Tra fiction e autofiction, come sarà il nuovo romanzo

Le storie inventate mi annoiano a morte ultimamente; ogni volta che qualcuno mette in relazione la crisi della lettura, del libro, della narrativa letteraria alla mancanza di storie inventate, di “romanzo puro”, penso che abbia torto. Poi però con delicatezza, come si fa coi pazzi, mi mettono davanti ai dati di vendita, a tutte quelle storie di fascismo, di scrittrici giovani che recuperano i diari delle bisnonne, dopoguerra, fame, biancoenero, e mi dicono ecco, guarda la realtà, ecco la gente cosa vuole, la gente che legge vuole leggere queste storie. La trama, i personaggi, la bicicletta partigiana, i soldati, i tedeschi. Non dubito che abbiano ragione, ma in realtà dentro di me dubito eccome. Il problema non è tanto l’invenzione o la mancanza di invenzione. Il problema è la relazione con la realtà. I libri hanno perso l’ambizione di mostrare qualcosa di inedito della realtà dell’esperienza umana, si rifugiano in ambientazioni trite, trame disoneste: invece di indagare i nostri stati d’animo, spesso vogliono cambiarli (ti senti male? Leggi un feel-good). Nei libri letterari, invece, che è vero sono prevalentemente di autofiction, la realtà a volte sembra un fardello, una sofferenza da cui non si riesce a prendere il volo per arrivare ai cieli del godimento della lettura. Assegnare le letture estive oltre i soliti grandi classici I lettori Chi legge, oggi? La maggior parte della gente che conosco, anche gente brillante, con cui si può parlare, che ha potere di acquisto sufficiente per comprare i libri, non legge. Cioè legge pochissimo, un paio di libri all’anno. Queste lettrici – uso il femminile, tanto mi sembra sia appurato che gli uomini non leggono più narrativa – comprano Miranda July e Chiara Barzini, e poi mi scrivono avevi proprio ragione, che bei libri. Che poi non è pochissimo, due libri all’anno, ma non è questo lo zoccolo duro che fa arrivare un libro in classifica. Chi è quello zoccolo duro? Sono le ragazze del booktok che leggono i romance, sono le insegnanti di italiano? Sono quelle che frequentano regolarmente le librerie di paese – con i librai che dicono eh, Joel Dicker quest’anno ha deluso? Alcune di queste lettrici fortissime le conosco, sono quasi compulsive. Generalmente questa passione per la lettura non ha una correlazione diretta né con il grado di istruzione né con una vocazione intellettuale. Semplicemente a queste persone piace molto leggere, e la lettura non le rende persone migliori o elevate né – va detto – particolarmente brillanti. Questa passione per la lettura non corrisponde quasi mai a un interesse per la realtà, a uno stare nel mondo, che invece ritrovo nelle amiche che leggono un paio di libri all’anno. La lettura non è più un’attività che chi si interessa di presente pensa di dover coltivare, cioè: nessun libro riesce a entrare nella selezione di prodotti culturali di cui sentiamo parlare, che “bisogna” conoscere per stare al passo con i tempi. Il libro non ha la rilevanza, l’urgenza che hanno altri prodotti culturali. Questi prodotti culturali di cui “tutti parlano” sono perlopiù serie tv, a volte film, a volte perfino podcast. Ma non sono più libri – in Italia. Negli Stati Uniti A quattro zampe di Miranda July è stato proprio uno di quei fenomeni. Recensioni, aforismi e meme: il pubblico del nuovo Scrittore I libri che vendono Quando diciamo che i lettori sono stufi dell’autofiction e vogliono le storie, ci riferiamo a un gruppo di persone sempre più piccolo che né la scuola, né il mercato (le case editrici) né le istituzioni (le biblioteche) sono riuscite a coltivare e ampliare. E allora, sono completamente a favore della letteratura come risposta a un bisogno sociale, ma se il bisogno è un bisogno di romance dobbiamo davvero dare dignità letteraria a prodotti che sono paraletterari e cioè non hanno autorialità né originalità? No. Torniamo in noi. Per i romance è facile dirlo, ma anche tutte quelle storie di italianità agricola con la pummarola in coppa e la ragazza maltrattata ma anche tanto forte e un po’ magica secondo me le possiamo accantonare per quello che sono, e cioè paraletteratura, non solo derivativa ma imitativa della fortunata quadrilogia dell’Amica Geniale. E che era un capolavoro. Non possiamo sperare che dal romance o dal fascismo edificante nasca la narrativa letteraria, e cioè qualcosa che abbia ambizioni più grandi rispetto a vincere al gioco del mercato e impacchettare un prodotto che venda, in un mercato però sempre più piccolo. C’erano una volta i romanzi, ora qui è tutta autofiction Il romanzo letterario La narrativa letteraria oggi è quasi tutta autofiction perché il romanzo come si intende tradizionalmente, con tutti i fili della narrazione che si chiudono, l’eroe che intraprende un viaggio e cambia, i personaggi che sono nemici o aiutanti, il romanzo inteso come ordine, e quindi sempre in qualche modo come onniscienza, semplicemente non è una forma contemporanea, non è una forma rilevante oggi. Il discorso che si dovrebbe fare non è: mancano storie inventate, mancano i personaggi, ma: manca la connessione con la realtà, mancano libri che spiegano il reale, che spieghino “il mistero delle relazioni interpersonali”, o qualche altro mistero della nostra vita, che offrano una rappresentazione di quel mistero, e cioè mancano precisamente i libri letterari. Un autore che si metta a scrivere con questa prospettiva, di risolvere un mistero, come scrive Daniela Droescher, autrice di Bugie su mia madre (L’Orma): «Scrivo per capire le cose che mi succedono», per forza atterra su una forma che non è romanzo. Anche i libri che poi atterrano lontanissimi dalle vicende del proprio autore partono dal vissuto e dal reale, come per esempio Marzahn, Mon Amour (L’Orma) della tedesca Katja Oskamp, che racconta le vite di una serie di suoi clienti di un salone di pedicure nel quartiere berlinese di Marzahn (100.000 copie in Germania, letto per intero dalla Bbc). L’autrice americana Elif Batuman, autrice dei romanzi L’Idiota e Aut Aut (Einaudi) e giornalista del New Yorker, su Substack ha scritto: «Mi è stato spesso chiesto dell’“autofiction”, del “trasformare la mia vita in finzione”, ma io non lo vedo come un “trasformare la mia vita in finzione”. Lo vedo piuttosto come una riluttanza, o un’incapacità, a fare affermazioni sugli stati mentali altrui. Non che non potrei farlo; ma PERCHÉ dovrei farlo — perché dovrei SENTIRMI OBBLIGATA a farlo (…)? Perché non descrivere invece stati mentali che ho effettivamente vissuto, in contesti simili a quelli che li hanno effettivamente suscitati — piuttosto che cercare di astrarre verso qualche altra situazione che non conosco? Se il mio obiettivo è capire meglio il mistero delle relazioni interpersonali, e/o offrire una rappresentazione di quel mistero da cui altri possano partire… perché dovrei rischiare di usare stati mentali sbagliati?» Naturalmente Tolstoj e Flaubert e i classici riescono a parlare del presente e dell’universalità e di noi oggi attraverso storie inventate, ma appunto: il romanzo era la forma migliore per loro per parlare di universalità, ma non sembra la forma migliore oggi, a meno che non vogliamo davvero prenderci tutti in giro e dirci che Il giorno dell’ape è il grande ritorno del romanzo che spiega le nostre vite. Non solo trivial: il romanzo sta prendendo la rincorsa? Il nuovo romanzo E la difficoltà in cui ci troviamo ora è anche che è difficile immaginare il libro narrativo dopo il romanzo, o meglio immaginare il nuovo romanzo. Ne ho parlato tempo fa proprio con Elif Batuman: se il significato dell’esperienza è stato proprio nella ripetizione (esempio: dinamiche di relazione simili con uomini diversi) perché stilizzarla nella linearità del romanzo, e non riportare la ricorsività dell’esperienza? Come costruire un romanzo in cui si incontrano persone che poi non avranno un ruolo di personaggi, e in cui la “situazione iniziale” non è poi così diversa da quella finale? Quest’anno al premio Strega sia il libro di Bajani sia quello di Terranova sono autofiction, con un personaggio alter ego dell’autore/trice che dice io. Sono ottimi libri. Non capisco il coro greco di correzione, quel tono sminuente, quel rimpianto della fiction, questo dannato lutto eterno per la morte del romanzo.