Altre due cose dopo l'universo e la stupidità umana sono infinite: la nostalgia e la nostra capacità di monetizzarla. Non esiste niente di troppo brutto, stupido o impresentabile che non diventi poi eccitante riscoperta, doverosa rivalutazione, immortale caposaldo della nostra educazione sentimentale.

Perché prima o poi lo Zeitgeist risana tutti, artisti politici criminali e stilisti. Soprattutto in questo millennio nel quale abbiamo deciso che la Storia andava messa in pausa per manifesta superiorità sulle nostre forze, e che è molto più piacevole godersi l'Attimo, soprattutto se l'attimo si situa in un qualunque momento degli ultimi quarant'anni ormai innocuo e musealizzato.

Non ho fatto la Holden 

Alessandro Baricco ha scritto che la pandemia ce la siamo in qualche modo chiamata (sto volgarizzando, non ho fatto la Holden) e credo abbia ragione: l'anima del mondo ha finalmente evocato la scusa insindacabile, epocale, per non fare più niente oltre a stare in casa a cercare su Youtube le sigle di Fantastico, gli spot delle merendine che non torneranno più, il Festivalbar e i più spaventosi totem del nostalgismo: il canzoniere di Cristina D'Avena, ormai colonna sonora anche dei divorzi e delle laparoscopie dei suoi piccoli fan originari; e quello degli 883, ieri irricevibile coacervo di pensiero debole Claudio-Cecchettiano, oggi straordinaria epopea dei beati anni del castigo in provincia.

Tutte cose che ai tempi erano fruite solo dai bambini, che sono innocenti, e dagli inattrezzati, che non conoscono niente di meglio.

La notizia del momento per chi non ne può più delle hard news è che gli hard discount Lidl hanno messo in vendita anche in Italia (dopo il debutto in Finlandia, la patria del buon gusto) la collezione di sneakers, ciabatte, calzettoni e magliette col proprio marchio dagli inconfondibili colori fendinebbia.

Anzi, la notizia del momento è che gli italiani si sono messi in fila all'alba, provocando anche risse e assembramenti, pur di acquistare scarpe tra il clownesco e l'antinfortunistico a 12,99 euro al paio. Perché naturalmente si tratta di una “edizione limitata”, la formula magica ormai usata per rendere aspirazionale anche il cibo per gatti.

I poveri 

La prima cosa che ho pensato è che anche qui è colpa del nostalgismo. Negli anni Novanta, quando inaugurò i suoi supermarket in Italia, Lidl venne accolta con sgomento: nessuno aveva mai sentito parlare di hard discount, nessuno aveva mai comprato la pasta o i pelati in un posto che assomigliasse a un grande magazzino di un paese oltrecortina, senza nemmeno un marchio riconoscibile tra scatoloni impilati ovunque. Nessuno aveva mai visto un'azienda che avesse come target, e con orgoglio, quelli che ancora definivamo sbrigativamente “i poveri”.

Negli anni Novanta farsi beccare in un Lidl era più o meno come farsi beccare in un cinema porno, si arrossiva cercando disperatamente una scusa plausibile: sono qui per curiosità. Per scherzo. Per fare ricerca. Mi avevano detto che era una scorciatoia.

Erano tempi così innocenti che potevamo ancora raccontarci di essere tutti mediamente benestanti, e che andavamo al Lidl come andavamo a Cuba o in Africa: per allargare i nostri meschini orizzonti capitalisti. Forse è questo il motivo inconfessabile che oggi ci fa correre a riempire i carrelli di scarpe e ciabatte che con molta probabilità prenderanno fuoco al primo soffio di scirocco: per ricordarci di quando visitare l'hard discount era solo una breve vacanza in un mondo lontano.

E perché vengono via più o meno “con un deca”, come cantavano gli 883 nel brano omonimo che oggi gode di un prestigio da Premio Tenco e che ieri metteva semplicemente tristezza. E perché le ha pubblicizzate Fedez su Instagram. E soprattutto perché – oggi che siamo tutti mediamente poveri– ci sarà sempre qualcuno a Pechino o a Dubai disposto a comprare per centinaia di euro le scarpe del discount che avremo subito rimesso in vendita su internet.

Ma per una “edizione limitata” questo e altro, e del resto lo facevamo già in tempi che ora ci sembrano la belle époque: eppure solo pochissimi anni fa gli italiani si mettevano in fila di notte davanti a H&M per strapparsi di mano versioni scadenti di pezzi d'alta moda che qualche astuto designer aveva deciso di concedere al popolo (capsule collection, il modo fashion di definire il cassonetto giallo della Caritas). E che ogni tanto ancora appaiono, ammonitori come fantasmi del Natale passato, a prezzi da asta di Sotheby's su Ebay.

Gli italiani si sono messi in fila all'alba per acquistare scarpe a 12,99 euro. È una "edizione limitata", formula che rende aspirazionale anche il cibo per gatti. Illustrazione di Dario Campagna

Nostalgia del fango

Ma questa nostalgia del passato, soprattutto di quello più brutto, non sarà forse un ennesimo ritorno di quella che i francesi chiamano nostalgie de la boue, la nostalgia del fango? Cioè il desiderio romantico di vivere come i meno fortunati e i più disagiati, di soffrire a distanza di sicurezza per provare il brivido solidale verso l'operaio o il guerrigliero o il migrante?

Chiunque abbia incrociato un gruppo di adolescenti negli ultimi anni non può non aver notato una cosa: sono vestiti esattamente come i giovani albanesi sbarcati a Brindisi nell'estate del 1991. Se siete stati teenager in quegli anni vi saranno rimasti marchiati a fuoco nella memoria: le implicazioni geo-politiche sarebbero arrivate dopo.

Ma prima, per noi cresciuti in un universo di felpe e piumini fluo, Timberland e Superga, il vero shock fu vedere quei nostri coetanei vestiti nell'unico modo in cui puoi vestirti quando scappi dalla fame, quel modo che avevamo visto solo nei documentari in bianco e nero e che faceva sembrare anche i timorosi clienti del Lidl delle comparse di Beverly Hills 90210.

Ecco, quei giubbotti catarifrangenti e sformati, quei jeans ascellari e marmorizzati, quei marsupi, quelle calze di spugna in zoccoli di gomma traforata sono l'idea di cool che hanno adesso i vostri figli. E mica solo loro. Da Balenciaga a Fendi a Gucci sembra che ci sia una sola figura di riferimento possibile per la moda contemporanea: il benzinaio. Stesse divise, stessi loghi fluorescenti spalmati dappertutto, stesse tute imbottite e monocolori, stessi cappellini. Ma purtroppo senza il rotolo di banconote nel marsupio di design ma ancora disperatamente brutto.

Esorcizzare il peggio 

Perché forse non è solo per nostalgia del fango, o dell'adolescenza, o di quando la nostra unica preoccupazione era di sembrare consapevolmente nerd, che ci siamo messi in fila per seguire la moda del Lidl.

È perché tutto quello che fino all'anno scorso poteva ancora passare per sfoggio di ironia – la sciatteria, la finta povertà, le scarpe di cartone – all'improvviso è diventato una prospettiva reale anche per chi queste cose finora le aveva viste solo al telegiornale.

Ci siamo messi in fila al Lidl per trollare noi stessi, certo: per ridere delle scarpe, per rivenderle a prezzo maggiorato, per fare i meme. Ma segretamente lo abbiamo fatto anche per esorcizzare il momento in cui saremo costretti a indossarle davvero per fare quell'altra fila, quella che persino la nostra generazione non aveva ancora trovato il coraggio di rivalutare con nostalgia: quella per il pane.

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