La liberalizzazione del vino dealcolato apre nuove sfide per il Prosecco e per il mercato vinicolo veneto. Il giro d’affari del vino low e no alcol è in crescita, trainato soprattutto dai giovani e dall’export. Intanto, i consorzi si confrontano sull’identità del Prosecco senza alcol, divisi tra le opportunità commerciali e i rischi per la qualità
- Questo articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani, sullo sfogliatore online e in edicola
Il dibattito intorno al vino dealcolato, rilanciato dalla recente liberalizzazione voluta dal ministero dell’Agricoltura, in Veneto è più acceso che altrove. Al centro c’è ovviamente il Prosecco, prodotto di punta non solo della regione, ma di tutto l’export vinicolo italiano. Per le bollicine più famose della penisola, il dilemma “alcol sì - alcol no” è di difficile risoluzione, perché obbliga a ragionare sull’identità di una bevanda e di un territorio, costringendo gli addetti ai lavori a fare i conti con la realtà.
Il Prosecco è un prodotto in salute, è vero: si tratta del vino italiano maggiormente esportato all’estero, ma i cambiamenti nelle abitudini di consumo potrebbero rendere inevitabili trasformazioni radicali anche sulle colline tra Valdobbiadene e Conegliano.
Oggi non beviamo più come una volta, dicono tutti i dati. Il comparto vitivinicolo, per continuare a vendere, deve tenerne conto. Secondo un rapporto di Nomisma Wine Monitor, il mercato italiano low (tra 0,5 e 8 gradi) e no alcohol wine (sotto gli 0,5) rappresentava meno dello 0,5 per cento del totale nel 2022, con tassi di crescita però del 10 per cento annuo.
Confindustria Veneto Est vede qui grandi opportunità nei prossimi anni e stima per la regione un fatturato compreso tra 30 e 50 milioni di euro: circa il 2 per cento o 3 per cento dell’attuale giro d’affari del vino. Numeri che fotografano un mercato ancora ridotto, ma dalle possibilità inesplorate, soprattutto per quanto riguarda i giovani consumatori e i mercati esteri, in particolare i paesi musulmani.
Anche in Italia l’attenzione è in aumento. Lo confermano i dati dell’Osservatorio UIV-Vinitaly, secondo cui il 36 per cento dei consumatori italiani è interessato alle bevande dealcolate.
Produttori sull’attenti
Nonostante si gridi al sacrilegio, molti in Veneto si stanno preparando a una crescente richiesta di questi vini e pianificano investimenti. Per un impianto di dealcolizzazione serve fino a un milione di euro. Più di qualcuno, come Astoria o Serena Wines, appoggiandosi all’estero, sta già producendo e commercializzando Prosecco alcohol free o low alcohol, nonostante non possa chiamarlo così.
I vini appartenenti alle denominazioni Dop o Igp, come il Prosecco Doc e Docg, sono infatti esclusi dal decreto ministeriale e non si possono dealcolare, per il momento. Questo non sembra essere un problema nemmeno per la cantina Mionetto, tra le prime a muoversi un paio di anni fa e che nell’ultimo anno ha raddoppiato la produzione di spumante dealcolato, passando da due a quattro milioni di bottiglie. Queste ultime finiscono soprattutto nei paesi nord-europei, ma anche in quelli dell’est Europa e in Francia.
Identità in pericolo?
Si potrà chiamare Prosecco questo vino in futuro? La discussione è aperta all’interno dei Consorzi, pur tra mille dubbi. Secondo Franco Adami, presidente del Consorzio Conegliano Valdobbiadene Docg, i vini dealcolati non manterrebbero le caratteristiche del territorio. L’alcol è parte dell’equilibrio gustativo e senza si rischia di ottenere prodotti sbilanciati e troppo dolci, concordano gli enologi. Tuttavia, Adami ammette che i dealcolati rappresentano un’opportunità per intercettare nuovi mercati e clienti, a patto che non si usino uve dalle qualità distintive e che sia garantita massima trasparenza verso il consumatore perché «un Prosecco DOCG dealcolato non è Prosecco, è un’altra cosa».
Più aperto alla novità è il Consorzio di tutela del Prosecco DOC.
Per il presidente Giancarlo Guidolin, l’avvento dei dealcolati potrebbe essere una soluzione per la Glera esclusa dalla Doc Prosecco, diventando una sorta di valvola di sfogo per l’eccesso produttivo. In quest’ottica, la produzione di spumante dealcolato correrebbe parallela a quella delle normali bollicine e si rivolgerebbe alle fasce di età più giovani. Se una Dop del Prosecco dealcolato appare oggi ancora lontana, il Consorzio sta però valutando la possibilità di lanciare una versione più leggera dello spumante: 8-9 gradi, rispetto agli 11 standard.
Il progetto, in collaborazione con l’Università di Padova, è stato presentato ad aprile a Vinitaly. Allo studio non c’è però la dealcolazione, precisa l’enologo Simone Vincenzi, ma «una gestione diversa delle fermentazioni», che potrebbe portare alla nascita di un Prosecco ancora più “light”. Se sarà questo il compromesso capace di mettere tutti d’accordo, lo dirà il mercato. Ma la strada per un Prosecco senza alcol, ufficialmente riconosciuto, è appena iniziata.
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