Che Sanremo è stato, che Sanremo sarà. È stato il festival clinico dell'arnica di Gio Evan e dell'ibuprofene di Aiello e della farmacopea di Max Gazzè, e del protocollo sanitario molto specchio del paese: rigidissimo la prima sera, poi via via sempre più lasco coi bouquet di fiori che passavano di mano in mano e dei baci sulle guance, fino alla scoperta – avvenuta in un programma pomeridiano – del bluff definitivo: Irama, il cantante che stava in quarantena nella sua camera d'albergo come ci ha detto ogni sera Amadeus, aveva invece mollato la riviera e se n'era già tornato a casa a Milano, da dove si è astutamente collegato col programma pomeridiano di cui sopra. Si vede che il protocollo in Italia non si applica agli entertainer, come hanno dimostrato nelle stesse ore le Sardine allegramente arrivate a Roma da Bologna per un mini-Erasmus coi sacchi a pelo che sicuramente inciderà sui destini del Pd. Speriamo abbiano anche televotato, magari saranno state per una volta decisive in qualcosa.

È stato il Sanremo dei giovani, quelli per catturare i quali è stato assembrato un cast ricco di volti noti perlopiù in certi quartieri gentrificati di Roma e Milano, e che i giovani hanno premiato affossando gli ascolti (sono abituati alle stories e ai meme, un programma di cinque ore a botta lo considerano già percorso universitario) probabilmente facendo anche fallire svariati sponsor.

Giovani che però hanno risposto all'appello delle Istituzioni, cioè Chiara Ferragni e suo figlio Leone, per votare in massa Fedez e Francesca Michielin facendoli arrivare al secondo posto e scatenando l'unico dramma normale di questa edizione in cui di normale non c'è stato niente: la vibrante denunzia del Codacons contro presunti brogli e favoritismi. Denunzia subito perculata da tutti come tutto ciò che concerne il Codacons, ma che a me è sembrata un ottimo auspicio verso il ritorno alla vita di prima, una vita finalmente di nuovo libera di intasare i tribunali per anni con delle cazzate.

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È stato il Sanremo dei pep talk motivazionali, perché siamo un po' tutti nei guai per i noti motivi e soprattutto perché abbiamo deciso che l'intrattenimento puro è volgare se non tratta lo spettatore da vittima permanente del destino, della società, del televoto: alla finale è toccato a Ibrahimovic annunciare al pubblico che «il fallimento è parte del successo», e niente ti fa dà la carica mentre fai la fila per il pane come un plurimiliardario che declama i suoi tatuaggi. Anche Giovanna Botteri – l'unica donna che avrebbe dovuto portare un monologo pro-sessismo, visto che è diventata all'improvviso la nostra Christiane Amanpour per una battuta sui capelli – ha scelto di incoraggiarci ma forse era nervosa e sembrava la contessa mitomane de La pazza gioia o Maria Teresa Ruta al Grande Fratello. Del resto aveva annunciato poche ore prima che “Sanremo mi fa più paura delle bombe”, rassicurando i propri editori circa il suo stato mentale.

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È stato il Sanremo degli anziani: i pochi in gara, perché gli unici ancora capaci di fraseggiare e farsi capire cantando. Ma soprattutto quelli fuori gara e fuoriclasse come Umberto Tozzi, Michele Zarrillo e Riccardo Fogli, quelli che non piacciono alla bolla dei social e alla Generazione Z perché le loro canzoni sono ormai nel nostro DNA e quindi inaccettabili per chi non crede più alla biologia, nemmeno a quella musicale. Soprattutto è stato il Sanremo di Ornella Vanoni, che in venti minuti ha nell'ordine: intimato a Fiorello di smetterla di cantare, visto che cantano già in troppi e non è che sia proprio imperdibile (monito che però andava indirizzato anche a metà dei concorrenti); cazziato il suo direttore d'orchestra per i capelli (peccato fosse uomo, potevamo avere una nuova Botteri); ricordato ai parolieri italiani che anche se certe voci rendono immortale qualunque cosa si possono però scrivere capolavori assoluti del pop se si conoscono più di quindici vocaboli; ma soprattutto Ornella Vanoni ha svelato l'indicibile dopo cinque serate di ammorbamenti sul pubblico che non c'è, su quanto ci manca il pubblico, quanto siamo nervosi e spaventati senza il calore del pubblico. Ha detto che il pubblico non c'è, ed è meglio così visto che tanto non capisce niente. Ornella Vanoni, oltre a essere Ornella Vanoni, è dunque anche la nostra Fran Lebowitz. Speriamo l'abbiano vaccinata tre volte perché non possiamo permetterci di perderla.

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Che Sanremo sarà: Amadeus e Fiorello si sono ufficialmente tirati fuori, l'anno prossimo riposeranno. Fiorello ha augurato ai suoi successori un festival 2022 come una volta, imballato di pubblico, giornalisti, fotografi, fan e super ospiti. “Però vi deve andare malissimo”, ha scherzato come scherza Fiore, cioè togliendosi l'Himalaya dalla scarpa. In effetti deve aver preso così bene le polemiche sugli ascolti che hanno dovuto dargli un premio in diretta, e quando fermi un programma di cinque ore per premiarne un presentatore capisci che hai un problema di gestione del piano terapeutico dietro le quinte.

La maledizione scagliata da Fiorello sul futuro conduttore di Sanremo forse ha già cominciato a sortire il suo effetto: hanno vinto i Maneskin, cioè ha vinto X-Factor, cioè ha vinto SKY, cioè ha vinto Alessandro Cattelan, che ha appena firmato con la Rai e che in molti vedrebbero bene come l'Amadeus del 2022. Quindi il prossimo festival sarà sì – speriamo – affollato e assembrato, ma verrà visto solo da quelli che non ti guardano bovinamente se citi Cattelan, cioè i mitici giovani. E dunque il prossimo Sanremo farà il 60% su Instagram, e il 2 su Raiuno. Non vedo l'ora di sentire come lo giustificheranno in conferenza stampa: daranno la colpa alla concorrenza spietata di Clubhouse.

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Nell'attesa, grazie di aver seguito Sanremo71 con noi di Domani, e mi raccomando strimmate Orietta Berti, vincitrice morale della redazione. All'anno prossimo!

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