La musicista ha ridato voce alle tre artiste sudamericane in un libro e uno spettacolo. «Il canto popular è sempre stato contro il potere. È memoria viva, è lotta presente»
Revolucionaria è una storia di ieri, che come il canto popular si trasforma e rivive nell’oggi. È un canto collettivo e ha valore solo in questa dimensione, nel passaggio, «perché da soli non si vince. Non c’è gioco». Così descrive la musica popolare Lavinia Mancusi, cantante e musicista, che ha raccontato in un libro e in uno spettacolo le storie di Violeta Parra, Mercedes Sosa e Chavela Vargas.
Il 25 aprile lo riporterà in scena a Roma, a Santa Libbirata. Tre artiste che hanno lottato contro il potere politico e culturale con la propria voce, il proprio corpo e la propria chitarra. Lo hanno fatto partendo dal fango, ma creando e attraversando spazi di controcultura. «Mentre scrivevo il libro», racconta Mancusi, «mi sono resa conto che la cultura popolare non è mai stata adottata in chiave nazionalista. Perché è sempre stata contro il potere».
Perché Revolucionaria?
È il nome che più si addiceva all’immagine che volevo raccontare nello spettacolo e nel libro, quella di una bambina. Racconta di tre bambine che hanno avuto il coraggio della fantasia. Venivano da una condizione di margine, sociale ed economica, e nonostante questo con il solo potere della fantasia e della chitarra hanno affrontato il mondo sconosciuto. Non sapevano che sarebbero state rivoluzionarie, ma questo non ha impedito loro di agire da rivoluzionarie.
Il 25 aprile è anche memoria. In che modo la musica popular restituisce memoria collettiva?
Il folk, il canto popular, è tante cose: è memoria viva, è lotta presente. Ciò che più mi premeva raccontare è l’assenza di solitudine e la dimensione della relazione, in questo esercizio della memoria. Perché la musica popolare non è mai solitudine, è una condizione che si rinnova sempre, è trasformazione, i corpi sono nuovi, le voci sono nuove. E la radice comune è quella della libertà dell’essere umano. Durante la pandemia, come molte e molti, vivevo un momento di incredibile solitudine. Mi mancava la libertà di lavorare, di uscire, ma soprattutto il rapporto con l’altro, l’abbraccio. Ho avuto bisogno di una storia che mi parlasse di trasformazione, che mi fornisse immagini da sognare. Avevo bisogno di qualcosa da sognare.
Cosa comunicano queste tre artiste, vissute a migliaia di chilometri, a noi oggi?
Un elemento molto importante è che queste tre donne straordinarie hanno vite con capitoli meschini. Hanno affrontato depressioni profondissime, dipendenze, Violeta Parra si è suicidata, Mercedes Sosa ha vissuto una fase di alcolismo profondo, Chavela Vargas è sparita per 12 anni in preda a un alcolismo feroce. Hanno vissuto le loro fragilità. Ogni tanto ci spezziamo, ma non vuol dire che non si possa poi ricominciare a fiorire. E loro hanno avuto il coraggio delle proprie fragilità, che non toglie valore alla loro missione. Poi, c’è la questione della sorellanza. Mercedes Sosa e Chavela Vargas sapevano perfettamente dell’esistenza di Violeta Parra ed è stata faro per la loro lotta, e non hanno cercato di snaturarla. Il terzo lascito, di tutta la cultura popolare, è l’intergenerazionalità della lotta: se è vero, come cantava Guccini che «gli eroi sono tutti giovani e belli», è anche vero che devo ascoltare il canto delle mie antenate per cantare di nuovo. E, infine, sono state pioniere di quello che oggi chiamiamo femminismo intersezionale.
In che modo?
Da cantoras populares hanno deciso di dar voce a chi questa voce non la poteva esprimere. Era, ed è ancora, un contesto incredibilmente feroce: la condizione delle indigene e degli indigeni del sud America. Hanno deciso di battersi con la voce e la chitarra mettendo il proprio corpo in prima linea. Quello intersezionale, nel senso di liberazione di tutte le realtà marginalizzate, non è un movimento verticale di sostituzione della piramide, ma orizzontale: non ci si vuole sostituire a un potere, ma si vuole cambiare il punto di vista. Ed era incredibilmente coraggioso negli anni Cinquanta.
Nel libro, Mercedes Sosa si racconta: «Non canto canzoni di protesta per appartenere a uno schieramento. Non sono una manifestante, sono un’artista pensante». Sosa ha vissuto la dittatura di Videla e le è stato vietato di cantare. Cosa significa non poter più cantare?
Stiamo vivendo anche oggi questa cosa, no? Con i dovuti distinguo. Ho usato i testi delle loro canzoni come trama del racconto e proprio Mercedes Sosa dice: «E se tace il cantore tace la vita / perché la vita stessa è tutta un canto [...] Se tace il cantore / muore la rosa. / A che serve la rosa senza il canto?». Ecco, penso sia questo il vissuto dell’artista che decide di farsi portavoce di una memoria collettiva. È percepito come incredibilmente pericoloso dal potere. Potrebbe sembrare innocua, evidentemente non lo è. Anche nel periodo che stiamo vivendo, ci fa riflettere sull’importanza di essere presenti con la propria identità di artisti, con l’essere schierati.
Violeta Parra è stata essenziale per il dissotterramento del folklore cileno. In che modo riscoprire la terra porta a un cambiamento?
In Italia abbiamo una grandissima tradizione di etnomusicologia, ma era un punto di vista borghese. Violeta Parra era invece parte di quegli ultimi, è stata la capostipite della ricerca etnomusicologica mondiale. Lei dice questa cosa bellissima: «Quello che cantavo mi trasformava. Lo sentivo uscire dal mio utero». E l’ha trasformata anche fisicamente. Aveva un linguaggio rivoluzionario, il suo corpo di donna come trasformativo.
Vargas nel libro dice che il suo «canto è sempre dedicato a tutte le donne». È forse l’artista che parla meno di politica, ma è il suo corpo a essere politico.
La scelta di andare a vivere nel Messico uscito dalla rivoluzione significava schierarsi. Anche se la rivoluzione era manchevole perché un contesto maschilista. Lei era lesbica e non poteva dichiararlo. Gliene hanno dette di tutti i colori e lei rispondeva cantando. E il suo canto era il grido disperato di una bambina che era stata abbandonata, la cui identità sessuale era molto chiara fin dall’inizio e per questo cacciata dalla sua terra. La sua lotta è politica perché il suo corpo è stato politico. Il grande insegnamento che mi hanno lasciato è il coraggio di entrare in contraddizione, di cambiare e trasformarsi.
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