Gli autori di questo testo sono i fondatori del progetto culturale Tlon e, insieme a Fabio Ragazzo, dell’Italian Podcast Awards - Il Pod che si terrà, per la sua IV edizione, il prossimo 10 e 11 maggio a Piacenza. Non solo un premio per i migliori podcast italiani, ma due giornate interamente dedicate a questa crescente forma divulgativa e culturale. Tra incontri, talk e workshop incentrati sul podcasting
In principio era il Verbo. Quindi il suono. Quindi la voce.
Prima che l’essere umano tracciasse segni su una pietra o versasse inchiostro su una qualche pergamena, il mondo si raccontava attraverso i suoni: le storie viaggiavano da bocca a orecchio e ogni racconto era un evento irripetibile, incarnato in un corpo e inscritto in una voce. Quella dell’aedo, del griot, del cantastorie. Poi, come ha mostrato Walter Ong, nel passaggio dalla cultura orale a quella scritta l’umano ha perso l’immediatezza relazionale con la parola: il testo, oggettivato e separato dal suo autore, ha conquistato il dominio della memoria al prezzo di un’esperienza più solitaria e astratta.
Eppure, la voce isolata non è mai scomparsa del tutto. Ha resistito nelle pieghe del rito, nel teatro, nella radio, e oggi sta vivendo una nuova vita nel formato podcast. Che, a ben guardarlo, è al contempo un ritorno e una reinvenzione della narrazione orale. In un’epoca assordata dal rumore visivo, il podcast propone un’esperienza diversa: isolata, spesso in cuffia, in un rapporto intimo con la voce del podcaster che prende posto nelle nostre orecchie e, in un certo senso, nella nostra coscienza.
È un’esperienza che può comprendere solo chi l’ha vissuta: il motivo per cui noti podcaster sono entrati nel pantheon emotivo di migliaia di persone in pochissimo tempo, e da chi li ascolta sono percepiti quasi fossero degli amici.
LO SPAZIO DELL’ASCOLTO
Come hanno suggerito studiosi come Kate Lacey e Richard Berry, l’ascolto in cuffia crea una sorta di “bozzolo sonoro” (sound cocoon) in cui il mondo esterno si attenua e la voce entra direttamente nello spazio interiore di chi ascolta. Questo contesto immersivo genera una vera e propria intimità acustica: una forma di comunicazione che, pur essendo mediata, viene percepita come diretta, personale, quasi confidenziale. In maniera affine il ricercatore e podcaster Dario Llinares ha parlato di embodied listening, ovvero “ascolto corporeo”.
Il podcast non si limita a trasmettere informazioni: entra nel corpo dell’ascoltatore, nel suo spazio mentale ed emotivo, e costruisce un’esperienza di coinvolgimento affettivo e identitario.
Come nella cultura orale, il podcast stabilisce una relazione profonda tra narratore e ascoltatore, dove la voce è anzitutto un gesto capace di comunicare emozione, intenzione, presenza. Ogni podcast è quindi un ritorno al tempo in cui raccontare significava essere nel mondo con gli altri e per gli altri, un ibrido vivente nato dall’incontro tra la phonè arcaica e la tecnologia digitale, tra l’immediatezza della voce e la costruzione autoriale del montaggio. È proprio in questa ambiguità che risiede il suo potere, ossia nella capacità di rispondere in maniera contemporanea a un bisogno profondo e spesso inespresso: quello di essere ascoltati e di ascoltare davvero. Di abitare, al di là della retorica, un tempo non interrotto, che sfidi la frammentazione dello scroll e la compulsione al multitasking.
Lo mostrano gli studi di Siobhán McHugh, che nel libro The Power of Podcasting descrive il podcast come un’esperienza anzitutto affettiva e relazionale. Il podcast, scrive McHugh, è una forma in cui l’emozione guida la struttura narrativa, e non viceversa. Una lettura più teorica e radicale è quella proposta da Martin Spinelli e Lance Dann, che nel libro Podcast: Narrazioni e comunità sonore (Minimum Fax, 2021) parlano del podcast come di una soglia. Non è radio, non è letteratura, non è teatro: è qualcosa che attraversa i confini di tutti questi territori e li rilancia. Le sue strutture narrative sono fluide, ibride, spesso non-lineari. Possono mescolare autobiografia e inchiesta, confessione e reportage, diario e fiction, senza dover aderire a un genere prestabilito.
PLURALISMO ESPRESSIVO
In questo contesto, la voce non è solo un mezzo: è presenza performativa. Non dice soltanto, ma fa: crea vicinanza, costruisce fiducia, produce realtà. Grazie ai podcast, ad esempio, ci stiamo abituando ad ascoltare dialetti che non hanno storicamente trovato spazio nei media tradizionali, spesso dominati da un’idea di standardizzazione linguistica.
Il podcast, con la sua natura artigianale e decentrata, ha liberato la voce dalle imposizioni della norma fonetica, rendendo udibili inflessioni, accenti, parlate locali. Non è un semplice vezzo stilistico: è una forma di restituzione culturale attraverso la quale ogni dialetto veicola una visione del mondo, una memoria collettiva, una musicalità affettiva.
Ascoltare un podcast in napoletano, in siciliano, in veneto o in sardo significa accogliere un’altra forma di pensiero, un’altra geografia simbolica. È anche così che il podcast diventa spazio di resistenza linguistica e di pluralismo espressivo, e riattiva la voce come esperienza esistenziale e non soltanto informativa. Non ci racconta solo una storia: ci fa incontrare qualcuno. E, nell’incontro, ci trasforma. Perché, come sapevano bene le società orali, raccontare non è mai solo dire: è un modo per ricordare e per rinnovare.
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