Metto subito le mani avanti: sono spudoratamente di parte riguardo all’opera di Chris Ware. Nel lontano 2001 a New York sono rimasto folgorato dal suo volume Le avventure di Jimmy Corrigan, che ha scatenato alla sola visione tutte le mie vibrisse estetiche. Cinque anni dopo ne ammiravo le tavole originali del libro esposte al Museo di Arte Contemporanea di Chicago, sua città d’adozione. Ma non si trattava della celebrazione di un artista locale: Ware era già un autore apprezzato a livello nazionale, che si era fatto notare per una formula editoriale molto particolare, primo segno distintivo della sua articolata opera artistica.

Infatti le sue storie e i suoi fumetti si rivelano nella Acme Novelty Library: una serie di albi pubblicati con intervalli imprevedibili (da Fantagraphics dal 1993 e poi da Drawn & Quarterly dal 2006), interamente autoprodotti, di formato diverso e contenuti discontinui, che periodicamente vengono poi raccolti in volumi tematici. Anche il nuovo Rusty Brown – in Italia dallo scorso 9 luglio grazie alla lodevole iniziativa di Coconino Press e Fandango – raccoglie materiali degli ultimi 18 anni (tra le tante informazioni con cui è solito corredare i libri, Ware ci informa anche dei quattro presidenti che si sono alternati e del tipo di connessione Internet in uso nei vari periodi di stesura).

Riscoprire Frank King

Ma Chris Ware mi è particolarmente caro soprattutto per il lungo lavoro di riscoperta e riproposizione del capolavoro di Frank King, Gasoline Alley. Dal 1921 e per oltre 35 anni, raccontò quotidianamente in tempo reale la vita nei dettagli dei suoi personaggi.

Il genio di King e la sensibilità dei lettori contemporanei trovano un punto di incontro proprio nell’ispirazione che King ha esercitato sulle opere maggiori di Chris Ware, per sua stessa ammissione, a partire da evidenti elementi contenutistici e strutturali. Entrambi raccontano vite, biografie come archetipo narrativo, dove ogni svolta è scritta dal caso o dal destino. Vignette come finestre su un mondo parallelo, abitato da essere umani, con le emozioni più nobili e le meschinità più banali.

Questo ha fatto King e questo fa Ware nella sua ricerca senza fine e temporalmente discontinua che si esprime attraverso i suoi fumetti. Scrive infatti nell’introduzione di Jimmy Corrigan: «È verità condivisa da tutti che il fine sommo di ogni intrapresa estetica è stabilire una maniera di riprodurre l’esperienza umana in tutta la sua ricchezza, complessità e relativa banalità».

Teatro pittografico

In Rusty Brown, a differenza che in Jimmy Corrigan, le vite raccontate sono principalmente quattro, distinte in sezioni dedicate rispettivamente a un singolo periodo (di Rusty), ad alcuni momenti significativi (del padre di Rusty e della sua maestra Cole), a un’intera esistenza (del bullo Jason).

Alla fine del libro una scritta a doppia pagina strilla: «Intervallo». E in effetti sentiamo la mancanza di un finale, sappiamo che c’è altro da raccontare e che vogliamo sapere. Non si tratta però di un’opera incompleta, bensì di quattro opere concluse raccolte in un progetto corale ancora in corso.

L’interpretazione moderna e personale di Ware dell’idea di fumetto biografico di King è riassunta in una breve definizione in calce a Jimmy Corrigan, quasi un’introduzione anche alle sue opere successive: «Teatro pittografico». E gli fa eco nel prologo di Rusty Brown la didascalia «Messa in scena» nella pagina che mostra i luoghi dei fatti.

Il racconto della vita

Queste indicazioni si traducono in una rappresentazione con una forte determinazione narrativa e con una forma grafica (che è anche contenuto, perché immagine essa stessa del senso della vita) che comprende: la stilizzazione dei personaggi, le tre dimensioni ortogonali (un realismo “tecnico”), la scelta dei colori, con uno spettro molto ampio, ma mai deciso e violento, le dimensioni variabili delle vignette (unico precedente consapevole: il milanese Guido Crepax), non sempre consequenziali o cinematografiche, spesso piccolissime per individuare dettagli perché fondamentali o perché banali, ma con lo stesso peso, oppure aperte su una o due pagine intere, sul paesaggio, sul contesto, come a ridefinire le giuste proporzioni.

È un mondo ripulito e preciso, per questo anche spietato. Ware mette in scena il teatro della vita, con personaggi di carta, così veri nel dolore e nei sentimenti raccontati e così finti, rappresentativi, nei modellini degli oggetti e delle case da ritagliare e montare.

Modellini da costruire

L’inserimento nei libri di paper-model e di istruzioni per l’uso (modelli grafici a cui allude l’intera opera di Ware) è forse la metafora più esplicita sul senso finale dell’esistenza umana.

Non siamo forse tutti pupazzetti ben disegnati che abitano in precari diorami? Al tempo stesso questo teatrino di carta psicologicamente sdrammatizza, è consolatorio, rimanda anche allo svago, la spensieratezza del gioco infantile. Una dimensione più anelata che reale nei personaggi dei libri di Ware, perché nella loro infanzia affondano le radici delle loro ossessioni.

Ritorno all’infanzia

Seppur molto diversi, i racconti dei quattro protagonisti sono accomunati dalla presenza dell’infanzia. Non a caso le vicende sono ambientate a Omaha in Nebraska, città natale dell’autore.

Rusty Brown entra in scena nella seconda pagina: un puntino colorato nella neve, a terra, vessato dai bulli. Il desiderio di un superpotere e il gioco con un supereroe sono emblematici del suo rapporto problematico con la vita reale.

Si dice che non esistono bambini difficili, ma bambini in tempi difficili. Per Rusty sono i tempi della scuola, del primo duro impatto sociale; per suo padre è il tempo della fuga nella fantascienza, che prosegue in età adulta per dimenticare una donna e la vita di ripiego che sta vivendo; per Jason sono i tempi della prima infanzia con una mamma che poi non c’è più e il suo successivo rapporto dialettico con il concetto di famiglia; per la maestra Cole è il tempo davvero difficile di chi è donna e nera negli Stati Uniti della provincia conservatrice che non cambia.

Come fiocchi di neve

Il libro si apre con un’altra metafora forte, quella dei fiocchi di neve. La neve che tutto uniforma negli inverni del Nebraska, ma composta da fiocchi tutti diversi. Così sono i personaggi nelle opere di Ware: piccoli, simili, ma tutti diversi tra loro. Bellissimi anche, ma effimeri. Con il microscopio narrativo di Ware si percorrono i perimetri articolati e unici dei frattali. Ma ognuno sta solo sul cuor della terra...

Alla fine della lettura di Rusty Brown, come già per Jimmy Corrigan, mi sono chiesto subito dove si collocasse Ware, quale fosse il suo punto di vista.

Non c’è nessuna reale empatia con i personaggi, non si sente un messaggio forte e chiaro dietro il racconto nudo e crudo delle vicende del libro. Pur essendo autore e regista dell’opera teatrale che sta andando in scena, Ware è seduto in platea con il lettore, non può far altro che assistere.

Ma non si chiama fuori: in Rusty Brown si pone addirittura dentro l’opera, autorappresentandosi nel professore d’arte che porta il suo nome e che dipinge opere pop, ragiona di estetica, ma si china per sbirciare le mutandine di una studentessa: nessuno sconto personale sulle polarizzazioni della condizione umana.

Progetti artistici

Ed è proprio qui che alla fine ci conduce Chris Ware con i suoi lavori. I suoi non sono semplicemente libri (anche perché non nascono così), ma veri progetti artistici dai linguaggi espressivi molto diversi: grafici (nella posizione degli elementi, nella dimensione delle vignette e dei caratteri, nelle scelte di font e rappresentazione) e narrativi (con piani temporali diversi e sovrapposti, dialoghi assenti, banali, poetici o fulminanti). L’oggetto-libro di Ware è l’opera di un artista contemporaneo che racconta storie universali, che parla di noi.

Quando da giovane abusavo di certi videogiochi, alla fine un’immagine spontanea e ossessiva rimaneva impressa nella mente, per esempio quando cercavo di prendere sonno.

Così anche la lettura immersiva delle biografie a quadretti di Chris Ware stimola una riflessione molto personale, non senza una valenza analitica, per cui si comincia a ripensare alla propria vita figurandola quasi con la stessa sintesi grafica, individuando dettagli e aperture, maturando una consapevolezza di quanto in effetti nelle nostre scelte quotidiane e nei nostri pensieri automatici si sovrappongano i piani temporali tra ricordi, rimpianti, sogni, passioni e progetti. I libri d’artista di Chris Ware sono paradossali istruzioni per l’uso delle nostre vite.

L’edizione italiana

Consequenziale a questo aspetto è il mio grande apprezzamento per l’ottima edizione italiana, traduzione e grafica coordinate da Luca Baldazzi, che ha avuto anche il plauso dell’autore. Chi sposa un progetto del genere va incontro a un’enorme mole di lavoro, che ha come unico obiettivo ammissibile la perfezione e diventa parte dell’opera.

È davvero confortante poter contare ancora su autori che scalano le montagne del tempo e dell’arte senza limiti e paure come Chris Ware e editori che lo seguono con coraggio. Evviva.


Questo testo è tratto dal numero 300 della più nota rivista italiana di critica e informazione sui fumetti Fumo di China (32 pagina, 4 euro), in edicola e fumetteria fino a metà dicembre. La copertina dello storico traguardo è di Larry A. Camarda.

© Riproduzione riservata