«L’unificazione del mondo mediterraneo sotto Alessandro Magno». Un errore? Possibile in un testo ufficiale e di norma così meticolosamente curato come quello delle Indicazioni? In tutta la storia nazionale non esistono programmi con svarioni tanto marchiani. E non è affatto l’unico caso
Scorrendo l’elenco degli argomenti che la Commissione di storia ha stilato come modello di buona storia da adottare, se ne trova uno che fa sobbalzare: «L’unificazione del mondo mediterraneo sotto Alessandro Magno». Un errore? Possibile in un testo ufficiale, di norma così meticolosamente curato come quello delle Indicazioni? In tutta la storia nazionale non esistono programmi con simili svarioni.
È un caso così inusitato che suggerisce pensieri altrettanto insoliti. Per esempio. A partire dal prossimo anno, i bambini italiani non dovranno più imparare che Alessandro Magno morì a Babilonia nel 323 a.C., dopo una solenne ubriacatura e dopo aver conquistato e “unificato” l’Oriente dal Mediterraneo all’oceano Indiano. No. Studieranno che, sopravvissuto alla sbornia, si rivolse a occidente, dove c’erano Cartaginesi e Romani, gente che riteneva pessima, e, dopo averli sconfitti, entrò vittorioso in Roma. Beninteso: se questa è «l’unificazione del Mediterraneo» come la racconta Javier Negrete nel suo Alessandro Magno e l’aquila di Roma, in altre classi si preferiranno fonti rigorosamente romane, come Tito Livio, che fu il primo a porsi la domanda fatidica: «E se Alessandro avesse combattuto contro Roma?» (libro IX, 13-19).
La fuga dei giovani dall’Italia ostile. La scuola è inutile se non c’è futuroBene. Dal prossimo settembre se lo dovranno chiedere tutti, autori di sussidiari e insegnanti e, poiché parliamo di primaria, solleverà discussioni accese nelle chat delle mamme. Giustamente tutti daranno risposte diverse. Ma forse è proprio questo che avevano in animo i membri della Commissione.
Quello che sembra un errore è un fatto voluto. Che sia uno strafalcione è l’opinione dei vecchi progressisti, così attaccati alla storia accademica, da essere sempre lì, pronti con la loro matita rossa e blu. Non per nulla Loredana Perla, coordinatrice della Commissione, li ha definiti un «circolo da Piccolo mondo antico».
Rinnoviamoci, proclamano invece queste Indicazioni, e tuffiamoci nell’infinita e inedita didattica delle storie alternative. Cosa c’è di più moderno delle alternate histories? È un criterio di lettura – questo della storia alternativa – che funziona magnificamente con questo elenco.
A partire dall’esordio. Nella polverosa tradizione degli studiosi, il primo capitolo della storia umana si chiama «il processo di ominazione». Un’erudizione stantia che allude a fatti troppo complessi. Più immediato raccontare «la comparsa dell’uomo sulla terra». Venuto su improvvisamente, come un fungo. Ai bambini piacerà moltissimo, avranno pensato i nostri esperti.
Saltiamo una storia antica e medievale talmente alternative da aver poco a che vedere con quelle conosciute dagli storici, piene come sono di errori, stereotipie e imprecisioni, e giungiamo dritti all’Ottocento, secolo fondamentale – lo ribadisce spesso Galli della Loggia – della formazione dell’italianità. Qui, a proposito della colonizzazione, l’alternatività è lampante. Da una parte, infatti, troviamo una sofferta tradizione internazionale di studi che non accetta più di parlare di «scoperta di mondi», ma si dibatte in una folla di nominazioni: irruzione dell’Occidente, collisione fra mondi, sfruttamento, olocausto, genocidio, ecocidio, schiavismo, razzismo. Dall’altra, uno spensierato «incontro dell’Occidente con altre civiltà».
Ma lasciamo i pensieri insoliti e torniamo alla realtà. Un giorno di qualche decennio fa, uno studente chiese al professore che aveva annunciato la sua lezione sulla Seconda guerra mondiale: «Ma allora, c’è stata una Prima?».
Racconta questo episodio Eric Hobsbawm introducendo il suo Secolo breve, e lo ha rammentato di recente Giovanni Belardelli, membro del gruppo di lavoro delle Indicazioni, per dimostrare l’ignoranza dei ragazzi, dovuta a suo dire dall’imperversare della «didattica progressista». Usando lo stesso metro, cosa dimostra questo elenco di errori, così grave e insopportabile da suggerire la via di fuga della storia alternativa?
Ce lo chiediamo perché è in contraddizione stridente col proposito di ri-valorizzare i contenuti, sviliti dalla didattica progressista, più volte dichiarato dai componenti della Commissione. Credo che la risposta sia una sola: che a loro non importa granché di ciò che gli alunni italiani dovranno studiare.
La didattica progressista, la scuola che non funziona più, i ragazzi che arrivano all’università senza sapere un tubo, sono solo un pretesto per affermare gli obiettivi politici di questa riforma: l’identità nazionale, l’italianizzazione dei bambini stranieri, la supremazia dell’Occidente.
Un momento esemplare del progetto più vasto di costruire l’egemonia della destra in Italia, come ha scritto Galli della Loggia sul Corriere (11 luglio 2025). È una storia «serva» – Lucien Febvre avrebbe detto così – quella che leggiamo in queste Indicazioni, posta in coda alla lunga dissertazione sulla natura occidentale della storia, e oggetto conseguente di un’attenzione approssimativa.
È con questa storia che se la dovranno vedere gli insegnanti, a partire dal prossimo settembre. Lo dovranno fare coi nuovi manuali e nei numerosi corsi di aggiornamento allestiti dal Mim, già annunciati da Loredana Perla.
Sarà bene, allora, ricordare ciò che ha scritto Giuseppe Sergi sull’Indice dei libri del giugno scorso, e cioè che se «l’impianto ideologico (di queste Indicazioni, nda) è discutibile, l’ignoranza è imperdonabile».
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