Nell'era digitale ogni cosa richiede la sua forma di spettacolarizzazione, anche lo sport. C'è chi sa dire no. Uno è Seb Vettel, quattro volte campione del mondo di F1, che pochi giorni fa ha alzato un sopracciglio davanti a chi gli chiedeva quanto strabiliante fosse Drive to Survive , la serie Netflix. «Ne ho vista una sola puntata - ha risposto l'ex pilota di Ferrari e Red Bull -, ho pensato che fosse un po' strano perché era così irrealistico». L'irrealtà e lo spettacolo non hanno niente di dispregiativo in sé, ma sollevano un fronte di domande che si legano alla notizia diffusa dal Financial Times: secondo il quotidiano britannico, Liberty Media, proprietaria della Formula 1, è in trattativa esclusiva per acquistare per più di 4 miliardi di euro la Dorna, l'azienda che possiede il mondiale MotoGP. Un affare che unirebbe le corse automobilistiche a quelle di moto creando così un pacchetto unico, gigantesco.

Ma qual è la ragione? Perché il mondo delle moto avverte la necessità di un rinnovamento? Secondo Carlo Pernat, figura mitica del pianeta a due ruote, manager di molti piloti di grido (Enea Bastianini è solo l'ultimo in ordine di tempo), un motivo risiederebbe proprio nel restyling di cui la MotoGP ha bisogno per rilanciarsi. «Il gruppo che ha salvato la F1 – dice – lavora molto sullo show e sul marketing. Con la moto sarà lo stesso. Ci sarà un passo in avanti. Perché il mondo è cambiato, e così il modo di fare comunicazione. Ci vogliono dei professionisti, i soldi non bastano. Ma ci vogliono professionisti delle due ruote. Le moto non sono la Formula 1, il pubblico è appassionato ma è meno chic di quello automobilistico. È più facile, non così bene come definirlo. Sicuramente l'unione dei due prodotti creerà un contenitore molto appetibile per tanti investitori».


Qualche settimana fa Stefano Domenicali, ad e presidente della Formula 1, era stato avvistato in Qatar, sede che ha dato il via alla stagione di MotoGP. Erano state giornate di riunioni, di incontri e di trattative. Si sa, Domenicali è un grande appassionato del motorsport tout-court ed è l'uomo che qualche anno fa rischiò persino di finire in mezzo al mondo delle due ruote come manager. Se anche questa volta il suo sguardo lungo non lo ha tradito, quello che rischiamo di vedere è un salto nell'ultra-business.

Ne sono convinti tutti. A cominciare dal capo di Liberty Media, il miliardario delle telecomunicazioni e dell'intrattenimento, John Malone. L'idea è quella di acquisire la MotoGP da Bridgepoint, che è azionista di Dorna da diciotto anni e possiede circa il 40% dell'azienda, prelevata nel 2006 a un valore di impresa di 550 milioni di euro. Compiere una rivoluzione tolemaica è l'atto secondo, cioè mettere lo spettacolo al centro dello sport. La strada è già spianata. Tanto che l'annuncio dell'acquisizione potrebbe arrivare alla metà di aprile, guarda caso nei giorni del gran premio di MotoGP a Austin, negli Usa.

Il fattore America

In questa storia gli Stati sono un fattore non di poco conto, soprattutto per il grande progetto che Liberty ha in mente. Da decenni la F1 tentava di affermarsi sul mercato americano come prodotto serio e appetibile. Negli anni Ottanta fu un fiasco, per convincere gli americani ci vogliono la grandezza e le luci. Tutte le cose che abbiamo visto agli eventi (ben più che GP) di Miami e Las Vegas un anno fa. Una nuova genesi per il prodotto F1, che funziona bene sul lato business e un po' meno negli ascolti da quando Verstappen vince sempre. Era stato lo stesso Financial Times a raccontare che circa 315.000 persone avevano partecipato alle giornate di Las Vegas, dalla cerimonia di apertura fino alla gara stessa. «A questo segue un pubblico altrettanto ampio in tutto il Nord America, 270.000 a Miami, 345.000 in Canada, 432.000 ad Austin e 401.000 in Messico». Ora, riproporre in MotoGp quel modello è tutt'altro che un sogno.
Leggendaria è rimasta l'immagine di Max Verstappen che cantava “Viva Las Vegas” fasciato in una bella tuta alla Elvis Presley. Pochi giorni prima del successo (il 18° di fila, il record dei record), l'olandese della Red Bull si era lamentato del fatto che il GP in Nevada era per «99% spettacolo, per 1% evento sportivo», sintetizzando con una frase tagliente: «Mi sento un clown». Lo stesso aveva fatto notare il pilota della Ferrari Carlos Sainz: «Penso che lo spettacolo sia grandioso, sono molto contento di ciò che Liberty ha fatto in gara e penso che sia un enorme passo avanti per la F1. Ma dobbiamo curare il lato sportivo».

Poi le lamentele avevano lasciato il posto ai flash e ai vip. Diciamolo: non è mica da questi particolari che si giudica la F1. Ma è chiaro che davanti a paillettes e fuochi d'artificio il mondo delle moto sembra invecchiare di colpo. Carmelo Ezpeleta, 79 anni il prossimo luglio, guida la Dorna dall'inizio degli anni Novanta. Una specie di monarca che pochi mesi fa aveva confermato le trattative in corso. «MotoGP in vendita? Siamo pronti a tutto», aveva detto. Pernat scherza quando parla di «nepotismo». Eppure l'etichetta non è tanto stravagante visto che il figlio di Ezpeleta, Carlos, è chief sporting officer di Dorna, un altro ruolo apicale che incide sulla carovana a due ruote.

Rinnovare è perciò la parola d'ordine in MotoGP, e il momento sembra propizio. Pernat ammette che l'addio di Valentino Rossi ha portato un calo di seguaci delle moto. «C'è stato, sì, anche se non così tanto come si pensava. Vale era lo spettacolo totale. E sicuramente senza di lui hai perso quella parte di pubblico che non sa nemmeno cosa sia un motore e che veniva ai GP esclusivamente per Vale. Lo spettacolo delle moto non va tanto male, c'è uno zoccolo duro molto grosso. Ma il futuro è un altro».

Il fattore Netflix

Va scrutato dentro ai device e nei formati multimediali, nuove sfere di cristallo dove tutto assume contorni magici. È un futuro che tira in ballo Netflix e la magia del cinema. Will Buxton, volto fondamentale nella serie “Drive to Survive”, ha detto che il successo è dovuto al fatto che quelle che si vedono sono «storie davvero umane». Velocità, punti, pole, pit-stop: viene tutto dopo. E anche l'idea di far combattere le location dei calendari di F1 e MotoGP sembra ardita («Non puoi, i circuiti in città non sono fatti per le moto», dice Pernat).

La lazzazione spettacolare è la chiave. La serie Drive to Survive  ha permesso di entrare nella realtà attraverso la finzione. Ha creato personaggi, buoni e cattivi. Li ha resi fragili, è gente che guida per sopravvivere. Perché non dovrebbe valere anche per i piloti di MotoGP? Non è l'unico motivo, ma il successo di Drive to Survive  è stato così grande che ha trasformato non solo la strategia internazionale della F1 ma anche quella di Netflix stessa, «che ha evitato lo sport dal vivo e ha invece raddoppiato la sua attenzione alle docuserie, investendo pesantemente negli equivalenti del tennis e del golf», scriveva il FT qualche mese fa. Servirà una buona sceneggiatura, «ma i personaggi li crei e la MotoGp ne ha una marea: da Marquez a Bastianini, Acosta e tutti gli altri. Chi ti pare. Più immagine dai e meglio è».

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