«Questa è utopia!». Lezioni di anarchia all’Edicola 518

Il 1 giugno 2016 nasce a Perugia Edicola 518. Si tratta di un chiosco abbandonato nel centro storico della città, che abbiamo ripreso in un piccolo gruppo di scrittori, studenti e artisti per farne un micro-centro culturale di quattro metri quadrati. Abbiamo creato una libreria specializzata in volumi d’artista, riviste indipendenti, autoproduzioni e curiosità editoriali; abbiamo organizzato decine di incontri nello spazio pubblico, restituendo al chiosco la sua funzione sociale di crocevia, spazio di scambio, luogo d’informazione e cultura; abbiamo anche portato avanti un’intensa attività editoriale con il progetto Emergenze Publishing, che traduce su carta le nostre ricerche sul territorio e nella sua ultima uscita, dopo quasi dieci anni di attività, ha voluto affrontare la più complessa delle domande. Che cosa possiamo sognare oggi? È la domanda che ispira Lezioni di Anarchia, vol. 3, il capitolo conclusivo della serie di Emergenze Publishing dedicata alla riscoperta e attualizzazione del discorso anarchico. La pista anarchica ha le sue radici nell’Ottocento La postura anarchica Da anni, in Edicola 518, parliamo di anarchia. O meglio, cerchiamo di interrogarci su come l’insieme dei pensieri e delle pratiche che si rifanno alla postura anarchica possano fornirci delle chiavi di lettura intelligenti e spendibili nella vita di tutti i giorni. Abbiamo svolto questa indagine invitando nella piazza pubblica che fronteggia la libreria decine di ospiti, anarchici e anarchiche a cui abbiamo chiesto di parlare con noi di questioni di interesse comune: il lavoro, l’educazione, la democrazia, la città, le tecnologie, la disobbedienza civile. L’esito di queste assemblee, aperte alle integrazioni (e alle polemiche) di tutta la cittadinanza è raccolto nei volumi Lezioni di Anarchia, che abbiamo iniziato a stampare nel 2019 e che oggi si completano con l’uscita del terzo, un volume sull’utopia. “Lezioni di Anarchia vol.3 - In viaggio verso Utopia”. Emergenze Publishing, 2025. Acquistabile su: edicola518.com. A cura di Antonio Brizioli

[Missing Credit] Già, perché mentre si parlava dei modi in cui l’educazione può essere interpretata in chiave libertaria, di come il lavoro possa più anarchicamente armonizzarsi alla vita, di come le tecnologie possano essere ripensate in senso conviviale e di come ogni tanto sia opportuno contemplare gesti di disobbedienza civile, mentre facevamo questi discorsi, in piazze piene e accese, c’era sempre qualcuno che legittimamente cercava di riportarci coi piedi per terra dicendo «Ma questa è un’utopia!». Un’obiezione che ci ha fatto interrogare molto intensamente. Non tanto per la volontà, o forse l’esigenza, di stroncare sul nascere la riflessione su una società possibile, quanto perché veniva usato con accezione negativa un termine che nei secoli ha rappresentato la più generosa proiezione in avanti dell’essere umano: l’utopia, ovvero l’esercizio di immaginare un mondo perfetto per trovare la forza di costruirne uno migliore. Voglio uccidere Mussolini, vite di tirannicidi mancati Le facoltà utopiche Ne abbiamo parlato tra di noi, con i nostri ospiti, con i partecipanti alle presentazioni ed è emerso un quadro decisamente scioccante circa l’assopirsi delle facoltà utopiche fra le nostre generazioni. In buona sostanza, per quasi tutti, il futuro è diventato uno spazio inquietante, tiranneggiato da guerre, catastrofi climatiche, estinzioni, depressione, perdita della socialità, un luogo dispotico più che utopico. L’utopia sembra essere un esercizio quasi offensivo di fronte alle emergenze della contemporaneità, che richiederebbero piuttosto un approccio pratico, rabbioso e immediato. In questo modo una forza così importante in tutti i cambiamenti sociali della storia umana viene relegata alla stregua di mero esercizio intellettuale; un po’ come quando Engels (quello del “Manifesto del partito comunista”) distinse brutalmente il socialismo utopico dal socialismo scientifico; screditando il pensiero anarchico (per sua natura utopico) ma al contempo assolvendolo (a posteriori, s’intenda) da tutti i crimini che nella storia sono stati commessi in nome del cosiddetto “socialismo scientifico”. Ora c’è un aspetto che dobbiamo tenere in considerazione: abbracciare l’esercizio utopico del sogno radicale, della speculazione sul mondo come davvero vorremmo che fosse, senza curarci della reale distanza fra esso e quello in cui viviamo, è presupposto necessario non solo al cambiamento, ma anche al mantenimento di una sana postura critica nei confronti dell’ordine costituito. Ed è per questo che abbiamo scelto di metterci “in viaggio verso Utopia”, accompagnati per mano da una grandissima anarchica, Maria Luisa Berneri, che nel 1949 terminò, prima di morire, il suo Journey through Utopia, un viaggio nella storia della letteratura utopica da Platone fino ai suoi giorni (Huxley, Zamjatin), in cui rifletteva, commentando stralci delle opere, sulla necessità e sull’ambiguità del discorso utopico. Necessità perché non si può smettere di immaginare un mondo senza guerra, senza povertà, senza dominio del forte sul debole, dell’uomo sulla donna, senza colonialismo e senza schiavitù. Ambiguità perché, al contempo, la storia ci insegna che le utopie si sono spesso fatte distopie proprio al seguito dei loro promotori, che perdendo di vista il contesto sociale di riferimento le hanno promosse con l’efferatezza di una crociata. In Lezioni di Anarchia, vol. 3 si cerca quindi di problematizzare (rispondervi in modo univoco sarebbe antianarchico!) la domanda posta in apertura, fornendo stimoli e nutrimenti al discorso utopico. Perché le azioni concrete che ciascuno di noi compie nella propria quotidianità non perdano il contenuto utopico del mondo come lo vorremmo davvero.