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Così per sempre di Chiara Valerio, oltre a essere il più sfacciato e riuscito tentativo di tornare al romanzo tradizionale di tutto il postmodernismo italiano, è anche un attacco frontale, gentile e spietato, alle tradizioni che informano l’Italia e la sua cultura, anche romanzesca. È un romanzo queer, ma non perché racconti una vicenda di gente queer.
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Valerio usa il proteiforme mito del vampiro per spiegare cosa significhi essere un’intellettuale che guarda al futuro dalle capitali del passato e del passatismo. Ci invita a immaginarci senza fine nell’età dell’apocalisse permanente, ci sottrae l’alibi di una distinzione tra scienze e lettere, ci mostra che l’umanesimo è tutto ancora da farsi.
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Sfuma i confini tra le cose, superando le distinzioni cartesiane tra bestie e persone, organico e inorganico, eternità e immortalità. Ci rivela che non è macabro, in fondo, sentirci meno estranei a noi stessi quando ci riteniamo morti.
Tra i diversi nostri grandi autori che a suo tempo uscirono dal tempo, come da un’inesplosa bolla di sapone, per visitare l’aldilà e poi tornare allo scrittoio a farci rapporto in bell’italiano, Giorgio Manganelli è forse il meno geometrico, il meno logico. Eppure quel che ci racconta in Dall’Inferno, questo luogo nebbioso che pare un quadro di Silent Hill col joystick sotto i pollici di Samuel Beckett, ha sempre l’aria di avere senso, e molto, anche se giusto un paio di spanne più in là di qua



