«Da quando si è fidanzata con questo sportivo famoso, i suoi post sono passati da valere 5 a 10mila euro l’uno», dice la pierre di moda.

«Il resort di lusso che mi aveva invitato mi ha fatto togliere alcuni contenuti su Instagram perché li considerava troppo gay», racconta un volto noto della tv.

E poi ancora: «Sai che George ed Amal Clooney volevano trasferirsi sul Lago di Como ma hanno rinunciato perché non ci sono scuole internazionali per i figli? I bambini già parlano italiano», racconta uno stylist sempre beninformato.

Non sono ancora entrata al Plastic e nel dehor ho già incontrato molti amici, qui come me per festeggiare i 50 anni di Sergio Tavelli, l’uomo che decideva il destino dei nostri sabati sera a vent’anni, «tu entri, tu no».

Quando il locale si trovava ancora in viale Umbria, sono rimasta talmente tanto ad aspettare il mio turno lì fuori che alla fine ho persino preso casa in quella via. Non ci sono mai state le liste al Plastic, l’entrata era a discrezione di Lucio –  che non c’è più – di Sergio e della Pinky.

Bastava uno sguardo ed entravi in paradiso, o all’inferno visto che si poteva fumare dentro. A me bastava entrare nella sala Bordello, dove la Stryxia cantava le canzoni italiane d’annata e noi tutti dietro a lei –  “Milano in macchina una sera che piove è il mio cavallo di battaglia”.

Poco è cambiato a parte noi, e stasera in consolle, al suo fianco, ci sono l’artista Francesco Vezzoli e il pierre di Etro Carlo Mengucci. E poi Marchino al bar che prepara i cocktail e nel frattempo ti fa bere uno shottino.

Riunione di condominio

Fare serata al Plastic è divertente, lo è di meno il recupero dei giorni a seguire. Per questo ho accettato l’invito dell’amico produttore Giovanni Corrado, a vedere la prima del film Il ritorno di Casanova di Gabriele Salvatores.

L’Anteo è il cinema delle pellicole indipendenti, nessuno alle prime si veste da sera, non si trova una paillette in tutta via Marsala, arrivano tutti un po’ dimessi e non capisci mai chi ti trovi di fianco.

Sono certa di aver passato la serata vicino a un autorevole addetto ai lavori che avevo già visto altrove – a Venezia? A Cannes? –  che conosceva tanti retroscena dei set.

Così, mentre Toni Servillo faceva la doccia con Sara Serraiocco, io pensavo all’idea di un app che mi aiutasse a riconoscere i volti delle persone. E mentre Fabrizio Bentivoglio nei panni di Casanova baciava la giovane Bianca Panconi, ragionavo che quell’app però avrebbe attentato alla privacy e alla libertà, e quindi concludevo che erano meglio i dubbi.

Un mix di pensieri che non mi ha distratta dai titoli di coda, quando ho letto il nome di un caro amico produttore e gli ho scritto su WhatsApp: «Sei qui alla prima?». E lui: «No, ho la riunione di condominio». Dimesso e perfino assente.

Pastiera

Oggi ho i muscoli indolenziti perché ieri ero in ritardo, e ho corso. Dovevo essere al Base, alla prima di Junk, docuserie prodotta da Sky sui costi sociali e ambientali dell’eccessivo consumo di abbigliamento, e invece mi sono trattenuta a fare merenda all’Hotel Gallia.

Non riuscivo a staccarmi dalla pastiera calda degli chef Vincenzo Lebano e Stefano Trovisi, complice anche lo Spritz della casa. L’Hotel Gallia è così vicino alla Stazione Centrale che l’idea sarebbe che il bar diventi una lounge dove intrattenersi in attesa di partire.

Meno male che non avevo un treno da prendere, altrimenti lo avrei perso. Così sono arrivata tardi, ma giusto in tempo per applaudire la passione dell’attivista Matteo Ward e i registi Matteo Keffer e Olmo Parenti, figlio dell’ideatore de Le iene Davide e dell’autrice Paola Costa che lo hanno cresciuto a pane e dilemmi della vita saputi raccontare. 

La mia serata si è conclusa a cena da Marè, col club di lettura Pettirosso, organizzata dalla mia amica Elena per la presentazione del libro di Matteo B. Bianchi, La vita di chi resta. Ho persino letto una pagina.

Ci siamo commossi, ma si è anche riso perché è un libro che parla soprattutto di chi si lascia alle spalle un dramma. Così, prima di tornare a casa non ho rifiutato il gin tonic della staffa di un amico. «Ci vediamo al Moebius, che è ancora aperto», mi ha scritto. «Due minuti e sono lì», ho risposto. Le mie parole preferite per onorare la vita, sempre, prima che chiudano i bar.

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