Il successo politico, secondo Niccolò Machiavelli, ha a che fare con la precaria convergenza tra un carattere e una particolare condizione dei tempi. I cauti vincono quando il loro temperamento si adatta al contesto nel quale operano – e lo stesso succede, all’opposto, agli impetuosi. Ma basta che questo provvidenziale «riscontro» venga meno, perché le stesse azioni che hanno condotto al successo smettano di produrre i medesimi frutti. Tocca adesso a coloro che hanno un carattere contrario. Da cui l’instabilità perenne delle fortune umane.

È possibile che qualcosa di simile valga anche per i classici. I pochi autori che contano davvero sono sempre lì: in attesa che qualcuno apra i loro libri in cerca di una parola di conforto o di un’illuminazione. A volte, però, è come se dal suo remoto passato uno scrittore cominciasse improvvisamente a parlare a una nuova generazione con speciale eloquenza. Rimane un classico, certo. E tuttavia, allo stesso tempo, le sue parole sembrano gettare luce su una particolare contingenza storica come gli altri classici non sanno fare. Per così dire, il classico “si accende” e, nonostante la distanza storica, riprende a suscitare passioni e ripulse alla maniera di un contemporaneo.

È questo oggi specialmente il caso di Machiavelli, come suggerisce anzitutto il gran numero di monografie che da qualche anno vengono pubblicate a getto continuo su di lui (nel 2018 solo quelle in inglese sono state quindici!). L’attualità del Principe e dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio dipende però ancora di più dal modo in cui le loro pagine hanno preso a risuonare con le nostre preoccupazioni. Per usare lo stesso lessico di Machiavelli, da qualche tempo il «riscontro» tra i suoi scritti e il mondo di oggi sembra essersi fatto massimo.

C’erano una volta la «separazione della politica dall’etica» e «il fine» che «giustifica i mezzi» – due formule che in realtà non appartengono a Machiavelli e che gli sono state appiccicate nel fuoco delle passioni ideologiche, la prima nella Francia della Restaurazione e la seconda dagli avversari dei Gesuiti (i quali nel Seicento avevano adottato come massima propria finis sanctificat medias). E – più fondatamente – c’erano una volta l’annuncio profetico dello stato moderno nel progetto antifeudale del Principe, gli insegnamenti sulle tecniche da utilizzare al momento della presa di potere e la riflessione sulla necessità di bilanciare e contenere le diverse magistrature cui si sono ispirati Montesquieu e i padri della costituzione degli Stati Uniti. Il Machiavelli che tutti, prima o poi, hanno incontrato sui banchi di scuola.

Le nuove interpretazioni

Rispetto a queste letture, negli ultimi quindici anni la fisionomia dell’ex segretario fiorentino ha subito un ripensamento complessivo, con il risultato che il Machiavelli che ispira i teorici politici del XXI secolo ha tratti assolutamente inediti. È un Machiavelli preoccupato dallo strapotere dell’oligarchia finanziaria, che a Firenze sfruttava il debito pubblico per arricchirsi con interessi consistentissimi (in un tempo in cui il rendimento agricolo era di circa il 5% annuo e con il rischioso commercio internazionale si otteneva l’8%, i ricchi fiorentini riuscivano a farsi concedere il 14%). È un Machiavelli che identifica la forza degli stati nella loro capacità di trasformare i nuovi venuti e le popolazioni sottomesse in guerra in cittadini – e dunque soldati pronti a sostenere le guerre future (a differenza delle città greche, gelose invece dei privilegi della popolazione originaria e per questo, secondo i Discorsi, destinata a rovinare sotto il peso dei propri stessi successi). È un Machiavelli sensibile agli aspetti economici delle relazioni di potere e deciso a smascherare la finta virtù della liberalità dei principi che tassano l’intero popolo per colmare di regalie i pochi che vengono ammessi al loro “cerchio magico”. È un Machiavelli fiducioso nelle capacità di autogoverno del popolo – quando questo trova le giuste guide nella lotta contro i potenti e si sa dare le istituzioni adeguate ai propri scopi (come a Roma antica i tribuni della plebe). Ed è un Machiavelli che esalta il conflitto quale elemento indispensabile della vita politica, molto prima che liberali e marxisti (o per lo meno alcuni liberali e alcuni marxisti) cominciassero a sostenere qualcosa di simile nel XIX secolo. Mentre infatti per il grande paradigma politico antico (Aristotele) e per il grande paradigma politico moderno (Thomas Hobbes) ordine e conflitto si escludevano a vicenda, i Discorsi hanno teorizzato per primi un ordine conflittuale, dove la concordia perfetta non è possibile ma nemmeno desiderabile, e solo dalla lotta tra le diverse classi (o, come scrive Machiavelli, i diversi «umori») può nascere la libertà di tutti.

Difficilmente potremmo essere più distanti dal Machiavelli della «leggenda nera», consigliere di ogni nequizia e amico dei tiranni, ma anche dal Machiavelli un poco esangue di quanti, nel nome di una comune predilezione repubblicana, lo hanno confuso con autori notoriamente filo-oligarchici quali Cicerone, Leonardo Bruni o Francesco Guicciardini. Il Machiavelli che oggi tiene banco fa infatti di lui niente meno che il pensatore europeo più radicale prima della Rivoluzione francese.

In meraviglioso dissenso

Le nuove letture non si esauriscono tuttavia in questa rilettura del Principe e dei Discorsi in chiave plebea e in generale filo-popolare. Esiste ancora una scuola gramsciana, così come nel mondo anglofono continuano a uscire libri e articoli ispirati al magistero di Leo Strauss e all’interpretazione repubblicana della così detta “Cambridge School” di John G.A. Pocock e di Quentin Skinner – i tre grandi indirizzi che hanno orientato gli studi nella seconda metà del Novecento. E non mancano nemmeno interpretazioni di stampo cattolico (dopo secoli di censura da parte dell’Indice dei libri proibiti).

La moltiplicazione dei filoni di ricerca minaccia, paradossalmente, di rendere più difficili gli scambi, se a prevalere saranno lo specialismo e i linguaggi settoriali. Proprio col proposito di favorire il dialogo tra le tante famiglie del “machiavellismo” contemporaneo, nel 2019 è stata costituita così una International Machiavelli Society sul modello delle associazioni analoghe che già esistono per i maggiori pensatori della tradizione occidentale. E ora, dopo diversi rinvii dovuti all’epidemia di Covid-19, dal 13 al 16 dicembre si riuniranno finalmente a Roma (tra il Campidoglio e l’Università di Roma Tre) oltre 120 studiosi in arrivo da cinque continenti. Un evento senza precedenti anzitutto per le sue dimensioni e per la provenienza geografica degli oratori coinvolti.

Beninteso, i convegnisti non vengono a Roma per mettersi d’accordo su un’interpretazione unitaria di Machiavelli. Le conferenze degli umanisti non funzionano infatti come quelle che all’inizio del secolo scorso, grazie all’impegno dell’industriale belga Ernest Solvay, tennero a battesimo la fisica moderna facendo discutere per giorni le migliori menti dell’epoca sulla teoria della relatività o sul principio di indeterminazione. Tutti i presenti – quelli ai quali basta prendere un autobus e quelli che sfidano nove o dieci fusi orari – condividono però l’idea che valga la pena confrontarsi con gli altri, verificando le proprie ipotesi attraverso la critica e, per così dire, imparando a “dissentire meglio”. Per chi conosce un poco questo campo, appassionato e qualche volta eccessivamente litigioso, non è un obiettivo modesto come potrebbe sembrare. Fino al prossimo «riscontro».


Convegno in Campidoglio

Tra il 13 e il 16 dicembre si terrà in Campidoglio e a Roma Tre il primo convegno della International Machiavelli Society, organizzato da Mario De Caro, Sean Erwin, Ioannis Evrigenis, Gabriele Pedullà e Vickie Sullivan. Tra i 120 oratori da tutto il mondo: Alissa Ardito, Jérémie Barthas, Alessandro Campi, Guido Cappelli, Marta Celati, Cristopher Celenza, Nicola Di Cosmo, Romain Descendre, Francesco Erspamer, Roberto Esposito, Giulio Ferroni, Cristina Figorilli, Jean-Louis Fournel, Judith Frömmer, Carlo Galli, Marco Geuna, Giovanni Giorgini, Andrea Guidi, Gaetano Lettieri, Harvey Mansfield, John McCormick, Vittorio Morfino, Nadia Urbinati, Camila Vergara, Maurizio Viroli, Yves Winter, Jean-Claude Zancarini e Cornel Zwierlein. Tutto il programma.

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