Ci sono luoghi frequentati da un’umanità eterogenea e variegata, individui che – per stile di vita e ruolo sociale – normalmente condividerebbero, al massimo, il rosso di un semaforo. Posti in cui vige una inquietante, quasi mistica, extraterritorialità. Zona franca si propone di raccontare la geografia di questi luoghi e la storia delle persone che li hanno frequentati.


6 settembre 2010, Massa Lubrense (NA). Linguine all’astice e vino bianco.

Sembrava impossibile ma ci siamo riusciti.

…non che io non sia abituato alle difficoltà, tra i problemi ci sono cresciuto e spesso ne ho risolti anche di più complessi...

Stavolta, però, il tempo era veramente poco. Meno di ventiquattr’ore.

– Allora, presidente, brindiamo? – dice Francesco.

Lui, Nino e Peppe mi guardano sorridendo.

Sorrido anch’io.

Come sempre, il gioco di squadra ha funzionato.

Sollevo il bicchiere fissando i miei tre marinai.

Vorrei dirglieli tutti, i “grazie” che gli devo… vorrei che sapessero che mi ricordo ogni singola volta in cui hanno portato a termine, con successo, le missioni impossibili che gli avevo assegnato.

Sto ancora cercando le parole quando mi rendo conto che, in effetti, di parole tra noi non c’è bisogno. Basta uno sguardo.

– Al motoscafo! – dico.

– Al motoscafo!

5 settembre 2010 (ventinove ore prima), Napoli.

– Presidente, presidente… hanno rubato un motoscafo! E mo che facciamo, preside’? – mi dice Francesco all’ingresso del circolo, senza lasciarmi neanche il tempo di chiudere la porta. Le otto e mezzo di mattina.

Ci raggiungono altri due marinai con la faccia sconsolata.

– Dotto’, abbiamo fatto tutto il giro: è sparito! Due minuti… stanotte Ciro si è assentato giusto due minuti… teneva ‘a cacà, nun poteva règge… e quei fetenti si so’ arrubati il motoscafo!

Per evitare che i soci possano sentirci, li spingo nel mio ufficio e mi faccio spiegare meglio l’accaduto.

Il motoscafo di un senatore, illustre ospite del nostro vicepresidente.

10 metri di lunghezza. Due motori da 300 cavalli l’uno. Valore commerciale: duecentomila euro.

Ormeggiato al pontile del circolo, è sparito durante la notte.

I miei ragazzi si scatenano: uno dice di chiamare la polizia, uno di andare alla capitaneria di porto, il terzo si offre di telefonare allo zio carabiniere. Tolgo il volume a tutti. Sporgere denuncia servirebbe solo a due cose: farmi sprecare la mattina in un commissariato e rovinare la reputazione del Circolo Savoia.

… e poi l’esperienza mi ha insegnato che: furto denunciato = motoscafo bruciato (o affondato).

Devo trovare un altro modo per ricondurre al guinzaglio del nostro pontile l’imbarcazione sparita nella notte. Un paio di telefonate e un caffè a Borgo Pescatori mi consentono di risalire all’autore del furto. Altre due telefonate e la promessa di dare asilo per qualche giorno a un gommone che “non può circolare” mi permettono di sapere che il motoscafo si trova in provincia di Salerno, a circa 80 miglia di distanza, e che – a nostro comodo – lo possiamo andare a ritirare.

Il mio intervento evita all’imbarcazione del senatore Augello una serie di viaggi in Albania per contrabbandare sigarette.

Organizzo la spedizione per il recupero del mezzo: Francesco, Nino e Peppe (più quindici taniche di carburante) partono col pulmino del circolo Savoia. Destinazione Acciaroli, provincia di Salerno.

Alle dieci di mattina arriva la telefonata: stanno tornando a Napoli.

Francesco, Nino e le quindici taniche a bordo del motoscafo.

Peppe a bordo del pulmino.

Ore 12: il prezioso motoscafo è di nuovo ormeggiato al pontile del Savoia. Per festeggiare il suo ritorno decido di portare i tre marinai a mangiare le linguine all’astice a Massa Lubrense. Dopo qualche giorno il senatore – ormai tornato a Roma – mi chiama per sapere se, per caso, al circolo sono stati ritrovati i costosi occhiali da sole della moglie.

Guardando nel cassetto della segreteria gli confermo che sono lì, a disposizione.

– Grazie presidente, proprio non ci speravo. Aveva ragione il mio amico: da voi nessuno ruba niente.

Reale Yacht Club Canottieri Savoia. Banchina Santa Lucia 13, Napoli

Il circolo nautico di cui, dal 1991 al 2012, sono stato ininterrottamente presidente. 22 anni. Sempre rieletto all’unanimità. Fino al giorno in cui io ho deciso di farmi da parte.

L’iscrizione a un circolo, per i napoletani, è quasi un titolo onorifico. La certificazione dell’appartenenza a una casta... e le caste a Napoli (come del resto in tutto il mondo) ancora sopravvivono: a confermarlo la presenza di ben cinque yacht club nei due chilometri che vanno dalla Marina Militare al Molosiglio.

Sono luoghi esclusivi, i circoli napoletani. Sono l’élite. E unicamente chi fa parte dell’élite può aspirare a diventare socio.

In qualità di presidente non mi limito, però, ad interagire solo con i miei 712 iscritti. Il mio ruolo mi impone anche di mantenere rapporti di “buon vicinato” con i contrabbandieri che – insieme a pescatori e cozzicari – abitano e frequentano Borgo Marinari, confinante con Borgo Santa Lucia (sede del Circolo Savoia).

Nell’interesse di tutti, devo far coesistere questi due singolari ecosistemi. Soci. Contrabbandieri. Giacca e cravatta. Canottiera e crocifisso.

A distanza di tanti anni, credo di esserci riuscito… e il merito è soprattutto di mio padre.

1947, Napoli.

– Ma l’hai visto che ore sono? Le tre… chitèmmuórt! Avevi detto che lo riportavi all’una!

L’uomo che ha appena parlato è Cicciotto, noleggiatore di barche a Mergellina. Il ragazzino a cui si è rivolto e che – come sempre – cerca di giustificarsi sono io, a 17 anni. Il giorno è un qualsiasi giorno in cui dovrei essere a scuola ma ho fatto filone.

È collezionando assenze che ho imparato ad andare in barca a vela. Da Cicciotto noleggio ogni volta un dinghy rosso di 12 piedi, con cui esploro in solitaria le acque del Golfo di Napoli. 61 è il record di assenze da me stabilito nel corso di un anno scolastico. Record che, in un liceo prestigioso come quello che frequento, rimarrà per secoli imbattuto.

Io volevo andare all’istituto nautico… ma ho ancora nelle orecchie la risposta di mio padre.

Agosto 1943, Napoli.

–… e, secondo te, io ti mantengo altri cinque anni a scuola per farti diventare comandante del traghetto Napoli-Capri?

Come sempre è lui a decidere: liceo classico Giovanni Pontano. Storico collegio dei Gesuiti frequentato dai rampolli delle famiglie campane più importanti, fucina della futura classe dirigente.

Con quel tipo di persone, mi diceva, sarei dovuto crescere. Diventare loro amico in un’età in cui erano ancora avvicinabili.

Primo giorno di scuola: mentre tutti si contendono i posti vicini alla cattedra, io e un ragazzino smunto puntiamo decisi verso l’ultimo banco. Entrambi timidissimi, non ci scambiamo neanche una parola. Durante l’appello scopro che si chiama Ugo. Ugo Gregoretti.

Mio padre sapeva che la scelta di una scuola può decidere un destino.

E così è stato.

Sia per me che per le mie sei sorelle, da lui iscritte all’Istituto Santa Maria Ausiliatrice, chiave di accesso anche per loro ad ambienti altolocati la cui frequentazione le ha traghettate verso matrimoni prestigiosi.

Mio padre era gommista, licenza elementare conseguita alle scuole serali. La sua camaleontica capacità di modulare linguaggio e comportamenti in base all’interlocutore, unita a un’intelligenza fuori dal comune, gli aveva da sempre consentito di coltivare ogni tipo di amicizie: camionisti, commercianti, imprenditori, aristocratici, cravattari e camorristi.

Da lui ho appreso umiltà e abilità nelle pubbliche relazioni, garanzia – anche nel mio caso – di conoscenze variegate e trasversali.

Sulla mia lapide ho già in mente cosa scrivere. Niente titoli, niente dottore, presidente, commendatore, cavaliere del lavoro.

Qui giace Pippo Dalla Vecchia, Gommista in Napoli.

Tennis, canottaggio, motonautica

Da ragazzo mi cimento in molti sport, quasi sempre con successo, ma è la vela la mia grande passione.

Timoniere di Finn, nel 1970 vinco i campionati italiani e arrivo secondo ai campionati del mondo. Nel 1960 e nel 1972 sfioro la qualificazione alle Olimpiadi.

Quando decido di non gareggiare più, la Federazione italiana vela mi apre le sue porte. Ricopro vari incarichi fino a diventare, nel 1989, vicepresidente. Il consenso che riscuoto mi spinge a candidarmi alla poltrona più importante ma, al ballottaggio – per due soli voti – presidente della Fiv diventa il mio avversario.

Il destino ha scelto per me una strada diversa: Reale Yacht Club Canottieri Savoia.

1991, Napoli.

– Preside’, vi cerca Lucio Dalla! Lucio Dalla il cantante! È arrivato due minuti fa – mi dice emozionato uno dei camerieri.

Gli hanno parlato del Savoia e ora vuole vedere il circolo.

Vado ad accogliere il Maestro.

Incontro. Convenevoli. Inizio visita guidata.

Gli mostro i salotti, la sala da pranzo, la stanza dei trofei, il pontile, la palestra.

Lui osserva tutto con grande attenzione ma senza dire niente.

Quando visitiamo lo spogliatoio nota, dietro gli scaffali, un’antica sedia da barbiere.

Incuriosito mi chiede spiegazioni.

Un tempo – gli racconto – avevamo un cameriere che fungeva anche da barbiere e, a fronte di un imprevisto appuntamento, i soci avevano la possibilità di “mettersi in ordine” a qualsiasi ora. In realtà, aggiungo tra il sorriso e l’imbarazzo, fino agli anni cinquanta oltre a quello tricologico la sedia del barbiere aveva anche un altro uso: con la scusa di trattenersi a cena allo yacht club, alcuni soci avevano la settimanale abitudine di frequentare la casa di tolleranza di corso Vittorio Emanuele. A volte, però, erano le ragazze a raggiungere al Savoia i gentiluomini. La sedia del barbiere costituiva, in quei casi, un divertente punto di appoggio per le consumazioni.

Gli occhi di Lucio Dalla si illuminano.

– Dove sono i moduli da compilare? Devo assolutamente diventare socio di un circolo che ha una sedia del barbiere!

In passato il nostro prestigioso sodalizio non è mai stato, quindi, del tutto impermeabile alle frequentazioni popolari… sono ben altre però le frequentazioni popolari con cui, durante la mia presidenza, mi sono dovuto confrontare.

Dicembre 1994, Napoli.

Lucio Dalla, come ogni anno da quando si è iscritto, tiene al circolo un concerto di beneficenza.

– Presidente, che dobbiamo fare? Chiamiamo la polizia? – mi dice un cameriere, indicandomi una catena umana che – a pochi metri dall’ingresso del Savoia – trasferisce (motoscafo, banchina, scale, portabagagli aperto di due Volvo) casse di sigarette.

– E che vuoi fare, Genna’? – gli rispondo.

Pure loro stanno lavorando. Tutti ‘amm’ a campa’!

Contrabbandieri, pescatori e cozzicari

Non posso mettermi contro i nostri vicini di casa né dichiarargli apertamente guerra. Finirei soltanto per esporre il Savoia, le barche e i soci stessi al rischio di attentati e ritorsioni.

Devo mediare. Cercare, per quanto possibile, di non inimicarmeli.

Hanno bisogno di un ormeggio per un paio di giorni? Glielo do. Gli serve un posto per il rimessaggio di un vecchio motoscafo? Gli do anche quello. Solo soldi non gliene ho mai dati. Ma, per fortuna, nessuno di loro me ne ha mai chiesti.

Nei mesi estivi l’attività di mediazione è persino più complessa (per fortuna ho trovato un degno erede in Fabrizio Cattaneo Della Volta, l’attuale presidente del Circolo Savoia, uomo di signorile abilità diplomatica). Intere famiglie dei quartieri popolari si riversano a Borgo Santa Lucia, noleggiando piccole barche a remi che ormeggiano a pochi metri dal molo.

Si forma così un isolotto di barchini, la proiezione su un piano orizzontale degli affollati condomini in cui – tra fili di panni condivisi e balconi comunicanti – quelle stesse famiglie abitualmente vivono.

Una semovente lignea piattaforma ad alta densità di criature urlanti, birre fresche, frittat’ ‘e maccarun ancora calde e operose parmigiane di melanzana. Questo vivace assembramento costringe i nostri soci a lunghe attese, anche di ore, quando con le loro barche salpano o rientrano.

Il mio comportamento – sempre teso alla ricerca di un equilibrio tra le parti – non solo previene rappresaglie, garantendo l’immunità del circolo da devastazioni e incendi, ma innesca una catena di reciproci favori.

1988, Napoli.

– Dotto’ dotto’, s’hann’ futtut’ ‘e cóppe!

Decine di coppe. D’argento massiccio. Duecento anni di vittorie. Due secoli di storia del circolo. Un danno incalcolabile.

Un paio di telefonate e un caffè a Santa Chiara mi consentono di risalire all’autore del furto. Altre due chiamate mi consentono di strappare la promessa di un sollecito interessamento alla questione.

So che dovrei sporgere denuncia, ma so anche che non servirebbe a riavere i nostri trofei. E poi? Cosa ci metteremmo sugli scaffali vuoti… una serie di targhette?

Qui giaceva la Coppa Ubaldo Fondi… qui giaceva la Coppa dei Tre Golfi… qui giaceva la Coppa Andrea Matarazzo…

La sera, appena arrivato a casa, ricevo una telefonata anonima: mi dicono di mandare un cameriere al circolo, alle quattro di notte.

Alle quattro – puntualissime – le coppe si fanno trovare davanti alla porta dello yacht club, avvolte in sacchi neri della spazzatura.

Non tutti i soci approvano la strategia di coltivare rapporti di buon vicinato anche con soggetti dalla condotta perlomeno discutibile.

Alcuni mi accusano addirittura di complicità con la camorra, senza conoscere – però – l’importante contributo che ho dato alla lotta al contrabbando.

1979, Napoli.

Due distinti signori passeggiano sul lungomare.

– Come facciamo, allora, per eliminarlo?

L’uomo che fa la domanda è il prefetto di Napoli Domenico Amari, aristocratico gentiluomo di Selinunte. L’altro sono io.

Il dottor Amari si è rivolto a me per avere suggerimenti su come arginare il contrabbando. Sa che, tra sport acquatici e circoli velici, ho sviluppato una competenza che forse potrebbe essergli di aiuto.

I contrabbandieri sono ben organizzati. Usano scafi velocissimi e leggeri, dipinti di blu (colore che, non riflettendo la luce, li rende invisibili durante le spedizioni notturne) e dotati di serbatoi sottodimensionati, per non togliere spazio alle casse di sigarette. Ogni sera si spingono fuori dalle acque territoriali, raggiungono la nave “madre”, caricano al volo e rientrano a tutta velocità, avvicinandosi alla costa in punti prestabiliti.

Un nastro trasportatore di mani trasferisce la merce dentro automobili dal motore truccato, a volte private dei sedili posteriori per aumentarne la capienza. Al rientro nelle acque territoriali, gli scafi blu trovano spesso ad aspettarli i motoscafi della Guardia di Finanza. Folle di spettatori si radunano al parco della Rimembranza per assistere agli spettacolari inseguimenti. Raramente, però, i finanzieri riescono ad avere la meglio sui veloci e spericolati motoscafi dei contrabbandieri. Al prefetto mi permetto di dare due suggerimenti.

Borgo Marinari è pieno di casupole, usate dai contrabbandieri come deposito di motori e carburante.

– Bruciate tutto! Facendo in modo, però, che sembri accidentale.

Gli scafi blu a volte si infilano sotto un ponticello a pochi metri da Castel dell’Ovo, talmente basso da risultare inaccessibile ai motoscafi della Guardia di Finanza.

– Sotto quel ponticello, piazzateci tre pali!

Nei mesi successivi Sua Eccellenza Amari mette in atto i due suggerimenti che gli ho dato, infliggendo un duro colpo al contrabbando.

1996, Napoli. Due distinti signori passeggiano tra le banchine del porto.

– Tu sei un pazzo! Una sfida del genere non l’avrebbe accettata nessuno!

L’uomo che mi dà del pazzo è Antonio Bassolino, sindaco di Napoli. Sono riuscito nell’impresa impossibile di farmi affidare la gestione del traffico marittimo del porto di Napoli nelle quattro settimane tra luglio e agosto. In un periodo, cioè, in cui è massima la frequenza di traghetti e di aliscafi.

Ho potuto quindi organizzare nella mia città la Cutty Sark Race, una delle regate più prestigiose al mondo. Cutty Sark è il nome di uno storico trialbero inglese, impiegato per il commercio di lana e tè sulla rotta delle Indie. In inglese vuol dire “sottoveste”, come quella indossata dalla polena che decora la prua della storica imbarcazione.

Oltre cinquanta antichi velieri, tra cui la nave scuola italiana Amerigo Vespucci, sono arrivati da tutto il mondo per partecipare a questa straordinaria manifestazione.

Per l’occasione reti e cancelli che rendevano inaccessibili alcune aree del porto di Napoli sono stati provvisoriamente rimossi, unendo – in una sola passeggiata – Calata Piliero e Molo Beverello. Migliaia di napoletani si sono, così, riappropriati di uno spazio fino ad allora riservato alle attività militari.

I più grandi porti d’Europa sono, da sempre, aperti al pubblico. È assurdo che quello di Napoli rappresenti un’eccezione. La mia paura è che, archiviata la Cutty Sark Race, quei cancelli possano tornare al loro posto.

– Guarda che spettacolo! La gente che passeggia… le famiglie coi bambini… e mo tu vorresti richiudere tutto? – domando a Bassolino.

– No Pippo, stai tranquillo! Il porto non lo richiudiamo più. Te lo prometto! Il sindaco è stato di parola e io sono felice perché se il porto di Napoli è tornato ai napoletani un po’ del merito, in fin dei conti, è pure mio.


Pippo Dalla Vecchia ha 90 anni e vive a Napoli con la moglie, in una bellissima casa che domina il golfo.

Da quando armi e droga hanno definitivamente preso il posto delle sigarette, non ha mai più voluto avere a che fare con i contrabbandieri.

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