Moltissimi sanno che Raffaella Carrà comincia a divenire l’incarnazione dell’Italia nell’autunno del 1970 quando anziché mettersi la torre sulla testa, mostra in primo piano l’ombelico e canta il Tuca Tuca, la canzone più allusiva che ci sia.

Quella Rai ancora in monopolio e in bianco e nero, tre lustri prima andava in crisi per Abbe Lane che dimenava i fianchi e per la tuta color carne di Alba Arnova. Il sesso innocente era ancora da venire e, per prudenza, ancora nel ’66 le Kessler mostravano le gambe, ma foderate da grossi mutandoni. L’ombelico esposto di Raffaella coglieva evidentemente a modo proprio il mutamento di costume del paese che proprio allora conosceva il ’68, la pillola e il divorzio.

Il mito portabile

Con tutto questo Raffaella non è mai stata icona di seduzione e basta ma, pur istruitissima e in scuole serie artistiche e di base, ha giocato la parte della schietta capace di scambiare una parola con chiunque. Un mito portabile, per così dire, perché non suscitava le brame dei mariti e la rabbia delle mogli, ma li rendeva allegri e privi di pensieri senza mai mostrare di prenderli per scemi.

Raffaella è rimasta per sempre incorniciata in questa funzione di mito nazionale legata a sua volta al fatto di fare la sua parte di tv in un luogo a sua volta istituzionale come la TV di Stato.

La Rai, a dire il vero, quanto a contenuti prese presto all’alba degli ‘80 a rincorrere la tv commerciale appena nata, ma a differenziarla bastava la memoria del passato e la convinzione che le trasgressioni solo se avvenivano nel video del Cavallo erano costume e non trovata scenica di comodo.

Intanto, mentre su Italia 1 Antonio Ricci con Drive IN parlava agli ormoni dei ragazzi, Raffaella inaugurava il premierato video-femminile reggendo il microfono ad ora pranzo davanti a un boccione di fagioli. Chi indovinava il numero vinceva chissà cosa, ma l’importante era che lei duettasse con le voci e le inflessioni che si buttavano a indovinare da ogni parte dell’Italia.

Il gioco era semplice ma non sciocco e Carrà riusciva a donargli un’anima non facendosi vedere la più brava, ma dando a intendere che qualsiasi spettatrice avrebbe fatto meglio al posto suo. Così calamitava l’attenzione grazie all’incontro fra l’istituzionalità del logo e la cordialità del tratto.

Che il segreto di Carrà fosse nascosto proprio in quella specie di simbiosi fu comprovato quando nel 1986 Berlusconi, ansioso di far secca la Rai in poche tappe, le strappò proprio Raffaella e Pippo che del Cavallo erano i fantini. Però entrambi tornarono a casa dopo aver incamerato qualche fiasco come due pesci finiti fuori d’acqua.

In seguito tutti sanno che Raffaella è divenuta parte di Carramba, cioè della tv della “sorpresa per il cuore”, delle lacrime, del romanzone popolare vissuto attraverso quelli che lo vivono.

La seconda Raffaella

Lì si è verificata la seconda nascita di Raffaella a icona e mito nazionale. Anziché tenere il pubblico col repertorio di canzoni e le mosse di balletto, stavolta Raffaella era la donna esperta e curiosa che esortava a non nascondere le trame da fotoromanzo che viviamo, ma a farne carburante per l’ascolto. Questo tipo di tv esplose proprio allora in tutto il mondo, cacciò dai teleschermi film e varietà tradizionali, impose di prendere sul serio drammi e confessioni.

Ovvio che a chi la mette insieme sia richiesta una buona dose di cinismo, correndo costantemente sul ciglio del ridicolo, attentissimi a che nessuna ti colga mentre sotto i baffi te la ridi di te stesso. Sta di fatto che da allora il “sentimento”, l’amore per il dire “vero e autentico” vengono impiegati come armi di intrattenimento universale e da noi, in particolare, la banda di C’è posta per te e roba simile è diventata una super video potenza, che con pugno di ferro in guanto di velluto, piglia per il naso l’audience alquanto fra fattoidi e trovate pesantissime di mano.

Carrà e riuscita a non finire in questo tritacarne e a restare la donna che sa far funzionare qualsiasi macchina di gioco, ma senza diventarne una rotella senza senso.

La terza Raffaella

Nell’ultimo decennio abbiamo notato la Carrà invitata a conversare nei talk show. E anche in questo caso ci è sembrato che riuscisse a dare un tono, corriva quel tanto che serviva, ma mai fino al punto di finire fra le damazze perenni dello schermo.

Dal percorso che ha condotto Raffaella Carrà a finire nel Pantheon del Paese s’impara in sostanza che il Mito resiste se s’accompagna alla Misura; se pattina sul luogo comune, ma in modo da non escludere che il mondo dei costumi e delle idee sia un luogo provvisorio dove è bravo chi sa accogliere chiunque.

Questo diremmo dunque di Raffaella: è stato un mito nazionale perché, miracolo in quel mondo, era in pace con se stessa e dava del tu ad ogni cosa della vita in video. Questo era, alle strette, il suo specifico talento.

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