Non è la prima volta che si ripete il dilemma: è giusto portare una canzone in napoletano a Sanremo, che è il festival della canzone italiana? In altri termini: il napoletano è un dialetto o è una lingua a sé stante?

Grande alfiere di questa tendenza è stato in passato Nino D’Angelo: nel 2010 ha cantato con Maria Nazionale Jammo jà, interamente in napoletano. Ma già qualche anno prima, nel 2002, Nino D’Angelo aveva cantato Marì, con parti in italiano e altre in dialetto: «Marì cchiù bella 'e te, Cchiù grande 'e te, Nunn' è nisciuno».

Più di recente, nel 2014 Rocco Hunt ha portato a Sanremo Nu juorno buono, con parti intere in napoletano (e il verso-manifesto: «Il mio accento si deve sentire»). 

Così quest’anno tocca a Geolier, con la sua Io pe’ me, tu pe’ te (qui c’è il testo e la traduzione) e Amadeus ha già rivendicato la scelta, dicendo che la musica partenopea è un patrimonio nazionale.

Cosa dice il regolamento

L’opinione del direttore artistico non è secondaria, perché il regolamento ufficiale di Sanremo dà a lui il potere di decidere, pur partendo da un principio: «Il testo delle canzoni in gara dovrà essere in lingua italiana».

«Si considera in lingua italiana», continua il regolamento, «anche il testo che contenga parole e/o locuzioni e/o brevi frasi in lingua dialettale e/o straniera (o di neo-idiomi o locuzioni verbali non aventi alcun significato letterale/linguistico), purché tali da non snaturarne il complessivo carattere italiano, sulla base delle valutazioni artistiche/editoriali del direttore artistico».

Evidentemente, un testo completamente in napoletano per Amadeus non basta per «snaturare il complessivo carattere italiano» di quello che Geolier vuole raccontare quest’anno sul palco dell’Ariston.

Cantare in napoletano

In fondo c’è anche un piccolo aneddoto: il primo festival organizzato al Casinò di Sanremo, a fine 1931, è stato il “Festival napoletano”. Esattamente vent’anni prima che l’industriale Pier Bussetti, gestore del casinò negli anni Cinquanta, progettasse un festival di tutta la canzone italiana.

La polemica “linguistica” ha già toccato anche Geolier. Come ha riportato il Mattino, ha detto pubblicamente che avrebbe dovuto portare al festival Chiagne, in coppia con Lazza, già l’anno scorso. Ma sarebbe stato bocciato proprio perché «un minuto e 15 secondi di napoletano erano troppi».

«Ho risposto che la prossima volta sarei tornato con un brano solo in napoletano». E così ha fatto. Solo che alcuni intellettuali napoletani ne hanno poi criticato lo stile, dicendo che non avesse rispettato le regole grammaticali. Ma in fondo il suo è sempre stato un napoletano “da strada”.

Chi è Geolier

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Anche perché non esisterebbe Geolier senza Napoli, e senza Secondigliano in particolare, dove Emanuele Palumbo (il suo vero nome) è cresciuto. Entrando in contatto con la strada e la musica che lì si respira, il rap e l’improvvisazione.

Nella primavera del 2018 – a 18 anni appena compiuti – Geolier ha fatto il suo debutto con P Secondigliano, con Nicola Siciliano (classe 2002): «Ehi, gir pe Secondiglian (p Secondiglian), Rind a n'Audi ner opac (rind a n'Audi ner opac), Ca m par n'astronav».

Vedi Napoli e vai a Sanremo

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Su una cosa Amadeus ha ragione. Quello che succede a Napoli non rimane solo a Napoli, come dimostrano certi fenomeni che su TikTok hanno assunto fama nazionale. O ancora, nella musica, il successo di Liberato.

E appunto di Geolier, che ha pubblicato il suo album di debutto – Emanuele – nel 2019. Uscito poi nell’estate del 2020 in una nuova versione ampliata.

Quasi un anno fa è uscito il suo secondo album – Il coraggio dei bambini – anticipato appunto da Chiagne con Lazza (e la benedizione di Takagi & Ketra).

È facile immaginare che parte del pubblico farà fatica a digerire Geolier quest’anno a Sanremo. Ma Amadeus da qualche anno ha l’ambizione di allargare la platea di spettatori anche alle nuove generazioni.

E chissà che – come Lazza un anno fa – anche Geolier alla fine non riesca a scalare la classifica, cantando in napoletano.

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