Come giurato, l’esperienza di leggere i vostri tre libri mi ha permesso di riflettere su tre dei grandi temi del nostro tempo. Il primo è la memoria, che grazie al lavoro di Giada riluce in tutta la sua magnificenza attraverso la storia di due bambine che creano un legame più forte della morte sotto le bombe di un conflitto troppo vicino a casa nostra e che in troppi, ogni giorno, dimentichiamo. Il secondo è l’amore – il tema sempre scomodo dell’infelicità della coppia: il tuo libro, Giacomo, è di quelli che ti vergogni a leggere sotto le coperte prima di dormire, perché la tua compagna ti chiede «di che parla?» e tu non le vuoi dire «parla di noi». Il terzo è la politica. Grande rimosso di questo tempo.

E in questo devo fare un profondo ringraziamento a Joey, che ha portato la complessità di una vita di scelte, un abbraccio con il tempo presente che sembra un incontro di pugilato, che ti eviscera e ti sviscera l’anima e la mente. Grazie davvero a tutti e tre.

E grazie di esserci, con i vostri corpi, a questa piccola occasione per festeggiare la letteratura vera, quella scomoda che fa male, non quella che serve a mantenere le librerie di catena, ma quella che ti consiglia il libraio, quando le sere di pioggia vai a rifugiarti nel tuo posto del cuore. Il posto del tuo, di cuore.


Noi siamo piccoli, e molte parole non le sappiamo ancora. Non possiamo capire tutto quello che c’è scritto nei vostri libri senza figure. Sono libri per grandi. Ma riusciamo a capire che sono anche grandi libri. E siamo onorati, siamo felicissimi di poter dare, noi classi quinta a b e c dell’Istituto… di…, il nostro voto collettivo al romanzo di Giada.

Che è un romanzo che come le maestre ci dicono, è collettivo come il nostro voto. Parla di tutti noi. Ci riguarda tutti. E le protagoniste sono due bambine come noi. Sotto le bombe. Sotto un ponte che rischia di crollare. Per noi è importante che le scrittrici e gli scrittori mettano al centro dei romanzi noi bambini. Noi abbiamo paura della guerra, abbiamo paura dell’aumento delle bollette che fa preoccupare le nostre mamme e i nostri papà.

Noi abbiamo paura che anche se la scuola ci insegnerà moltissime cose, tutte bellissime e importantissime, quando finirà la scuola, tra otto anni, il mondo non avrà più voglia di competenze e merito. E allora noi non potremo dare il nostro contributo, ma vinceranno il privilegio e le vecchie logiche che ci hanno portati a questa possibile catastrofe.

Il nostro voto va a Giada, anche con il rispetto che va accordato agli altri due romanzi in lizza, perché Giada ha scritto un libro che guarda al futuro. Il nostro. Quello di tutte e tutti noi.


Lo sai benissimo che sarei solo la donna più contenta del mondo se questo libro ti portasse finalmente tutto quello che vuoi. La reazione esagerata che hanno avuto i miei colleghi al tuo libro va molto al di là delle tue intenzioni, che lo so, erano solo di approfondire le cause dello stallo della nostra relazione.

Lo so che il mio lungo periodo di depressione che ha costituito la parte principale della nostra relazione non dipende da te, ma se devo essere sincera e trasparente fino in fondo, quando ho letto come nel tuo romanzo hai cercato di separare col bisturi la storia della mia depressione dal meccanismo della nostra relazione e del tuo lavoro che ti porta sempre in giro e lontano da casa, ho cominciato a pensare che forse invece un po’ di relazione ci sia. Mi sembra di precipitare in un pozzo anche solo cominciando a ragionarci.

Il punto è questo: hai scritto il tuo romanzo, che è riconducibile a me da chiunque nella mia vita lo legga; sarò la donna più contenta del mondo se vince il tuo libro, ma mi preoccupa l’idea che il libro possa perciò diventare un bestseller e arrivare così a più persone.

Per fortuna, il mio mondo del lavoro non è proprio densamente popolato da fini intellettuali; ma la vittoria di un premio popolare potrebbe procurarmi dei problemi sul serio. Infine, ti chiedo seriamente di pensarci se continuare a proseguire il discorso con la casa di produzione che vuole trarne una serie.

A quel punto si salterebbe su un’altra scala, come pubblico, come diffusione della storia della mia depressione, e non avrei altra scelta che farla diventare una questione legale, considerato i danni che può portarmi nel mio campo, dove non sono proprio tranquilli tranquilli e illuminati all’idea che una persona che ha delle responsabilità su molte persone passi ogni momento non lavorativo a letto sotto un piumone come adesso che ti scrivo. Non completare l’opera di distruzione che hai avviato, fammi questo piacere.


Caro concorrente,

la camera di commercio di… si congratula con i tre finalisti della 44esima edizione del premio… e con la giuria di illustri esperti che hanno voluto onorare la tradizione di questa kermesse che ci dimostra, in tempi divisivi di incertezza nella società civile e nelle istituzioni, che cultura e impresa possono andare di pari passo.

Che in questo clima di conflitto sociale tre delle migliori penne del Belpaese ci mettano la faccia quando si tratta di andare a combattere per l’ambito premio messo in palio dall’associazione del meglio produttivo e meritocratico di questa regione e del suo genius loci, è un tributo all’intelligenza che sempre deve contraddistinguere gli intellettuali di un popolo di «poeti, santi e navigatori», intellettuali che sappiano rimanere in intima connessione con il popolo della nazione e creare unità invece che acrimonia.

Con la presente inviamo il consueto omaggio di prodotti locali a chilometro zero e una bellissima penna stilografica Dante 1000 progettata dal grande maestro…


Guarda, resti fra me e te ma il motivo per cui voto Joey è che anche se è una persona completamente estranea alla scena, anzi proprio per questo, nessuno può dire chi si scopa e chi non si scopa e se stava sul cazzo al direttore della Fiera o se si cala gli acidi con il comitato del Premio Città delle Stelle.

Sono diventati i liberal illuminati – moralismo Moravia-Calvino imprenditoria high concept e porte della percezione. Ecco, appunto, ho iniziato a spettegolare. Mentre con Joey non c’è da spettegolare. Di Giada possiamo dire quello che sanno tutti, che ha usato il Direttore finché le è servito, dopo peraltro essere stata tre anni col figlio, e che ora va a cena con… e… che si sono separati ma riescono a frequentarsi solo con lei che fa da mediatrice e gli spiega le novità della società, le parole in inglese e le droghe giuste con il suo modo da persona aggiornata.

Quindi votare lei è un po’ arrendersi al Non c’è alternativa e votare questa nuova forma di PD psichedelico dove si drogano tutti ma scrivono i testi di Fiorello e Fedez per campare. Dare il voto a quell’altro coglione, invece, sarebbe proprio da incel.

Tra l’altro cesso a pedali, arrogantissimo, da Twitter non capisco se scopa un sacco le donne di destra che vogliono ancora uno scrittore maschio che affronta con onore i problemi di coppia o se sono tutte sue cugine che lui paga per commentargli i tweet. Non si può votare.

Lui è proprio schifoso e anni fa ha brutalizzato una mia scrittrice esordiente che ci è stata malissimo per un anno ed è emigrata (non è emigrata per lui, ma sicuramente non ha aiutato a trattenerla in Italia). Quindi resta Joey. Che per me, ti dirò, forse è anche meglio se non ha nessun interesse per la letteratura ma la considera un pezzo della sua offerta crossmediale un po’ politica un po’ di intrattenimento. Meglio. Che morisse la letteratura. Anche a Pasolini non fregava un cazzo della cultura. E di Joey non si può dire niente, non si sa niente.

È tipo Arca, esibisce questa specie di iper organo sessuale stilizzato che non riesci a capire cos’è ma in compenso emana un freddo, quella specie di vulva di silicone che ha messo in copertina, col clitoride verniciato di finto Vanta black, che il puritano che è in noi registra che per Joey è solo flagellazione politica senza orgasmo, solo punizione, solo bondage filosofico, e ci fa sentire tutti calmi col biberon di latte caldo che sentiamo le sue storie dal futuro prima di addormentarci ed espiamo la nostra mediocrità patriarcale e borghese.

Non so se rimarrà nell’orbita Gucci anche post Alessandro Michele, non credo. Ma insomma quel che voglio dire è vota Joey anche tu, mettiamo in giro la voce, facciamo almeno bella figura, che fare i giurati gratis e leggere questi romanzi di merda non vale il networking, cerchiamo di riciclarci in qualche mondo più interessante, biennali, scarpe, ritiri terapia del freddo rassegne postporno, ti prego, aiutami ad uscire dal giro anzi fammi uscire da tutti i giri, fammi vivere, fammi viaggiare, diamoci un anno per scrostarci da questo mondo ho quasi cinquant’anni non ne posso più.


Ognuno di voi finaliste e finalisti mi ha toccato a suo modo. Nelle lunghe giornate di emozione prima di questa bellissima cerimonia, che da quest’anno abbiamo trasformato in una vera e propria kermesse, con le letture e i saggi dei ragazzi del centro recupero dialettico comportamentale e i report del lavoro di solidarietà sociale della comunità San Luigi Gonzaga Per i Giovani Da Giovani, ho avuto modo di sfogliare, compulsare, rileggere questi tre capolavori di tre grandi penne del nostro secolo che ormai ha già una sua età.

Circostanze personali su cui non mi dilungo hanno fatto sì che avessi più tempo degli altri anni per riflettere su queste tre opere di grande spessore. A volte leggere un libro è più bello la seconda volta, ma in questi tempi di consumo amorale nel tritacarne delle novità editoriali non capita di rileggere due volte un libro appena uscito – figuriamoci tre! Che dire? Partiamo dalla nota dolente.

No, non intendo il malcelato maschilismo del tuo libro, Giacomo, ma il fatto che in fondo, se posso fare dell’autofiction, scusate il riferimento colto, io nel rileggerlo mi sono eccitata. So che non dovrei dirlo così dal microfono, ma so che alla tua vanità di maschio farà piacere.

Di maschio un po’ bruttino – perdonami la sincerità, che sarebbe la tua arma, ma è un’arma senza copyright, possiamo usarla tutte e tutti – di maschio un po’ bruttino che ha saputo scrivere un libro dove anche i maschi beta riescono a vincere il cuore dell’innamorata.

Peccato che, come sempre, l’innamorata sia la terza, l’altra, e non quella che è sempre rimasta al fianco del maschio beta. Scusate. Peccato proprio. Giacomo caro. Tu che sei così capace di portarci dal tuo punto di vista molto pragmatico, terra terra, si vive una volta sola, tu che ci porti tutte lì, a vedere la brutalità delle necessità della carne e dell’imperativo del tempo che corre verso la tomba, noi da te forse dovremmo, vorremmo leggere qualcosa che ci aiuti a riscattare tante relazioni che non funzionano, che si arenano davanti a questo mistero del tempo che si fugge, che ci sfugge, che se ne va con la nostra storia tra le dita. Cit. Scusate. Scusate, davvero.

Ma leggere è questo: non è recitare a memoria le parole che ti ha scritto la maestra per la cerimonia di premiazione. Leggere è carne e sangue. Leggere è un maschio beta che conosci da sempre e ti regala il libro di Giacomo e dopo se ne va per sempre.

Leggere è dirgli: Tieni il mio sangue, tieni le mie lacrime. Regalale a qualcuno che non ce l’ha. Né il sangue, né le lacrime. Androidi, non donne. Personcine. Mi fanno pena. Per questo il mio voto non può andare a te,

Giacomo, ma ti voglio ringraziare, e forse il mio ringraziamento vale più di un voto, ti voglio ringraziare perché hai reso sexy il dolore. Sì. Non sorridere. Fategli un applauso, a sto povero maschio insicuro. Bello. Sì. Ti trovo perfino bello. Scusate. Lascio il microfono alle colleghe.


Amore, con te non posso mentire, il pezzo sul domenicale non lo faccio, perché anche quest’anno solo trauma.

Vincerà dei tre quello che è più sul trauma, lo so, lo do per scontato. Ma quello di Giacomo è ridicolo perché è su un trauma che non interessa a nessuno (cioè avere una moglie brutta? non lo so, non sono profondo come lui); e quello di Joey non è un romanzo. Ed è sul trauma pure quello. Vincerà Giada, che almeno ha preso il trauma per le palle.

Non posso sputtanarmi scrivendo un pezzo normale e non vorrei che mi partisse la brocca e mi ritrovassi a fare un pezzo contro la terzina finalista e poi mi devo sforzare per non dire cattiverie. Puniscimi. Sogno quell’albergo con la signora che ci guarda con disprezzo alla reception.


Sono solo piattaforme. Vanno usate a scopo politico. Non lo fa per sé, lo fa per il movimento, e va bene così. Tu hai la posizione durissima per cui secondo te alla fine sarà il sistema a cooptare chi ne usa gli strumenti. Io sono più ottimista. Alla fine purtroppo si riduce a uno stato d’animo: hai ragione tu o ho ragione io? È sentimento. Ma se vince Joey e tu inizi a riempirti di rancore solo perché in questo momento la tua identità ti permette soltanto di simpeggiare ma non dici niente che sia appetibile e non hai neanche tutto quel cuore di un G…, quella larghezza da prete, quei ritornelli lì, è la Storia, che ti devo dire?, stacce, cresci, scopa, liberati da questa ossessione non sei più il leaderino del collettivo di lettere.


Noi non siamo niente senza le nostre lettrici e i nostri lettori. Vorrei dedicare questo premio a loro. Io non sono niente senza di voi. Ogni mia parola ha bisogno del vostro sostegno per respirare. Dubito di me. Molte persone pensano che la sindrome dell’impostore sia una cosa brutta, che in realtà dovremmo liberarci e buttarci nelle cose. Io penso che la sindrome dell’impostore sia solo l’ennesimo modo per capire che il senso non lo soffiamo noi nelle cose. Grazie.

La mia vita è una sedia ergonomica, un vaso di fiori che cambio una volta a settimana, delle penne e dei quaderni. È ancora questo, da sempre. Tutto il resto è fallimento. Non ho niente. Tranne questo che mi date voi. Grazie per esserci e darmi il senso che non so dare. Il mio quaderno contiene le frasi che ci metto lentamente.

Come mi sembrano le cose, che effetto hanno su di me. Da dove viene il mio dolore. Il pozzo senza fondo del mio dolore. Le parole riposano per un tempo dentro il quaderno. La carta calda le custodisce. Sono parole che sono come tanti vermini, tanti bozzoli. Poi passano per un attimo dentro al freddo computer. Lo odio. È come la cella frigorifera. È una necessità, una necessità quasi medica.

Odio anche quella specie di trattamento sanitario obbligatorio che è il rapporto con l’editor. Io amo la mia editor, con tutto il cuore, ma quello è il momento più basso, quello in cui tutto è incerto. Voi non ci siete ancora.

Simuliamo la vostra reazione, proviamo a immaginarla a partire dall’Intelligenza Artificiale della mia amata editor, che nel suo complicato simulatore mentale prova a capire cosa voi, amate lettrici, amati lettori, penserete di ogni frase, che senso le darete. Vedete, noi, senza di voi, nemmeno sappiamo di cosa parla un libro. Cominciamo a capirlo nella riunione con i promotori, quelli che cominciano un viaggio medievale, terreno, fisico, sotto la pioggia e sotto il sole d’estate, per portare nelle librerie il libro.

Raccontare un libro alla rete dei promotori ti fa finalmente cadere dal piedistallo. Ti senti questa gran penna, al tuo tavolino del bar di quartiere, a giocare alla scrittura… ma la rete di promotori ti fa tornare utile: di che parla questo libro? Chi sono i protagonisti? Qual è il suo tema? Rispondo sempre che c’è sotto un dolore, ma il resto lo dicono i promotori.

Le loro reazioni, le risate quando riusciamo a riassumere in modo vitale la trama, l’intreccio, il plot… i trucchi di bottega… Io e la mia editor andiamo sempre a cena nello stesso ristorante dopo l’incontro con i promotori. È il primo assaggio di mondo reale. Ci beviamo una bottiglia. E infine voi lettrici e lettori.

Per primo il fantastico mondo dei bookstagrammer che più di tutti forse sanno vedere l’aura di una copertina, sanno sentire l’odore della carta. Senza di voi io non sarei niente. E poi allora la gente comincia a visualizzare le storie, le prime recensioni, a capitare sulle dirette video. Il romanzo prende finalmente forma quando una di voi mi dice, uno di voi mi dice: «Ieri sono andata a letto alle cinque per finire il tuo libro». E finalmente capisco di cosa parla. Parla di voi.

Sono nell’atrio. C’è un bartender bravissimo. Vedo dal tuo ig che sei sposato quindi forse non scenderesti a bere una cosa con me davanti a tutti. Ma non chiuderti in camera a masturbarti per la tristezza. Dammi il numero e salgo io con un negroni per te. Perdere ti dona. C’ero, alla cerimonia.

Dai ti mando una foto dei miei mocassini appoggiati come due mascalzoni allo sgabello davanti al mio. Non farmi passare la serata a rispondere al bartender a monosillabi, che prima o poi mi ubriaco. Ciao carino



da Tutti i nostri premi a cura di Emiliano Ceresi, Giacomo Ferrara e Mattia Fiorillo, Racconti edizioni, presentazione al Salone del Libro il 21 alle 10.45 in sala Avorio con i curatori e Luca Ricci, Domitilla Pirro, Marco Rossari, Veronica Raimo, Lorenzo Vargas, Paola Moretti.

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