Non si sa chi come e quando colpirà: il pericolo incombe su tutti senza fare distinzioni né di censo né di genere. Per difendersi non resta altro da fare che barricarsi in casa. Si vive nell’incertezza, nell’attesa, nella paura. Alla lunga lo scontento divide la comunità, mette gli esclusi contro i privilegiati. Intanto i militari sorvegliano i confini e vigilano sui comportamenti dei cittadini.

Non è una cronaca dalla zona rossa: era così che vivevano le città della Grecia antica quando erano alle prese con un assedio. Un assedio non è una battaglia come le altre: non ci sono contatti tra i due schieramenti. Gli eserciti sono separati da un muro. Il mondo è diviso in due: chi è sotto assedio e chi assedia.

Le mura della città servono a proteggere gli assediati; allo stesso tempo sono un’ammissione di debolezza: una parte riconosce la propria inferiorità in campo aperto e capisce che la cosa migliore da fare è nascondersi. Una situazione bellica particolare.

A differenza della guerra, di solito riservata ai militari, all’assedio partecipano tutti, anche donne, vecchi, schiavi. Non valgono le regole e le virtù tipiche della guerra, non conta solo la forza fisica.

Come si sopravvive?

Ce lo chiediamo oggi, a metà del quarto secolo avanti Cristo rispondeva uno stratego originario di una piccola città nel nord della regione dell’Arcadia, nel Peloponneso, conosciuto come Enea Tattico, che ha scritto il primo manuale militare della storia greca: La difesa di una città assediata (Poliorketika in greco).

La sua è una raccolta di stratagemmi per evitare la disfatta. La fine di un assedio può essere più violenta di una guerra tradizionale. Gli assediati erano uniti nel terrore di un eventuale ingresso degli assedianti, delle inevitabili efferatezze che sarebbero seguite alla conquista. Giuravano addirittura di uccidersi a vicenda pur di non morire per mano altrui, un suicidio collettivo che avrebbe coinvolto anche donne e bambini.

Lo so, noi non siamo letteralmente sotto assedio e nella zona rossa non siamo certo a quel punto, eppure ci comportiamo come se dovessimo resistere a un attacco di questo tipo – anche se le cose non stanno così – e la paura è forse l’unica cosa che ci unisce.

La mossa del cavallo

Come se ne esce quindi? Il caso più celebre è quello di Troia, con la soluzione più brillante, la mossa del cavallo. Ma tra i modi in cui una città assediata può cadere ce n’è uno particolarmente frequente e auspicato dagli assedianti: il tradimento di uno degli abitanti, qualcuno che dall’interno apra le porte al nemico.

Enea Tattico era ossessionato dal tradimento. Una preoccupazione che può suonare paradossale: il nemico è all’esterno ma il primo pericolo da cui proteggersi si troverebbe all’interno delle mura della città. Anche questo potrebbe suonarci familiare: per quanto ci chiudiamo per proteggerci dall’esterno sappiamo che il nemico che dovremmo combattere è tra noi.

Enea analizza questa condizione di sfiducia diffusa, la chiama ipopsia, sospetto. Una situazione politica in cui alcune fazioni di cittadini potrebbero intraprendere azioni violente nei confronti degli altri.

Enea è un militare e considera sempre le cose dal punto di vista di chi ha il potere, la sua preoccupazione principale è un possibile golpe. Per questo durante un assedio, quando i cittadini sono sospettosi gli uni degli altri, Enea suggerisce di potenziare la sorveglianza: «In una città dove non regna la concordia e i cittadini vivono nel reciproco sospetto, bisogna preoccuparsi di controllare con attenzione le folle». Gli assembramenti sono pericolosi «poiché in queste occasioni una fazione può attaccare l’altra».

L’affidabilità delle persone

Perché anche di fronte al pericolo la comunità non è coesa? La risposta di Enea Tattico non prende in considerazione fattori psicologici o ideologici: per la sicurezza della città l’unica cosa che conta è la condizione economica e la posizione sociale di un individuo.

L’affidabilità di una persona è direttamente proporzionale a quanto ha da perdere in caso di sconfitta. I cittadini più affidabili per i governanti sono quelli che hanno più da perdere, quelli più pericolosi quelli che hanno poco o niente da perdere.

In una prova estrema come questa emergono fragilità e tensioni, viene alla luce con chiarezza la struttura sociale della città. Scrive lo storico Marco Bettalli – autore dell’unica traduzione italiana dei Poliorketica – nel saggio Un mondo di ferro. Le guerre nell’antichità(Laterza): «Quella che si presenta ai nostri occhi è una società scarsamente coesa, attraversata da forti spaccature tra ricchi e poveri, tra chi era al potere e chi ne era escluso, ma non si rassegnava certo al ruolo di tranquillo oppositore».

La concordia sembra impossibile. Non c’è nessun bene comune da tutelare e difendere, ciascuno tiene alla propria fazione. Come scriveva Platone nella Repubblica: «Le città sono due, tra loro nemiche: la città dei poveri e quella dei ricchi». Poveri e ricchi «abitano lo stesso luogo e si tendono continuamente reciproche insidie».

Evitare che la rabbia esploda

«In primo luogo, è opportuno accertarsi se fra i cittadini ci sia comunanza di intenti: durante un assedio, è questo il bene più prezioso», scrive l’autore della Difesa di una città assediata. Il militare ha una precisa teoria della fiducia (lo ha mostrato bene Steven Johnstone, autore di A History of Trust in Ancient Greece, Chicago University Press).

Enea Tattico non crede possano esistere reti di relazioni tra cittadini. Anzi, è convinto che queste relazioni siano pericolose e possono portare alla slealtà o al tradimento. A questo scopo caldeggia un vero e proprio sistema di sorveglianza: per stare sicuri i cittadini devono essere isolati e atomizzati, va scoraggiato qualsiasi tentativo di costruire una società integrata.

L’unica cosa che conta è la difesa del proprio interesse, solo su questa base si può costruire un consenso che garantisca la stabilità del potere. Per salvare la città Enea è disposto a sacrificare le relazioni sociali. È un prezzo che siamo disposti a pagare? Sembrerebbe di sì.

Rimane il problema di come risolvere le tensioni interne. E qui questo stratego freddo e conservatore, interessato solo al mantenimento dello status quo, arriva a proporre soluzioni sorprendenti che oggi appaiono addirittura progressiste. Proprio perché è convinto che la fiducia sia sempre un problema di interessi, Enea Tattico riconosce che in circostanze eccezionali la cosa da fare sia ridurre gli interessi sui debiti o, in caso di crisi estrema, cancellare tutti i debiti e provvedere alle necessità dei più poveri.

Nelle sue parole: «La massa dei cittadini deve essere sospinta il più possibile verso la concordia, con una serie di misure, quali, dapprima, la riduzione o la cancellazione totale degli interessi sui debiti contratti. In situazioni particolarmente gravi, poi, si potrà procedere all’abolizione di una parte dei debiti stessi, o di tutti, se necessario».

E conclude: «Bisogna anche procurare dei mezzi a coloro che mancano del necessario per vivere». Quasi 2.400 anni dopo si potrebbe ripartire da qui.

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