delle esperienze personali.

Che l’artista possa usare simboli della cristianità in maniera impropria non dovrebbe sorprendere. Chi si scandalizzerebbe sentendo qualcuno definirsi un “Cristo in croce?”. Nessuno. Perché allora scandalizzarsi dinanzi a un artista che si autoritrae come una rana malmessa inchiodata a una croce?

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