«Quanto tempo è passato» era la frase che inaspettatamente un bel momento diventava quasi l’unica dimensione dell’esperienza che potevo fare di me stesso e delle cose. A partire da un preciso momento la mia testa aveva iniziato a spararmi questi «Quanto tempo ch’è passato» oppure «Ma guarda quanto tempo ch’è passato» rispetto a quasi tutto quello che le passava dentro. Erano diventati tutti dei «dieci anni fa», dei «vent’anni fa» o addirittura dei «trent’anni fa» di varie cose. Ma quanti anni devi avere per avere già dei «trent’anni fa» riguardo a qualcosa? Ne devi avere almeno trentacinque o quaranta, è ovvio, perché quando uno ha dieci anni, cinque anni son già metà della sua vita, e quando uno ha diciott’anni, sei anni sono un terzo della vita, e io ovviamente non me lo ricordo più che sentimenti potevo avere a diciott’anni, oppure me lo ricordo benissimo ma non so più se lo ricordo bene o se sto reinventando.

Lo sbloccante

I sentimenti sono facili da reinventare trent’anni dopo. Anche se una volta – questo me lo ricordo ancora bene, anche se non so il perché – andavo a piedi verso il semaforo di via Medaglie d’oro, mi è rimasta chiarissima l’immagine, era giugno, saranno state le sei di pomeriggio, e io camminavo scoglionato, causa faccende sentimentali come al solito e stavo per buttar via la sigaretta finita e invece poi avevo usato il mozzicone per accendermene un’altra di seguito perché ero disperato, era uno di quei momenti in cui sei veramente disperato e quindi volevo morire, anche se non era da tanto che fumavo, sarà stato da poco più di un anno, e lì, per l’esattezza, non avevo veramente diciott’anni ma diciannove, e comunque dieci anni sarebbero già stati più di metà della mia vita, ma non c’era ancora verso allora di stare a ragionare sul tempo, ero troppo preso dal presente: presente che scorreva male, era un’epoca che il presente scorreva sempre male, e il presente che scorre male ti inchioda sempre in lui perché non scorre, fa l’effetto disco che salta, fa tac, cioè che va sempre a piripi tac, piripi tac, piripi tac tac, senza mai un piripi parapà perepè taratà che ti faccia tirare un po’ il fiato, che slarghi, invece tutto sta fermo e tu non ne esci più e ci resti dentro per qualche giorno, oppure, se va male, ci resti dentro per dei mesi.

Poi, come per miracolo, c’è sempre qualcosa che ti sblocca, e anche lì si era sbloccato tutto un bel momento. Lo sbloccante era stato la figlia di un’amica di mia madre che era venuta a trovarmi in montagna, sarà stato a fine luglio, con la chiara intenzione di concupirmi (uso qui il lessico specifico di mia madre, che non aveva gradito troppo la cosa e me l’aveva un po’ rinfacciata nei giorni seguenti, io invece avrei detto che questa ragazza era arrivata con la chiara intenzione di scoparmi, anche se con queste parole precise lo direi più adesso che trenta anni fa, allora non so più che nomi della cosa avrei usato, tra l’altro lei era più grande di me di un anno e quindi era molto più esperta, e questo mi facilitava molto le cose perché all’epoca non è che io avessi molta esperienza, anche se a un certo punto facevo affidamento sulla natura che è sempre stata un’immensa sorella, la sorella alla quale arrivati a un certo punto mi sono sempre lasciato andare cercando il suo ritmo per fare una vita un po’ meno di merda).

E il primo concupimento effettivo, quello di natura sessuale pratica tra l’altro non era avvenuto in casa, come mia madre aveva sostenuto, rinfacciandomelo dopo che la ragazza se n’era già andata da qualche giorno, e dove secondo mia madre io e questa ragazza avremmo dovuto scopare in pieno pomeriggio in camera mia con la finestra completamente spalancata e loro tutti seduti sulle panche del battuto, esattamente sotto la mia finestra, a chiacchierare (a tre o quattro metri di distanza in linea d’aria), cosa secondo mia madre avvertita chiaramente anche da mio cugino e da sua moglie, che erano lì in visita per qualche giorno, e dalla zia Maria, tanto che io le avevo detto: «Cara mamma, ma siete tutti diventati matti, siamo stati tutto il pomeriggio ad ascoltare della musica e a chiacchierare, e non so che cosa abbiate potuto sentire, ma secondo me avete avuto le allucinazioni», anche perché la prima scopata ce l’eravamo fatta in realtà nelle piantate di mio nonno, sotto l’oppio (acero campestre), da mezzanotte alle due, e lì in quel momento, nella calma della post-scopata, era poi stata concepita l’idea, su proposta di lei, di andare il giorno dopo io e lei al mare con la sua macchina, verso i lidi ferraresi.

Tempo a volontà

Infatti era un’epoca quella in cui c’era ancora tempo, c’era tanto tempo, c’era del tempo a volontà per tutto e anzi, a voler essere molto precisi, c’era ancora più tempo del tempo che ci voleva: perché durante le sterminate estati di Guzzano, all’epoca, nonostante passasse molta gente per casa, ogni tanto uno finiva dentro una situazione di noia che ti saresti sbattuto giù dalla finestra, perché c’era ancora troppo tempo, le cose che facevi non erano in grado di esaurire la giornata e ne restava ancora. E invece lì, per tornare al dunque: via, tre giorni al mare sulla sua macchina, quindi non solo questa era arrivata in montagna per concupirsi il bambino di mia madre, ma addirittura glielo portava via per due giorni ai lidi ferraresi dove poteva scopazzarselo a suo piacimento, cioè poi nelle parole di mia madre riconcupirselo, perché più o meno queste erano state le parole che mi aveva rinfacciato mia madre, che già non gradiva il concupimento a casa e intorno a casa, ma addirittura il concupimento lontano, a 150 chilometri da casa, verso le spiagge dei lidi ferraresi, soli di notte in posti a nostra esclusiva discrezione, una specie di rapimento; e io cercavo di dire a mia madre che invece a me era piaciuto (avrei dovuto dirle che è una delle cose per me più belle della vita se una viene a prendermi a casa mia perché vuole scopazzarmi) e che ero abbastanza d’accordo di fare questo giro ai lidi ferraresi con questa ragazza, e non mi ero sentito come l’oggetto di un rapimento, e non mi ero sentito neanche l’oggetto di un plagio, tanto più che avevo almeno altri quarantacinque giorni consecutivi da passare a Guzzano con lei (mia madre) per annoiarmi con calma, perché in quegli anni, dai 16 ai 22, tendenzialmente, mentre negli anni precedenti non vedevo l’ora di andare a Guzzano, e sparivo a pesca nei fossi, in giro per l’intera parte luminosa della giornata tra fossi e boschi, invece negli anni che avrebbero seguito io tendenzialmente a Guzzano mi annoiavo, e una che arrivava in montagna con l’intenzione di scoparti mi sembrava la salvezza, e lei la salvatrice, e un grande rimedio alle tristezze del presente per quanto riguardava me, e forse anche alle tristezze del presente suo per quanto riguardava lei, ma di lei non ne sapevo più di tanto; e quindi poi il giorno dopo, sotto gli sguardi furiosi di mia madre, che voleva essere formalmente educata, ma si vedeva che cercava di controllare una sua specie di furia, e non ci riusciva bene, non so più a che ora, eravamo saltati in macchina verso questi lidi ferraresi, cioè verso l’avventura.

Il copione

Tra l’altro mi ricordo ancora, a partire da un certo punto in poi, queste grandi strade alberate in mezzo al vuoto della campagna tutta piatta, queste strade che sembravano quasi dei viali di città, con tutti i platani dai due lati che nel pieno della luce facevano quell’ombra un po’ bucherellata delle foglie, campi con furiosa luce estiva e strade invece come a entrare dentro un cono d’ombra – negli anni seguenti mi è capitato due o tre volte di ricercare quelle strade e non ho mai capito se non sono stato in grado di ritrovarle oppure se, magari per evitare che la gente s’ammazzasse stampandosi sui platani, quei platani li avevano segati, oppure li avevano segati magari perché stavano morendo per qualche malattia – e tra l’altro la sua macchina che ci portava verso il mare era un’erre quattro, che avevano quel cambio strano che stava più in alto, orizzontale e non verticale, e a un certo punto lei mi fa: «Ma perché non guidi tu? Non hai voglia di guidare» che io le avevo detto che non avevo mai guidato delle macchine con quel cambio lì, alla francese, e lei invece aveva detto: «Ma è uguale, è facile. Prova che impari subito» e infatti poi c’eravamo cambiati di posto ed effettivamente io avevo imparato subito a cambiare su sto cambio da erre quattro, ma comunque poi, quando sei in macchina con una donna, sulla sua macchina, va sempre a finire che un bel momento c’è quella recitina che a un certo punto lei ti cede il volante e dopo si mette di fianco e ti guarda guidare, giusto per ruolizzarsi socialmente un po’, ma non dopo sette ore di guida consecutiva, che uno è diventato stanco di guidare, lei invece ti cede il volante dopo un’oretta, e questo ruolizzante (o arruolamento) sociale, che c’è sempre, ma allora erano le prime volte che lo vedevo, io non sono mai riuscito a sopportarlo, perché dentro di me mi viene sempre da pensare: se hai la macchina tu, guidi tu, e invece se ho la macchina io, guido io, e se siamo a mangiare a casa tua, fai da mangiare tu, e se siamo a casa mia, faccio da mangiare io, e così via; e sarebbe stato meglio se uno viveva da sempre nella Repubblica del Teatro dove, quando uno compiva diciott’anni, arrivavano dei signori che ti dicono: «Come anche lei saprà al compimento del diciottesimo anno d’età il Presidente della Repubblica del Teatro sorteggia per ogni cittadino la parte che esso dovrà recitare per tutta la vita. Lei ha già precedentemente seguito tre cicli completi di scuola di Teatro, e ha finalmente completato l’ultimo ciclo, oggi quindi Lei è pronto per recitare la Sua parte. Oggi Lei ha compiuto diciott’anni e il Presidente, personalmente, le ha sorteggiato la Sua parte. La studi bene, la mandi bene a memoria perché da oggi lei deve recitare questo preciso Ugo Cornia che le viene qui consegnato e recitarlo per tutti i restanti giorni della sua vita».

Allora tu ti mettevi a studiare la tua parte per eseguirla e c’era scritto per esempio dai giorni x ai giorni y sarai tristino perché eccetera eccetera, dopodiché andrai in montagna con tua madre e arriverà anche la famiglia di tuo cugino e ci sarà anche la zia Maria. In seguito arriverà la figlia di un’amica di tua madre che avrà voglia di scoparti, tu vacci, e lei ti proporrà di andare al mare insieme ai lidi ferraresi dove vi accoppierete ancora varie volte, di cui, quella che ti piacerà di più sarà in tenda in un parco di Comacchio, unica cosa negativa la presenza di qualche zanzara, eccetera eccetera eccetera, e anche lei avrà ricevuto il suo copione di recitazione della sua vita e quindi saprà che il giorno tal dei tali doveva andare a trovare in montagna il figlio di un’amica di sua madre perché avrebbe avuto voglia di scoparselo e dopo gli avrebbe proposto di andare insieme sulla sua macchina ai lidi ferraresi e eccetera eccetera; e anche mia madre avrebbe avuto il suo copione della sua vita, che però nel caso di mia madre era molto più avanti del nostro ed erano già anni e anni che si studiava la sua parte, e mentre noi eravamo a pagina 20 del nostro copione, mia madre era a pagina 54 del suo copione e lì c’era scritto: verrà una ragazza figlia di una tua amica a concupirti il tuo povero bimbo (che ha già diciannove anni) e tu ti arrabbierai molto che lei te lo concupisca in casa tua e poi addirittura se lo porti per tre giorni a più di cento chilometri di distanza per continuare a concupirselo non in casa tua, e tu ti arrabbierai molto e dopo che lui sarà tornato e lei se ne sarà andata (magari capendo che non era molto gradita la sua presenza) tu vorrai molto far ragionare tuo figlio su sto fatto di essersi fatto concupire così facilmente e quindi o essere stupido o essere facile o essere poco serio, e aver accettato così di buon grado di essere rapito e portato al mare, e eccetera eccetera; e se tu avessi potuto leggere le pagine della tua parte che si rivolgono alla tua vita oltre i quarant’anni ci avresti potuto leggere delle righe che dicono: mettere in dubbio che certe cose debbano sempre essere degli Affari di stato, perché c’è sempre questa tendenza delle cose, magari piccole o private, di diventare Affari di stato, anche se non ce ne sarebbe bisogno; ma nelle pagine che invece avevi letto che riguardavano quei giorni lì, sopra c’era scritto che la cosa doveva esserti piaciuta e che non ti eri sentito rapito e deportato e tra l’altro erano due giorni e non due mesi, e eccetera eccetera.

Viva la libertà

E allora comunque, per chiudere questo pensiero da dove era partito, cioè da queste ruolizzazioni o peggio autoarruolamenti ridicoli, tutto questo, quando te lo guardi addosso in quei secondi in cui stai vivendo ad anima evasa, ti fa ridere; quando l’anima ti guarda giù come un oggetto e questo oggetto lo vede limitato, ma sempre limitato nello stesso modo, dove lei ti fa guidare sulla sua macchina, che ti sembra che ti obblighi a fare il maschio, e lei si mette a far la passeggera e guardarti, come se si obbligasse a fare la femmina, con per di più il fatto che il tutto va anche vissuto nella più grande spontaneità, allora per concludere il pensiero nel copione della mia vita a un certo punto ci sarebbe stato scritto: nel percorso tra Ferrara e i lidi lei ti chiederà di guidare e tu guiderai perché dovrai fare l’uomo che guida e nel copione di lei invece ci sarebbe stato scritto: tra Ferrara e i lidi tu ti stuferai di guidare e convincerai a guidare lui e starai nel seggiolino di fianco a guardarlo guidare facendo la femmina che lo guarda guidare.

Anche se poi una volta che avevo espresso questo pensiero a una mia amica, la mia amica aveva detto che spesso non è che una fa guidare i maschi perché vuol far finta di fare la femmina oca che si siede di fianco e lo guarda e le piace farsi portare, cosa che una volta ogni tanto potrebbe essere anche piacevole perché in fondo tante volte certe cose possono anche risultare piacevoli se le guardi in un certo modo e se capitano un po’ così, per caso; ma secondo lei in genere una fa guidare i maschi per tutt’altre ragioni: perché se no, se stai guidando tu, che stavi guidando tranquilla come ti viene normale di guidare, lui che ti sta di fianco diventa rigido, e inizia a tenersi con la mano alla maniglia, poi ogni due minuti ti dice «cambia, non senti che sforza il motore» ma dopo un attimo ti dice «scala, non senti che il motore sta morendo» oppure ti dice va più forte, oppure ti dice va più piano che non ci corre dietro nessuno, eccetera eccetera, allora una ormai per esperienza dice «ma non vuoi guidare tu?» e ti fa guidare così sta in pace; e forse sarà anche così, ma io per esempio non ho mai detto a una se mi faceva guidare perché lei guidava male, e così via.

E in quel momento poi io ero uno più che altro ammirato dal fatto che una donna fosse andata a trovarlo per scoparselo e portarselo al mare, perché il piano dispiegato completamente era anche di andare a trovare altre persone e a fare il bagno due o tre volte al mare, bagno che ricordo ancora benissimo perché c’era quest’acqua un po’ orrenda, dovevano essere i primi exploit di mucillaggine e altre putrefazioni, con un mare che dove era basso, come a riva, aveva della strana roba un po’ schifosa dentro, e c’erano anche delle specie di piccoli vermini rossi. E poi da questo mare, non mi ricordo più come, eravamo finiti a Comacchio, e a Comacchio ci avevamo anche dormito piantando la tenda in una specie di parco, cioè prima avevamo scopato fino a quando non eravamo cascati nel sonno, poi era già mattina e ci eravamo svegliati, ma in generale, a parte la mia vita, doveva essere tutto molto più libero e meno normato allora per quel che riguarda le micro azioni quotidiane. Fermi la macchina dove ti pare, monti la tenda, ci dormi dentro, eccetera eccetera. Oppure ero io che ero più libero e meno normato dentro allora, non lo so.

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