Nato come artista che espone nelle strade, Jr si è imposto sulla scena internazionale per il modo in cui coniuga arte, azione e impegno sociale. Il 36enne artista francese, noto per i suoi collage fotografici, film e azioni situazioniste che coinvolgono intere comunità, ha tra l’altro diretto insieme ad Agnès Varda il lungometraggio Visage Village, premiato a Cannes e candidato all’Oscar come miglior documentario nel 2018. Di recente Jr ha avviato un progetto attraverso cui vengono forniti pasti da ristorante stellato a rifugiati e senzatetto, una iniziativa avviata a Parigi con lo chef Massimo Bottura e che continua nella scuola che gestisce fuori Parigi. «Quando le persone arrivavano nel refettorio venivano trattate come se fossero in un ristorante stellato Michelin» mi spiega l’artista, che ci tiene a precisare che il suo è un progetto culturale, non sociale. «La cultura dovrebbe continuare a essere considerata essenziale: dopo aver affrontato i bisogni di base, in questo momento c’è da combattere un po’ più del solito».

Organizzando momenti di aggregazione con l’obiettivo di operare una trasformazione positiva nella società, Jr intende favorire discussioni e scambi di opinioni attraverso la sua pratica artistica. Egli stesso spiega: «Questa è una delle sfide decisive che stiamo affrontando grazie alla rivoluzione della tecnologia, ma è anche una sfida esacerbata da una crisi come quella che stiamo vivendo. In tutto ciò che cerco di fare in questo periodo la cosa che mi preme di più è rimettere le persone in contatto tra loro. Abbiamo bisogno dell’interazione sociale. Naturalmente, questo è qualcosa che va al di là della nostra volontà in questo momento, perché il virus ci tiene lontani gli uni dagli altri, ma allo stesso tempo eravamo già su questa strada per via dei social media».

Un inno di speranza

Per la sua azione Omelia Contadina, Jr ha coinvolto una comunità dell’altopiano dell’Alfina minacciata dall’intensa monocultura con cui le grandi multinazionali stanno plasmando interi territori. Alice Rohrwacher, che ha diretto insieme a lui il film, ha definito questo lavoro un inno di speranza. «Ho iniziato a lavorare su Omelia Contadina» spiega, «perché ho conosciuto il mondo contadino attraverso i progetti che ho fatto con Agnés Varda. Non avevo però mai indagato in questa direzione né capito la lotta che i contadini combattono contro la monocultura per mantenere viva un’agricoltura alla quale siamo tutti favorevoli, poiché tendiamo a cercare prodotti che non contengano sostanze chimiche. È una lotta silenziosa per mantenere la loro integrità. In Francia, paese da cui provengo, ci sono molti agricoltori che si uccidono. È l’unico modo per farsi ascoltare».

Jr considera l’arte un modo straordinario per sollevare domande e con questo suo progetto vuole creare una marcia gigantesca, una sorta di processione capace di riunire persone provenienti da tutto l’Altopiano dell’Alfina, e non solo. «Il mese prossimo ripeteremo l’azione in Australia» mi dice. «Sembra un corteo funebre, ma in realtà i contadini sono tutti vivi e lottano e camminano lentamente verso la loro fine se non facciamo qualcosa».

Nel suo film Ellis Island Jr ha presentato quella che io vedo come una figura doppiamente emarginata. Il protagonista, in quanto migrante, è già parte di una comunità emarginata e quando arriva a Ellis Island non gli è concesso l’ingresso a New York. Si ritrova a vivere così una ulteriore discriminazione rispetto ai suoi compagni migranti. Si definisce «il fantasma di chi non è mai arrivato e il fantasma di chi non ci arriverà mai». Anche in questo lavoro si avverte un senso di disperazione e incapacità di accedere a un futuro migliore. Il lavoro evidenzia che stiamo rischiando di vivere in una società che, nonostante il suo ossessivo insistere sulla correttezza politica, non riesce a comprendere il valore di una sana interazione e a immedesimarsi nelle storie reali degli individui che ci circondano. «A volte ciò che tendiamo a dimenticare sono le storie di ciascuno», conclude Jr. «Finché possiamo come artisti condividere delle storie, rendiamo i loro protagonisti più umani e, così facendo puoi capire le loro lotte e diversificare il tuo punto di vista. Il mio lavoro è sempre stato quello di far percepire le persone come essere umani. Quello che Ellis Island racconta è davvero la storia di un migrante che è rimasto bloccato e che aveva dei sogni. Racconta cosa ha dovuto lasciarsi alle spalle e quanto era vicino al suo obiettivo. Questo film è un po’ senza tempo perché parla di cosa significhi migrare. Alla fine del film i volti che vedi sul pavimento sono in realtà quelli degli attuali migranti negli Stati Uniti che sono tecnicamente illegali, i cosiddetti undici milioni, quelli privi di documenti, ma che vivono ancora nel paese e fanno parte della sua economia e della sua vita sociale. È una cosa molto complessa ed è quasi come vivere un’esistenza a metà. Ci sei, sei presente, sei attivo, ma non sei considerato. E questo è davvero il punto: se vogliamo vivere come una comunità non possiamo mettere da parte le persone cercando di sminuirle».

 

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