E così, del tutto inaspettatamente, il 20 luglio di questa estate appena finita, un’estate in cui avevo veramente voglia di divertirmi, cioè di non far niente di speciale, e soprattutto di non dover far niente, con orizzonti temporali di una lunghezza massima di cinque minuti, ecco che io mi alzavo dal letto con una specie di dolore tipo torcicollo all’altezza della spalla, dal lato sinistro della colonna vertebrale.

Precedentemente, a partire dalla metà di aprile, avevo avuto, per la prima volta nella mia vita dopo ventidue anni che faccio quel lavoro, il desiderio che la scuola finisse presto. Normalmente, fino al giorno in cui la scuola finisce, io non ci faccio neanche caso a che vado a scuola, cioè a lavorare, anche se poi, dal giorno dopo che la scuola è finita, sono contentissimo di non tornarci dentro fino a settembre. E questo forse era una specie di sintomo di qualcosa, anche se da me completamente inascoltato. Un anno di parziale galera casalinga causa Covid mi aveva stufato, e mi aveva fatto fare una vita meno dinamica e meno a spasso del solito. Meno movimento. Meno fuori di casa. Quindi, per non si sa quanti mesi, mi ero dovuto fare una vita più di casa, anche se non sempre in casa.

Lutto famigliare

Poi finalmente la scuola finiva e mi sentivo così lanciato verso lo splendore delle giornate lunghe e senza obbligo, quando, nel momento in cui iniziavo finalmente a tirare un po’ il fiato, e a prendere un po’ di slargo nella vita, venivo all’improvviso colpito da un grave lutto famigliare.

Si trattava di un incidente, cioè di un investimento, cosa che dava luogo, causa necessari accertamenti da parte della magistratura, a un funerale lunghissimo, che non finiva più. Come chiunque sia pratico di lutti ormai saprà, in ogni lutto arriva quel momento in cui, dopo alcuni giorni che la persona in causa è morta, i suoi cari a un certo punto sono contenti di infilarla in una tomba e chiuderla dietro un muro perché in qualsiasi fase della nostra esistenza abbiamo bisogno di una qualche scadenza, e invece il funerale di mia cugina tra domeniche, accertamenti della magistratura, cremazione in un posto e sepoltura in un altro, era riuscito a durare una decina di giorni. Tutto era terminato il 5 luglio, quando le sue ceneri erano state finalmente infilate in una tomba. Il giorno dopo, 6 luglio, mi ero dovuto smaltire in qualche modo il mio compleanno, visto che il 6 luglio è il mio compleanno. Ma ce l’avevo fatta.

Formicolii

E quindi, verso il 7 e 8 luglio, mi sentivo di nuovo pronto a riprendere con l’estate e il desiderio di non dover far niente di prestabilito fino ad almeno il 30 agosto. E l’estate ripartiva e cercavo di riproiettarmi al più presto nello slargo. Ma ecco che il 20 luglio, come detto sopra, già mi alzo con questa fastidiosa sensazione di torcicollo, e subito mi ero detto «passerà, in due giorni passerà», e di questo torcicollo non ci avevo fatto niente se non pensare «se fra tre giorni non passa telefono al medico». E così niente avevo fatto, se non stare a sentire che questa specie di torcicollo forse non era un torcicollo, e che invece di attenuarsi cresceva.

Tra l’altro pochi giorni dopo, ma eravamo ancora all’inizio, mi ero alzato con una fortissima sensazione di formicolio che arrivava fino alla mano sinistra, cosa che mi ricordavo bene perché ero andato avanti a dire – cazzo se mi si è informicolata la mano sinistra, che sia un infarto? – e, mentre un mio amico rideva, una mia amica mi diceva «invece di fare il cretino, non puoi telefonare al medico? Se no gli telefono io». E io dicevo «domani, se non sono ancora morto, giuro che telefono». Infatti il giorno dopo avevo telefonato, e il medico mi aveva chiesto che cosa avevo in casa come antiinfiammatorio, io gli avevo detto l’Aulin e avevo detto «cosa faccio, prendo due Aulin al giorno?», lei mi aveva detto «ma sì, fra tre giorni, se non ti è passato, vediamo di provare qualcosa di più forte».

Però la cosa del formicolio costante di anulare e mignolo della mano sinistra non l’avevo detta al medico perché, anche se volevo dirgliela, alla fine la telefonata si era evoluta in un modo che mi ero scordato di dirla. E per farla breve, questo formicolio di mignolo e anulare della mano sinistra sarebbe stato il sintomo chiave, perché in una delle telefonate seguenti il mio medico mi avrebbe detto «ma non hai quel tuo amico fisioterapista e osteopata? Probabilmente è lui la persona adatta finché non facciamo una risonanza magnetica», e io avevo detto «sì, Lalo. Adesso gli telefono», e avevo telefonato a Lalo e gli avevo detto che mi sembrava di avere un punteruolo piantato al centro della spalla sinistra, con il male che si irradiava per tutto il braccio e arrivava fino alla mano, e che era ormai da giorni e giorni che avevo un formicolio costante, che non si era mai fermato, ad anulare e mignolo della mano sinistra, Lalo mi aveva detto «allora hai qualche casino in C7 che ti irrita il nervo, sarà una piccola ernia». Io gli avevo detto «cosa faccio, torno a Modena e vengo da te?», (perché io nel frattempo il 27 luglio ero andato in una casa che possiedo sull’appennino bolognese), e Lalo mi aveva detto «non pensarci neanche, perché se guidi a venire giù, poi riguidi a tornare su, anche se sul momento non ci fai caso, ti subisci tante di quelle vibrazioni e tanta tensione che nei prossimi giorni fai dei salti dal male», poi mi aveva detto «vengo io a trovarti il 14 di agosto».

Come si legge?

Ma la cosa più bella era che Lalo, quando gli avevo chiesto come dovevo comportarmi, mi aveva detto di non usare mai il portatile e di non leggere, a meno che non riuscissi a sistemare il libro ad altezza occhi. Mi aveva detto che o trovavo un leggìo, che lui aveva preso subito per il figlio, ma non erano mica facili da trovare, oppure leggere nelle tipiche pose come leggevo io, stando a letto tre ore di seguito con la testa ad angolo retto e il libro appoggiato sulla pancia, quella era di sicuro la cosa micidiale nonché causa profonda di questa cervicobrachialgia, così si chiamava, che mi stava massacrando.

Alla mattina mi alzavo, e a tirarmi su dal letto la fitta partiva a smartellarmi, e scendevo in cucina per mettermi su il caffè, e lì mi ricordo che mentre riavvitavo la moca mi partiva questa fitta acuminata che era tale che appena acceso il fornello dovevo scappare a sedermi momentaneamente su questa poltrona che, con un cuscino sistemato sotto la scapola sinistra, mi diventava l’unica cosa tollerabile che avevo a disposizione per non soffrire come un cane. Appena il caffè veniva su correvo a spegnerlo e metterlo nella tazza, con questi gesti di corsa, come se mi inseguisse un cane feroce, poi ritornavo a berlo in questa poltrona, che mi sembrava la salvezza. Era come se uno cercasse di scappare dal male, come se il male fosse uno che ti insegue e se riesce a toccarti muori, e quella poltrona invece avesse intorno un cerchio che lui non può oltrepassare. Avevo anche identificato una seggiola da giardino di quelle di plastica bianca stando sulla quale non provavo un dolore intollerabile. Questa delle seggiole era una situazione strana, perché erano di tre varietà diverse, ma da vedere quasi uguali, ma un tipo mi era tollerabile mentre gli altri due mi procuravano un fastidio quasi immediato che in poco tempo si trasformava nella fitta a punteruolo.

L’unica fortuna che avevo era che riuscivo a dormire, infatti tutti mi chiedevano «ma ci riesci a dormire?», e io rispondevo «benissimo, è l’unica cosa che riesco a fare dormire», dormivo di tre quarti, proprio sulla spalla che mi faceva male, ed era l’unico momento in cui, a dormirci sopra, non mi faceva male. Se per caso dormendo mi giravo sull’altra spalla, mi svegliavo subito dal male, ma tre secondi dopo mi rimettevo sulla spalla giusta e dormivo di nuovo.

A partire dal 2 agosto iniziavo a prendere un antidolorifico più forte, un oppiaceo, così mi era stato qualificato dal medico. L’oppiaceo, il primo oppiaceo di cui facevo uso nella vita, mi aveva deluso: il dolore non calava tanto e io non avevo avuto il minimo accesso a visioni di altri mondi remoti. Nel frattempo era venuto a trovarmi anche Davide Prati, ex tennista e attuale ingegnere e grande esperto di problemi di cervicale, a causa dei quali per tre anni non aveva potuto toccare una racchetta da tennis, che appena mi aveva visto si era messo a ridere, aveva infatti subito notato che la testa mi stava costantemente piegata in avanti e inclinava leggermente verso destra in modo stabile. «Stai diventando come Giorgio», mi aveva detto, «Giorgio chi?», gli avevo detto io. «Giorgio, il barista di Pierino, il mago dello spritz».

Comunque anche Davide, appena gli avevo detto dei formicolii delle dita, mi aveva detto «o C6 o C7», non mi ricordo più, perché un nervo fa due dita e l’altro nervo le altre dita. Comunque anche Davide confermava che il portatile bisognava che per un po’ lo lasciassi perdere e anche per leggere, bisognava che io mi procurassi un leggìo, perché d’ora in avanti bisognava che io leggessi cose posizionate esattamente davanti alla mia faccia, e alla domanda davanti alla mia faccia come? Davide aveva risposto che se io per esempio mi fossi sdraiato a leggere a letto, come ho sempre fatto negli ultimi vent’anni, se immaginavamo di tirare una linea retta che attraversava la mia schiena, la linea che invece avremmo fatto passare tra un ipotetico libro che io tenevo in mano e i miei occhi che lo stavano leggendo dovevano fare tra di loro un angolo esatto di novanta gradi (cioè dovevo avere il libro davanti alla faccia e non appoggiato alla pancia).

Come in farmacia

Ma adesso, lasciando perdere le varie tappe di sviluppo della mia cervicobrachialgia, l’altra cosa che ogni tanto mi faceva stupore, ma anche che mi dava da pensare, è che alla sera passava davanti a casa mia Massimo, un mio amico muratore che, nonostante sia di cinque anni più giovane di me, era già da una ventina d’anni che soffriva di mal di schiena bestiali, e veniva a vedere come stavo e che medicine mi davano, cioè per esempio a inizio agosto Aulin, cerotto Dicloreum e Palexia 50, e Massimo faceva i suoi commenti, cioè che non gli sembrava una gran roba. Poi dal 10 agosto, Davide mi aveva portato al pronto soccorso di Porretta, perché diceva che gli dava troppo fastidio vedermi messo così, e lì non mi avevano fatto una flebo di anestetico potente, come Davide sperava, ma mi avevano ordinato di fare delle punture di cortisone, Bentelan. E la sera era di nuovo passato Massimo che m’aveva detto «E c’gnosso e Bentelan, a n’no tolt dal camionedi». Perché Massimo aveva avuto questi problemi tra lombari e osso sacro che gli avevano prodotto questi lunghi periodi, anche di mesi, di dolori acuminati, che andavano e tornavano, e che si erano parzialmente risolti con una grossa operazione all’anca.

A partire dal primo settembre, avevano iniziato a darmi Voltaren più Muscoril più lidocaina più pantoprazolo come gastroprotettore, e lì Massimo aveva detto che un po’ si iniziava a ragionare. Quelli qualcosa facevano. Io gli avevo detto che ormai poteva andare a lavorare in una farmacia, anche perché se gli chiedevo «cos’è un miorilassante?», Massimo diceva «il muscoril, c’hai il muscolo contratto, che è diventato come un sasso, il muscoril, a suon di punture, te lo fa tornare morbido. È vent’anni che prendo sta roba. Ormai la so tutta».

E comunque Massimo a un certo punto, ed era un po’ che ci pensavo anch’io, avevamo pensato esattamente la stessa cosa, ma io non l’avevo detta mentre Massimo un bel momento l’ha detta, cioè aveva detto «questa è una cosa singolare da capire, ma proprio singolare, ma si vede che doveva andar così, perché io mi son scassato la schiena a spostare dei sacchi di cemento e dei mattoni, e te ti sei scassato la schiena a legger dei libri, e questo invece non l’avrei mai detto». «E invece va così» gli avevo detto, «lo vedo che è andata così, ma proprio non l’avrei mai detto, che un libro sembra che pesi meno di un sacco di cemento. È la postura», avevo detto io, «sarà anche la postura, e qualcosa sarà stato, perché ormai è un mese che sei storto», aveva detto Massimo. Infatti i lavori ormai sono strutturati in un modo che o ti scassi le lombari, o ti scassi le lombo-sacrali, o ti scassi le cervicali. Io e Davide le cervicali, Massimo le lombari. Ci sarà qualche lavoro, ma non erano i nostri, in cui ti scassi le dorsali.

Giochi e poltrona magica

La mia situazione ormai, rispetto alla lama di dolore nel centro della spalla, si era evoluta così: a partire da ferragosto alternavo letto e poltrona magica. Non osavo più provare a stare in piedi. Anche a mangiare stavo nella poltrona magica e non sulla seggiola che in neanche due minuti mi procurava la fitta. Provavo a leggere, ma cercando di tenere i libri il più possibile sopra la faccia, avevo una resistenza ridotta. Anche Nord, di Céline, me l’ero portato dietro perché avevo pensato st’estate mi leggo un po’ di Céline, mi piaceva, ma era troppo pesante, dopo dieci o quindici pagine non ce la facevo più. Avevo anche un altro libro su come pensano le foreste, ero verso la metà quando mi era partita la fitta, e anche di quello sarò riuscito a leggere altre cinquanta pagine, ma era troppo peso. I libri erano diventati troppo pesanti. Dopo un po’ ce li avevo di nuovo sulla pancia col cuscino ripiegato in due sotto la nuca, automatismo micidiale. Ma mi dicevo subito è meglio di no, che non ci salto più fuori.

Cos’è quindi che mi ha salvato l’estate? È che da circa dieci anni ammucchiavo le Settimane enigmistiche in un angolo della stanza, perché mi era già successo che prima facevo soltanto dei giochi, poi avevo imparato dei nuovi giochi, poi degli altri nuovi giochi, e appena imparavo i giochi nuovi mi dicevo per fortuna che non ho buttato via le vecchie che quei giochi lì non li avevo fatti, e insomma, avevo almeno un centinaio di settimane enigmistiche impilate nell’angolo della stanza, che tutti mi dicevano «quand’è che le butti via?», e io dicevo «quando le ho finite». La settimana enigmistica è molto più leggera di un libro. Gli Incroci obbligati e le sinfonie di parole crociate mi hanno salvato la pelle. Per fortuna che non butto via niente.

Anche tre giorni fa, dalla fisiatra, a fare mesoterapia, le ho detto che a provare a passeggiare, dopo meno di trecento metri avevo già sto punteruolo nella spalla, che martellava, tanto che vedendo una panchina, subito mi ero seduto cinque minuti per tirare il fiato. Poi ero tornato a casa. La fisiatra mi aveva detto che passeggiare non era l’ideale. Mi aveva detto «lei deve fare quello che fa di solito, e appena sente che riparte il dolore deve fermarsi a far calmare il dolore». «Ma io di solito o leggo o scrivo o vado a spasso. Leggere è meglio di no, scrivere è meglio di no, provavo a passeggiare». «Senta, per un po’ deve inventarsi qualcos’altro». Mi inventerò qualcos’altro e tutti i giovedì corro a comprarmi la Settimana enigmistica che è una buona mediazione. Poi vedremo come andrà.

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