La potenza è nulla senza controllo – Power is nothing without control. Chi non è più molto giovane ricorderà questo slogan in uno degli scatti più riusciti nella storia delle immagini pubblicitarie. Nella foto i muscoli del figlio del vento, Carl Lewis, lunghi e definiti, pronti ad esplodere dai blocchi di partenza, brillano avvolti nella pelle nera, sottile. A evidenziarne la bellezza, oltre alla posizione plastica, un azzardato contrasto, non solo cromatico, concepito da Annie Leibovitz, fotografa ritrattista, geniale giocoliera di simbolismi: l’idea è sostituire i blocchi con scarpe di vernice rossa con tacco a spillo e dipingere un’immagine forte, anzi potente per l’apparente contraddizione, come il motto a cui fa riferimento.

Il progetto si muove su un terreno scivoloso ma saperlo gestire fa parte del messaggio. King Carl ha al collo dieci medaglie olimpiche (di cui 9 d’oro) e innumerevoli allori mondiali e record, collezionati in tre discipline individuali (100m, 200m e salto in lungo) e la staffetta 4x100. È celebre: un’autentica leggenda con relativi onori e oneri. Perciò tituba, teme le critiche. Lei ha buoni argomenti per convincerlo e ci riesce. Niente più dei suoi risultati può rappresentare meglio la capacità di esprimere la forza del talento in maniera disciplinata e regolare. Nessuno più efficacemente di lui, con la perfezione classica del suo corpo famoso, avrebbe potuto incarnare in modo più esplicito (semplicemente indossando un accessorio) il concetto di gender fluid come materia difficile e sdrucciolevole su cui avere il controllo.

Nemmeno lui sarebbe stato il figlio del vento, se avesse dovuto gareggiare zavorrato dal peso di stereotipi, pregiudizi e inopportunità ben rappresentato da quelle scarpe sessiste. Ne nasce un esempio di successo comunicazionale senza precedenti e con molteplici chiavi di lettura. Oggi, una di queste riaffiora alla memoria e ci ricorda il concetto di controllo inteso come abilità atletica.

Il senso del salto in lungo

Il salto in lungo è una disciplina che affonda le radici nei Giochi dell’antica Grecia e così, nella forma in cui la conosciamo oggi, è parte del programma olimpico fin dalla prima edizione del lontano 1896. È una specialità essenziale e perciò estremamente complessa. Non ha bisogno di niente: è un corpo che salta lontano sfidando la gravità attraverso un esercizio di sintesi sinergica delle qualità motorie dell’essere umano: velocità, forza, elasticità, coordinazione e precisione.

Non ha bisogno di niente se non di riferimenti per misurare la prestazione e confrontarla tra concorrenti. Il passaggio dalla rincorsa alla fase di volo avviene facendo l’ultimo appoggio sui 20 centimetri della pedana di stacco delimitati da una striscia di plastilina, toccando la quale la prova viene dichiarata nulla. La federazione internazionale di atletica leggera (ora World Athletics) grazie alle innovazioni tecnologiche e a speciali sensori, propone di trasformare la pedana in una zona più estesa (take-off zone) e iniziare la misurazione del salto dal punto esatto in cui il piede imprime l’ultimo appoggio.

Dunque nessun salto sprecato, nessuna controversia coi giudici per nulli millimetrici, nessuna prestazione penalizzata dai centimetri lasciati prima del limite della striscia di plastilina: solo misurazioni effettive dallo stacco all’atterraggio. Se l’obbiettivo è dare maggiore enfasi agonistica alla specialità, a Carl Lewis la proposta non sembra pertinente, tutt’altro e afferma: «La precisione è una delle principali abilità del saltatore in lungo. Allungare la pedana di stacco sarebbe come allargare il canestro nel basket». L’esempio non fa una piega. Impossibile dare torto a chi usa parole vissute e convertite in fatti, anzi in successi, dimostrando che anche la prodigiosa velocità da figlio del vento può essere trasformata in salti poderosi colpendo l’asse di battuta con precisione millimetrica.

Difficile contraddirlo trovando argomenti più convincenti dei suoi quattro ori olimpici consecutivi proprio nella disciplina di cui si vorrebbe cambiare le regole. Non è comunque da solo: molti altri atleti hanno sostenuto la critica negativa. Il disappunto non è da ricercare nella refrattarietà ai cambiamenti quanto nel processo di banalizzazione della prestazione sportiva. Il rischio del salto nullo è parte integrante del fascino della specialità, la regolarità e la precisione sono abilità imprescindibili dei suoi interpreti. In molti altri sport si è assistito nel tempo a uno stravolgimento di discipline classiche in nome di una semplificazione necessaria. Ma necessaria a cosa?

La suspense non è noia

La proposta della World Athletics esce con una “apparente” seconda motivazione. Nuovi sistemi tecnologicamente sofisticati permetterebbero una condizione straordinaria: misurare il salto in tempo reale. Nel momento stesso in cui l’atleta lascia la sua impronta nella sabbia, i metri e centimetri della performance sarebbero già a disposizione del pubblico. I 20-30 secondi oggi necessari per la lettura verrebbero eliminati. La suspense agonistica che tante volte ha fatto trattenere il fiato prima di conoscere il verdetto che avrebbe stravolto o confermato le classifiche, l’attesa che ci ha fatto conoscere emozioni e reazioni, speranze e delusioni, che ha riempito di umanità il puro gesto atletico, è diventata una noia mortale da eliminare.

Ecco che allora tutto è più chiaro: la proposta di una “take-off zone” è in realtà una maschera per un “onlife-button”. Vivere in tempo reale ovvero essere sempre connessi, interagendo con il mondo attraverso strumenti digitali che ci estendono nel tempo e nello spazio, è la condizione esistenziale che il filosofo Luciano Floridi chiama onlife, una fusione tra online e offline colata nella quotidianità. È vivere e condividere allo stesso tempo. Essere qui e anche là, essere soli e insieme, fermi e in movimento. Abituati a vivere due vite nello stesso istante aspettare, anche se solo per 30 secondi, è un’attività antica che non piace più. L’attesa come momento di interiorizzazione, cura, valorizzazione soccombe all’accelerazione che la società occidentale ha impresso allo stile di vita.

Nell’agonismo (già per sua natura un po’ spietato, poiché sintetizza in un risultato il lavoro di mesi, anni, talvolta di una carriera) sarà sempre più innaturale e alienante isolare ulteriormente la prestazione dall’elaborazione dei sentimenti che la abitano: sarebbe come equiparare la performance ad una merce da catena di montaggio. E per il pubblico che ne gode sarebbe uno dei tanti input consumati senza un prima e senza un poi, fra i tanti che riempiono la quotidianità a due vite.

La proposta della World Athletics non la vedremo applicata alle prossime Olimpiadi di Parigi. Verrà testata per almeno due anni. La tecnologia è un meraviglioso strumento (quando funziona) ma affidarle completamente qualcosa di prezioso è un grande azzardo. La specializzazione straordinaria, capace di risultati strabilianti, ci trasforma in esseri sempre più tecnologicamente assistiti e dipendenti da chi assiste la tecnologia. La rapidità con cui ci risolve i problemi è una grande risorsa, purché si aggiunga e non sostituisca la capacità con cui sapremmo affrontarli in autonomia. È bellissimo lasciarci trascinare dalla velocità delle sue innumerevoli risorse anche se impone un ritmo di cui tanti, troppi non riescono o non vogliono tenere il passo, perché come ci insegna King Carl, la potenza senza controllo è nulla. 

© Riproduzione riservata