Cara Giulia,

ho appena iniziato l’università. È un passo importante per me e uno strumento che, se usato bene, mi permetterà di avverare i miei desideri. Ho 18 anni, ma vorrei essere la Mila di 15 anni, che riesce a fare tutto come un supereroe, apprende velocemente, si allena a tennis e gioca i tornei. La quarantena mi ha portato via tutto: la concentrazione, la disciplina, la voglia e molto altro dal punto di vista familiare. La dipendenza tecnologica mi ha imprigionato e ho perso i miei hobby, tra cui leggere e scrivere. Solo da poco ho ripreso a fare quello che mi piace veramente, ho preso più consapevolezza della mia vita e non sono più schiava dei social. Penso di essere fortunata, perché non tutti si accorgono di esserlo.

Ho paura di affrontare il nuovo ed emozionante percorso che mi aspetta e ho paura che le mie capacità siano perse, soprattutto in una società dove l’errore (di conseguenza la gioventù) viene condannata come se fosse una colpa.

Mila

Cara Mila,

Si calmi chi può. Avere paura dei cambiamenti è perfettamente normale, soprattutto alla tua età, così come è comprensibile sentirsi un po’ persi dopo un periodo come quello che abbiamo passato.

Siamo usciti tutti un po’ frullati da quest’ultimo anno e mezzo e non devi certo fartene una colpa. Applichiamo la sospensione del giudizio per le persone che siamo state in questi mesi: quelle larve in tuta non siamo noi, rinneghiamole e andiamo avanti. Ora che ci troviamo a uscire dal letargo (scusa il turbine di metafore faunistiche, sono stanca anch’io) siamo un po’ intorpiditi. Prenditi il tempo che ti serve per riattivare la circolazione, nessuno ti chiede di ripartire carica a pallettoni. Sgranchisciti, stiracchiati, fatti un cappuccino.

I miei due centesimi sulla questione sono che non potrebbero pagarmi abbastanza per avere di nuovo 15 anni e che essere un supereroe può essere molto faticoso: non sono sicura che sia qualcosa a cui aspirare (ma posso solo immaginare come ci si senta a fare tante cose insieme, alla tua età tiravo a sbattermi il minimo indispensabile, e comunque non è che adesso lavori in miniera). Hai perfettamente ragione, la nostra è un’epoca in cui si tende ad essere sempre più ossessionati dalle proprie performance – in amore, nella carriera, sui social – e a volte finiamo per dimenticarci cosa ci rende felici, o quantomeno non infelici. Tu sei molto giovane, ma mi sembri una con le idee chiare, il che vuol dire che sei già a metà dell’opera.

Datti tempo e non idealizzare troppo il futuro perché quella è la garanzia che ne rimarrai delusa. Le capacità che hai acquisito fino ad oggi e che adesso temi di aver perso non sono niente in confronto alle cose che ancora devi imparare. Cambierai idee, farai degli errori. È esattamente a questo che servono i vent’anni.

Cara Giulia,

Ho 34 anni e a questo punto tutti i miei amici, tranne due, si sono sposati o fidanzati, e alcuni hanno avuto dei figli o stanno per averne. Io sono stata single per la maggior parte della mia vita e anche se a volte mi dà fastidio, sono abbastanza orgogliosa di ciò che ho realizzato da sola, delle cose che ho imparato e che mi sono costruita. Ho creato una vita mia in una grande città, ho viaggiato, ho conosciuto tanti uomini più o meno interessanti, ho un appartamento, una carriera e tanti amici.

Ma mentre molti di questi amici si sistemano nella vita di coppia, mi sento come se mi stessi perdendo quelle grandi pietre miliari dell’esistenza che tutti gli altri stanno raggiungendo. Mi sento lasciata indietro, come se le cose stessero cambiando per tutti tranne che per me. Avranno sempre meno tempo da dedicarmi, il che è naturale – ora hanno altre cose di cui preoccuparsi, non si fanno le 4 del mattino a bere e ridere quando si hanno dei figli – ma io avrò la stessa quantità di tempo per loro. Mi chiedono di uscire sempre di meno, è come se avessero rinunciato a me, e io sono qui, stagnante, nello stesso posto in cui sono sempre stata negli ultimi dieci anni. Come posso non sentirmi lasciata indietro quando tutti intorno a me vanno avanti?

C.

Cara C.,

A parte formare un fronte unitissimo con quei due amici ancora celibi, non c’è molto che tu possa fare. Ci sono persone che ritengono di doversi accoppiare finché morte non le separi, «come i piccioni e i cattolici» diceva Woody Allen in Manhattan, altre che passano la vita a dormire a pelle di leone in un letto matrimoniale e stanno benone così. Non funzioniamo tutti nello stesso modo: «Io funziono con le tagliatelle al ragù» mi ha detto una volta una persona cara e molto saggia. Per questo motivo non hai motivo di sentirti indietro. Indietro rispetto a cosa? Le scelte tue e dei tuoi amici procedono su binari paralleli, in contemporanea. Dovrai trovare il modo di intercettarli ogni tanto, e potrebbe essere difficile: lo so persino io che le rette parallele non si incontrano mai. Ma magari tu non sei proprio parallela. Magari sei un po’ inclinata a sinistra, e a quel punto potresti proporre tu qualcosa da fare ai tuoi amici invece che aspettare che ti cerchino loro (chiedo scusa a nome di tutte le persone fidanzate: a volte ci pesa il culo).

Non so bene come si corregga questa cosa. Vorrei tanto convincere sia me sia te che si può mantenere tutto in equilibrio perfetto, perché da persona irrimediabilmente votata alla vita di coppia non mi piace pensare che sposarsi o mettere su famiglia comporti necessariamente dei sacrifici, però in tutta onestà non so come si fa se non incastrandosi alla bell’e meglio e ricordandosi sempre che siamo individui prima di ogni altra cosa. Mi rendo conto che è una risposta insoddisfacente, forse non è neanche una risposta, quindi per compensare la mia inadempienza vorrei lasciarti con un inno alla singlitudine, un brano da Lo scrittore fantasma di Philip Roth (così con Woody Allen abbiamo citato tutti gli uomini ebrei a rischio scomunica): «Vivo da solo, non c’è nessuno di cui io sia responsabile, a cui debba rispondere di quello che faccio o con cui debba passare il tempo. Decido io i miei orari. Di solito scrivo tutto il giorno, ma se voglio tornare nel mio studio la sera, dopo cena, posso farlo: non sono costretto a star seduto in salotto perché qualcun altro ha passato la giornata da solo. Non devo star seduto a far conversazione cercando di essere brillante. Se mi sveglio alle due di notte e mi viene in mente un’idea, accendo la luce e scrivo in camera da letto. Lavoro, sono sempre reperibile. Sono come un medico di un reparto d’urgenza. E sono anche il caso urgente».

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