Richard Benson appoggia la sua chitarra e smette di suonare, incapace di gestire le reazioni del pubblico. Ester, moglie del musicista e sua assistente sul palco, interviene: si rivolge ai presenti, dice che così non si può continuare, mentre dalla sala continua un fitto lancio di oggetti, verdure, vasetti pieni di yogurt, sugo di pomodoro. Benson si alza con fatica dalla sedia, si appoggia al bastone che lo sorregge mentre Ester lo tiene sotto braccio. Il corpo è appesantito nel look abituale, pantaloni di pelle aderenti senza maglietta. A passi lentissimi, la schiena curva, piegata in avanti, raggiunge le tende nere che si aprono sul backstage. Il lancio continua, mentre lui si rifugia con fatica dietro il palco. Le urla e le risate sguaiate continuano, c'è chi lo acclama e chi al contempo lo insulta.

È una scena grottesca, quella che nel documentario a lui dedicato colpisce di più. Si è ripetuta spesso negli anni dei suoi concerti più recenti nei locali underground soprattutto a Roma. Richard Benson, il «chitarrista più veloce del mondo», personaggio televisivo ed espertissimo critico musicale, che suona in concerti paradossalmente affollatissimi, pieni di sedicenti fan pronti a deriderlo e a riempirlo di rifiuti, possibilmente organici. È questa l'immagine che in molti ricordano di lui: un artista sbeffeggiato ai suoi stessi concerti, un proto-meme, con le sue invettive e le sue urla dal palco, fissate per sempre dai social media nascenti.

Chi era

Ma chi era davvero il musicista nato in Inghilterra e adottato da Roma? Un genio o un mitomane? Chi conosce veramente una carriera musicale e televisiva che si è svolta per più di cinquant'anni? Benson: la vita è il nemico, il film documentario diretto dal regista romano Maurizio Scarcella (prodotto da SarastroFilm) vuole esplorare il lato più intimo e umano della vicenda di Benson, offrendone un ritratto che indaga sulla fragilità con cui, prima o poi, si confronta il lavoro di ogni artista.

Un'opera prodotta dal basso, girata in sette anni entrando in punta di piedi nella quotidianità del musicista e della compagna di vita e artistica Ester Esposito. Un film che, grazie a una distribuzione «militante» (seguita da Piano B), è stato proiettato nelle sale di diverse città italiane, spesso all'interno di programmazioni off e in tarda serata, e nonostante questo sold out quasi dappertutto. Lo scorso 10 maggio il documentario è stato trasmesso in contemporanea in una ventina di cinema dalla Lombardia alla Sicilia ed è appena stata annunciata la pubblicazione, in edizione limitatissima, della videocassetta del film.

Aleggia un'aria di mistero rispetto a molte delle cose che Richard Benson raccontava della sua carriera: le collaborazioni internazionali, i tour interminabili negli Stati Uniti e in Giappone, le decine e decine di chitarre che gli sponsor gli donavano, sono tutti aspetti comparsi più volte negli aneddoti riportati da Benson nei suoi programmi televisivi o nelle interviste, anche se molte esagerazioni appaiono più che evidenti. Quello che è certo è che il chitarrista, molto dotato, già da giovanissimo comincia a suonare in una band prog rock, i Buon vecchio Charlie, e da qui cominciano le collaborazioni con i molti musicisti della scena rock e jazz romana.

Quasi contemporaneamente, Benson, ancora minorenne, dà avvio alla sua opera di scoperta e di divulgazione di musica nuova, partecipando al programma radiofonico Per voi giovani (insieme a Renzo Arbore e a Mario Luzzato Fegiz) e poi cominciando a scrivere per la rivista cult Ciao 2001. Ma la vera rivelazione sarà la tv: una rete locale gli affida un programma musicale, Ottava nota, che diventerà uno spazio di espressione totale e che contribuirà enormemente a dare forma a quel personaggio estremo e bizzarro, permettendogli di costruirsi un pubblico fedele, diventando un'icona della cultura underground romana. Richard Benson che parla di dischi, suona i suoi assoli di chitarra, si infervora raccontando il lavoro dei musicisti dietro ogni album rock, metal, progressive.

«Io seguo Richard fin dai tempi di Per voi giovani alla radio, avevo 10 anni e Richard ne aveva 16 o 17 all'epoca», racconta Ester Esposito, raggiunta da Domani. «Ho seguito Richard per tutta la vita». I due si incontrano infatti quando Ester ha 35 anni e Richard 42: lui cerca una cantante per completare la sua band ed Ester, che viene da una famiglia di musicisti originaria di Napoli, è la persona giusta. Da quel momento comincia una lunga relazione, affettiva e artistica, che durerà fino alla morte di Benson nel 2022. «C'erano molte persone che lo criticavano, e lui di sicuro è rimasto un po' vittima del suo personaggio», riflette, «ma i ragazzi lo capivano, lo seguivano con grande amore».

La scena romana

Ed è così che Benson è diventato una figura imprescindibile dell'immaginario della città. Carlo Verdone lo vorrà nel film Maledetto il giorno in cui ti ho incontrato, mentre conduttori televisivi come Max Giusti (presente nel documentario), Chiambretti, più recentemente Lundini gli hanno dato spazio nei loro programmi televisivi, facendolo diventare una celebrità nazionalpopolare, un po' crudele versione romana di Simon Cowell, un po' inquietante figuro dal look cyberpunk, perfetto capo di una gang del film Warriors. Tra gli ospiti del documentario ci sono alcuni musicisti con cui Benson ha collaborato, tra cui il batterista John Macaluso e Federico Zampaglione, produttore del suo disco L'inferno dei vivi.

«Io lo seguivo nelle trasmissioni, mi sono sempre considerato un suo fan», racconta il regista Maurizio Scarcella. «Lui aveva una forte consapevolezza di quello che gli stava accadendo intorno, anche se poi a volte le cose prendevano una piega difficile da gestire per lui. Ha interpretato un personaggio, certo, ma era un'anima nobile condotta da lucida follia, che ha sempre cercato nell'arco di una carriera lunghissima di trovare una chiave sempre diversa per parlare con il suo pubblico».

Negli ultimi anni, Benson riappare in televisione e sui giornali, confessa le difficili condizioni di salute, la situazione di indigenza. Si espone ancora una volta, trovando un enorme e inaspettato affetto. I ragazzi delle band vanno a trovarlo a casa, lo aiutano a fare la spesa, non smettono di invitarlo ai concerti. Le riprese si interrompono a lungo per il ricovero di Benson, «e quando poi Richard è morto ci siamo resi conto che per l'ennesima volta doveva mutare anche il progetto», ricorda Scarcella. Al suo funerale, c'è una comunità che si ritrova, che gli rende omaggio a modo proprio. Il documentario continua ad essere invitato nei cinema di ogni angolo d'Italia, è appena uscito «24 back to 84», il disco postumo suonato dalla Richard Benson Orchestra. Le urla di Richard Benson continueranno a risuonare, questo è certo. E il suo monito resterà: ora e sempre, ti devi spaventare.

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