Le regole si reggono sulla certezza, sulla disciplina e sulla prevedibilità. Non sono solo un fondamento della grammatica, ma una cornice morale. Hanno un sapore di pragmatismo. Eppure dubitare non è distruggere: è mettere alla prova, verificare, modificare. È dialogo con la realtà
La cultura della regola inizia dallo studio della grammatica». Queste parole sono state proferite giorni fa dal ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara. Nel riportarle in apertura vengo meno, guarda un po’, a una mia regola (non solo mia): non bisogna mai iniziare un pezzo con una citazione.
I motivi per cui disubbidisco a un mio principio sono due. Il primo è che queste parole mi hanno colpita. Hanno una limpidezza, comunicano una visione del mondo, forniscono un incipit potente (letterariamente mi tentano, insomma). Il secondo è che nonostante siano potenti non mi convincono granché. Alla cultura della regola, fosse per me, anteporrei la cultura del dubbio. Le due non sono incompatibili, certo si trovano in un rapporto complesso. Il ministro però ne sceglie una e la pone in cima.
Garantire ordine
La cultura della regola si regge sulla certezza, sulla disciplina e sulla prevedibilità. Non è solo un fondamento della grammatica, non lo è neanche nelle intenzioni di Valditara. In quanto “cultura” diventa presto una cornice morale e uno strumento. Garantisce stabilità, ordine, sicurezza. Dà la sensazione di un obiettivo concreto, con un capo e una coda. Ha un sapore pragmatico.
La cultura del dubbio, invece, fa pensare subito a un lusso intellettuale. Un privilegio riservato a chi si crede Leopardi e vuole mettere tutto in discussione, avendo fra l’altro il tempo per farlo. Ma è davvero così? In realtà, il dubbio è molto più di un esercizio speculativo: è una necessità pratica. Mi direte: cara, non serve che ci dimostri che una cosa ha un significato pratico, noi amiamo anche gli oggetti astratti. Eppure il significato pratico del dubbio è, secondo me, di notevole interesse.
La regola ha, senza dubbio (senza dubbio!), tanti pregi. La grammatica, per esempio, ci permette di comunicare in modo chiaro, di stabilire un terreno per il dialogo e la coesione (lo stesso ministro lo ha sottolineato).
Nella vita pratica, le regole hanno obiettivi positivi: proteggere, garantire, agevolare. Tuttavia, la regola è intrinsecamente limitante. È progettata per funzionare in contesti prevedibili, in cui il passato può essere usato come guida per il futuro. Ma cosa succede quando il mondo assume le sembianze dell’“inimmaginabile”?
Novant’anni fa John Maynard Keynes (uno dei più grandi economisti del Novecento) introdusse il concetto di “incertezza radicale” per descrivere situazioni in cui gli individui e i mercati non possono tentare di prevedere il futuro. Ci troviamo ben oltre il rischio. Se il rischio è riducibile informandosi, e comunque inquadrabile con un calcolo probabilistico, l’incertezza radicale vive nella completa oscurità, come il lupo nero de La storia infinita.
Nel contesto attuale ne avvertiamo spesso la presenza: fenomeni naturali estremi, crisi geopolitiche per le quali sogniamo la palla di cristallo, rivoluzioni tecnologiche che si fondano su un’intelligenza al di là della nostra comprensione. Questi fenomeni non possono essere gestiti con regole rigide. Le persone, le aziende e i governi sanno di navigare senza possedere mappe affidabili. Innovare, proteggere ed evitare errori sistemici è difficile.
RegoleUn esercizio costante
Affrontare il mondo dell’inimmaginabile brandendo solo la cultura della regola è come tentare di combattere una tempesta con un ombrello. In questo contesto, la cultura del dubbio non è un vezzo da perditempo. Dubitare non è distruggere, ma è mettere alla prova, verificare, modificare e se necessario superare gli schemi, in un continuo esercizio che somiglia a un dialogo con la realtà molto più del rispetto pedissequo di uno schema prefissato.
Ci si chiede se la cultura della regola attragga certa politica non tanto per la sua utilità pratica quanto per le opportunità politiche che offre: dalla cultura della regola più facilmente discende la cultura del controllo. In questo scenario, il leader forte – uomo o donna – si erge come figura centrale e promette di proteggere le masse dall’incertezza e dal caos. Fa da schermo. Il prezzo di questa protezione è alto: sacrificare la libertà in nome della sicurezza.
Tornando al punto di partenza, ribadisco che il dubbio e la regola possono convivere. Le regole sono necessarie per creare ordine, ma devono essere flessibili, aperte al cambiamento e continuamente sottoposte a verifica. Il dubbio rimane il mezzo migliore per adattare le regole alla nuova realtà, evitando che si trasformino in strumenti di oppressione. In definitiva, sta a noi scegliere se essere sudditi di una regola immutabile o cittadini di un mondo in cui il dubbio è libertà, ma anche capacità di azione.
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