Riccardo Muti ha contestato al premier Giuseppe Conte la «decisione grave» di chiudere sale da concerto e teatri. «L’impoverimento della mente e dello spirito nuoce anche alla salute del corpo», argomenta il direttore d’orchestra, «definire, come ho ascoltato da alcuni rappresentanti del governo, come “superflua” l’attività teatrale e musicale è espressione di ignoranza, incultura e mancanza di sensibilità». In astratto Muti dice una cosa sacrosanta. In concreto il riferimento a ignoranza e incultura sembra appropriato. Ma il maestro non appare sincronizzato con la “realtà effettuale delle cose”. Non solo è troppo tardi, ma le sue parole ci segnalano che la cultura mercatista ha penetrato anche i migliori neuroni e li ha convinti che superfluo sia sinonimo di inutile.

La cultura è superflua per definizione. Anche questo giornale lo è, così nessuno si offende. Non è un insulto, per noi umani solo quattro cose non sono superflue. Ciascuno di noi è un ammasso di cellule animato dai processi biochimici che chiamiamo vita. Quando i metabolismi si fermano, la persona si trasforma in un cadavere impossibilitato a dirigere un’orchestra o ad ascoltarla. Due cose ci consentono di vivere, in ordine di importanza l’acqua e il cibo. Due cose ci consentono di vivere meglio e più a lungo, il riscaldamento e la medicina. Tutto il resto, il superfluo, è l’impiego del tempo lasciato libero dalla ricerca del cibo. Gli animali in genere lo spendono sdraiati, mentre l’uomo tende a combattere la noia. Nel primo verso delle Bucoliche, Titiro, non potendo ascoltare Muti, suona il flauto. I nostri antenati, in mancanza dei social, postavano la storia della loro vita sulle pareti della grotta. La nostra identità è definita dal superfluo degli avi. Le piramidi, il Colosseo, la tragedia greca, le cattedrali medievali, le sculture di Michelangelo, le sinfonie di Beethoven, i romanzi di Balzac: è il superfluo che ci ha fatto diventare, con qualche eccezione, migliori.

La religione liberista

Però Muti non lavora alla corte di un faraone o di un papa, e il superfluo non è più quello di un tempo. Quando la rivoluzione industriale ha moltiplicato la produzione dell’essenziale e quindi del surplus di ricchezza, la società occidentale ha inventato un superfluo più moderno e lungimirante dell’arte riservata ai ricchi, quale rimane per esempio la prima della Scala. I nostri bisnonni hanno impiegato il surplus per creare dal nulla la scuola, le pensioni, gli ospedali e la ricerca scientifica. E solo dopo per finanziare i teatri, la musica, i musei, le arti figurative e persino l’informazione. Cose talmente preziose per lo sviluppo della società che persone assennate come Muti hanno cominciato, giustamente, a considerarle essenziali.

Ma una trentina d’anni fa la religione liberista ha cominciato a sostenere che solo ciò che sta sul mercato ha diritto di esistere. La predica ha avuto successo: sono arrivati i tagli alla scuola, alle pensioni, alla sanità, alla ricerca, alla cultura, tutte cose che giovano al Pil ma dopo, non subito, e il liberista-tipo questa sfumatura non la capisce, come non l’ha capita nessun partito. Si sono trovati tutti d’accordo sull’imperativo di tagliare la spesa pubblica e le tasse, cioè il ramo su cui sedeva il capitalismo moderno, dicendo che così saremmo diventati più competitivi.

Così artisti e intellettuali hanno interiorizzato l’idea mercatista che superfluo e inutile sono sinonimi e quindi, inutile per inutile, vince chi vende: meglio il cinepanettone del film d’autore, meglio Baglioni di Muti, meglio un comico televisivo di Shakespeare, meglio l’Università privata e costosa di quella pubblica gratuita. Avrebbero dovuto svegliarsi prima. Quando fu imposto il dogma che, superfluo per superfluo, il progresso fosse risparmiare cento euro di tasse per la sanità e la scuola e comprarci un maglione in più o un biglietto della Scala, gli artisti hanno applaudito, preoccupati solo che non fossero toccate le loro sovvenzioni.

Il “superfluo essenziale” non l’ha bloccato Conte domenica scorsa. L’avevamo già ammazzato noi italiani, tutti insieme. Mancano medici e letti ospedalieri (erano superflui, pare), siamo il paese con meno internet in Europa per cui scuola e università sono in tilt (superflue anche loro) ed erano superflui anche i trasporti pubblici: se li avessero fatti funzionare non avremmo comprato scooter, automobili e benzina. Non hanno chiuso i teatri perché superflui, ma perché è l’ultima cosa superflua rimasta da chiudere. La scuola e la sanità le avevano già orgogliosamente ammazzate destra, sinistra e centro. Quando gli “artisti d’area” applaudivano.

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