Il 29 maggio 1985 trentanove tifosi morirono poco prima della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool a causa delle azioni degli hooligans. Il racconto nel libro (e nel podcast) del giornalista sopravvissuto alla tragedia
Il 29 maggio 1985, allo stadio Heysel di Bruxelles, è un pomeriggio di luce e bandiere che sembra scandire alla perfezione il conto alla rovescia prima della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool, la partita delle partite.
Emilio ha diciotto anni e ce l’ha fatta: è lì, con il biglietto per entrare allo stadio, insieme all’amico di una vita, Giampiero. Oltre all’eccitazione e all’entusiasmo porta con sé un piccolo registratore e una cinepresa Super 8, perché ha già deciso che farà il giornalista.
Nello stadio, tra canti e battiti di mani, c’è una chimica speciale che assomiglia a un incantesimo. Poi, la strage: gli hooligans inglesi sfondano le recinzioni del settore Z – occupato da tifosi juventini ma anche da neutrali e famiglie – diffondendo il panico. In molti cercano di fuggire ma il muro di contenimento, sotto la pressione della folla, crolla: 39 i morti, 600 i feriti.
Questa storia è raccontata in Quella notte all’Heysel (Sperling & Kupfer, 224 pagine, euro 18,90) di Emilio Targia, sopravvissuto alla tragedia di quarant’anni fa. Si tratta di una nuova edizione aggiornata, con i contributi di Marino Bartoletti, Franco D’Aniello, Andrea Lorentini, Michele Plastino, Cesare Prandelli e Guido Vaciago. Conta inoltre la prefazione di Sandro Veronesi e la postfazione di Antonio Cabrini.
Il romanzo di Targia è diventato anche un podcast in quattro puntate, Dentro l’Heysel, prodotto da Mondadori Studios, che in occasione dell’anniversario della strage si arricchisce di una quinta puntata inedita.
Emilio Targia, sopravvissuto all’incubo di quella notte all’Heysel, racconta dunque ciò che ha visto e sentito, con i suoi ricordi fissati anche su una pellicola e su un nastro magnetico, e prova a sciogliere nell’inchiostro memoria, rabbia, dolore e paura. Per non dimenticare. Perché senza memoria saremmo luci spente.
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