E dire che non c’era neppure Geppi Cucciari a sfottere il ministro. Tanto non c’era neppure il ministro. A far da cerimoniere alla finale del Premio Strega è toccato a Pino Strabioli, abile come sempre nel palleggio con gli autori e gli incipit memorizzati da Filippo Timi (che fa un po’ audiolibro e i libri suonano meglio nel silenzio della lettura) a celebrare il rito di una Strega dall’esito molto scontato. Tutto molto elegante, tutto molto già scritto. L’esito era talmente telefonato che perfino la bottiglia di Strega pareva sbadigliare in anticipo. Allora successo annunciato del romanzo L’anniversario di Andrea Bajani, titolo paradigmatico per Feltrinelli che celebra quest’anno l’anniversario dei settant’anni della casa editrice di Giangiacomo e Inge, ora di Carlo.

L’anniversario, libro, svetta sul podio con 194 voti, dopo un problema con il conteggio che lo aveva dato prima vincitore a 187. Il podio: Elisabetta Rasy con Perduto è questo mare (Rizzoli) seconda con 133 voti, terza Nadia Terranova con Quello che so di te (Guanda, 117 voti), Paolo Nori quarto col fiatone con Chiudo la porta e urlo (Mondadori, 103 voti), mentre con Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia l’esordiente Michele Ruol, anestesista di Padova e autore di Terra Rossa, casa editrice piccina picciò, chiude con 99 voti ma si porta via il trofeo invisibile della sorpresa letteraria — un po’ come se alla Biennale di Venezia vincesse un artista autodidatta di Matera che dipinge con la Nutella.

Tempi moderni

Finale confuso. Con la giuria guidata dalla vincitrice dello scorso anno Donatella Di Pietrantonio biancovestita che attende lo spoglio delle ultime cento schede e la Rai che impone a Pino Strabioli di sbrigarsi a chiudere e decretare il vincitore. Non c’è più tempo, consumato da un lungo e molto retorico (come una targa a Casal Palocco) monologo di Anna Foglietta dedicato a Pasolini nel cinquantenario della morte e chiuso con un «Palestina libera». Non c’è tempo neppure per il discorso di ringraziamento di Bajani, bello e costruito sulle letture dei libri Feltrinelli della sua vita, a partire da quel Pasternak che segnò la storia di quell’editore.

Riesce soltanto a dire «sono ventidue anni che pubblico libri. Gratitudine a quelli che hanno creduto in me, i lettori, gli editori. Quest'anno sono i settant’anni della Feltrinelli che ha creduto in me». È emozionato mentre beve dalla bottiglia del liquore Strega. «La letteratura è contraddire la versione ufficiale. Oggi la versione ufficiale è quella del patriarcato. Con L’anniversario ho voluto raccontare la necessità che anche i maschi lo contestino». E in effetti è proprio la voce calma di un uomo a stupire e sedurre chi legge L’anniversario. La voce di uno scrittore che si impegna ad analizzare attraverso la letteratura il sistema di potere che permea la società a partire dal suo elemento fondante, la famiglia, e gli effetti concentrazionari e distruttivi che questo, e la violenza di cui è connaturato, producono non solo sulle donne, ma anche sugli uomini.

Pace e vittoria

L’ultima vittoria dell’editore risaliva al 2005. Dopo venti anni dalla vittoria di Maurizio Maggiani del 2005, ieri il libro di Andrea Bajani ha compiuto un piccolo miracolo editoriale: il vincitore annunciato (e incoronato) ha siglato anche la pace tra l’editore milanese e il premio romano. Dopo molti anni di assenza, che tanto vincevano sempre i soliti, e la sconfitta non annunciata di Rosella Postorino due anni fa.

Se non fosse stata marcata dall’assenza del ministro Giuli sarebbe stata un’edizione monacale, quasi da zen con tiro con l’arco: senza polemiche tra gli scrittori, minimal come l’abito semiotico shabby chic, elegantissimo, del vincitore Andra Bajani, un sobrio completo Armani color sabbia con giacca destrutturata e collo alla coreana.

Nel Ninfeo si muore di caldo, nessuno ha voglia di bere i micidiali cocktail con lo Strega e la tradizionale guerra tra gli editori si limita alla lotta per il secondo posto tra le scrittrici Elisabetta Rasy che corre per Rizzoli e Nadia Terranova per Guanda. Prevale Rasy. Mondadori non vuole arrivare ultima con Paolo Nori e d’un soffio (quattro voti) batte l’unica vera e interessante sorpresa di questo premio: Michele Ruol il giovane anestesista di Padova, pubblicato da un piccolissimo editore di Bari che lavora da solo con un paio di freelance a contratto tra i trulli di Alberobello e il lungo mare di Bari. E già questa è una storia che sembra un romanzo.

Ruol è già stato ingaggiato da Einaudi e i rumors dicono che gli siano arrivati parecchi voti dallo struzzo torinese. Paolo Nori, grande scrittore tragicomico, si lamenta dello scorno di non essere arrivato ultimo come Vasco a Sanremo e delle polemiche col ministro se ne frega: «Non ne so niente, abito a Casalecchio di Reno, vicino a Bologna». La polemica è questa: il ministro, permaloso, se ne è avuto a male, piccato perché dalla Fondazione Bellonci che governa il Premio non gli hanno inviato a casa o al ministero i libri della cinquina.

L’ex amico

Lui era sì un amico della domenica e correttamente si è dimesso perché non sta bene che il ministro voti. Contrariamente al suo predecessore, Giuli, uomo colto e meno succube degli struggimenti d’amore, i libri se li leggeva pure. Beh, poteva dare il suo piccolo contributo alla crisi dell’editoria e comprarseli. Ho fatto il conto, a prezzo di copertina sono 85 euro. E poi sia in libreria sia su Amazon fanno lo sconto di almeno il 5 per cento. Per di più Giuli è un lettore forte, può ambire senz’altro a un 10 dal libraio di fiducia. Immediata la risposta del direttore della Fondazione Stefano Petrocchi: «Spediamo i libri unicamente alla giuria dello Strega, dalla quale il ministro si è dimesso».

Poi il ministro è partito e se ne è andato a Berlino, la città più cool d’Europa. Anche più fresca di Roma, oggi ci son 24 gradi. Petrocchi rilancia con stile: «Abbiamo mandato al ministro oggi stesso i libri a Berlino, ci ha ringraziato.» Poi la notizia. A poche ore dalla proclamazione del vincitore, il Mic ha fatto sapere di voler cambiare location: non più la rinascimentale villa di Papa Giulio III, ma gli studi cinematografici di Cinecittà sulla Tuscolana. Per favorire la diffusione della cultura e della lettura nelle periferie metropolitane.

Il trasloco

Secondo quel piano Olivetti che dovrebbe sostenere la cultura, ideato dal  ministro. Il mercato librario è in flessione, da gennaio a maggio ha perso il 4 per cento, mentre i 30 milioni di euro previsti per le biblioteche non sono ancora arrivati e le Carte cultura aspettano. E ancora non si è rimediato al disastro dell’abolizione dalla App 18. Innocenzo Cipolletta, al suo secondo mandato alla presidenza dell’Associazione italiana editori, è tra i tavoli. E non a caso Federico Mollicone di FdI, presidente della commissione Cultura della Camera presente al Ninfeo, dopo aver derubricato a “malinteso” l’incidente con il governo annuncia lo stanziamento di 44 milioni a supporto del settore. In teoria perché mancano i decreti attutativi.

Cinecittà è il set perfetto per lo Strega, là tutti stanno litigando per la Tax credit del cinema, altra industria messa in ginocchio dalle scelte ministeriali, e dove domina il caos tra veleni e dimissioni.

Petrocchi infine spiega come tecnicamente funziona la scelta della location: «Ogni anno facciamo una richiesta di concessione e utilizzo degli spazi del museo etrusco. La finale si svolge qui dal 1953». Sull’ipotesi Cinecittà il direttore non si scompone: «Si è tenuto lì lo Strega Giovani nel 2022, ci piacciono i luoghi periferici».

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