Queste righe non sono per voi, quest’inchiostro non vi riguarda. Vi vedo arrivare al portone calpestando neve soffice, quella da guardare controluce ai lampioni, vi sento suonare uno di quei citofoni che fanno dlin dlon dlan, con la famiglia già in salotto a ciacolare con un bicchiere di spumante in offerta, e la zia arriva sciabattando ad aprirvi la porta e il golden retriever vi corre incontro slappandovi il mento infreddolito.

Voi siete lì, panettone in mano, a stropicciarvi gli occhi davanti a quel bengodi apparso sul tavolo come per magia e, sedendovi, vi versate il fondo dello spumante in offerta e date inizio alle danze. Queste righe non sono per voi.
Non sono nemmeno per loro, l’altra parte della barricata, se la barricata è il cumulo di buste della spesa che cingono l’ingresso della cucina come se bisognasse proteggersi da un’alluvione, o da un lungo assedio. Non sono per i maghi dei fornelli, per i Cracco mancati, per le pizie del focolare e per le nonne, per gli eredi dei loro dettami e di una tradizione che si trasmette immutabile da sempre, di dicembre in dicembre; non per chi ha le idee chiare, non per chi ha già le lasagne in freezer, non per loro.

Quelli a cui mi rivolgo sono gli abitanti della terra di mezzo. Quelli che per Natale si trovano a doversi mettere davanti ai fornelli, oppure lo vorrebbero fare senza però saper da che parte cominciare o, pur sapendolo, non avranno idee e le cercheranno altrove: su Instagram, su GialloZafferano, su TikTok, sui libri di cucina, nei programmi di cucina, dai vicini di casa, da uno sconosciuto al supermercato. 

Per loro, per guidarli su questa strada irta di ricette disastrose e di spese inutili, ecco una lista delle dieci cose da non cucinare, o portare in tavola, questo Natale, dall’antipasto al dessert.

Burrata e alici del Cantabrico

Basta, davvero. La burrata è buonissima, le alici del Cantabrico unte e carnose. Ma entrambe sono la lingua franca dell’aspirante connaisseur che, in realtà, il mar Cantabrico non sa nemmeno dove stia, e se sapesse quanta vituperata panna contiene l’ottimo latticino lo scaglierebbe contro al muro come un palloncino ferragostano. Sono su tutti i menù, nemmeno fossero refusi di battitura tipo “spek” o “wiuster”, più omologanti di una cintura del Charro nel 1988. Va bene che Natale fa rima con banale, ma possiamo andare oltre.

L’albero di mozzarelline e pizza

Precisamente, quello della blogger Gessica Runcio, @lericettedigessica su Instagram, che solo sul social ha totalizzato (alla data in cui scrivo) più di tredici milioni di visualizzazioni e 5.000 commenti, numeri da record. Tante piccole mozzarelline avvolte in pasta di pizza, disposte a forma d’abete e poi infornate. Sulla carta, facilissimo e di grande effetto. Ma, a giudicare dal numero di disastri riportati dal popolare gruppo Facebook “cucinaremale”, ad altissimo grado di fallibilità. Le mozzarelle esplodono, la pizza resta cruda, e più che alberi sembrano cumuli di umida torba scozzese. L’idea in realtà è carina, ma magari provatelo prima di trovarvi a cercare un delivery il 24 sera alle otto e un quarto.

Il salmone affumicato da due euro

Un recente articolo di Öko-Test, rivista tedesca che analizza prodotti di vario genere, afferma che su venti differenti marchi di salmone affumicato testati solo sei raggiungono la sufficienza secondo vari parametri tra cui gusto, consistenza, ecologia e anche presenza di corpi indesiderati nei campioni (come i nematodi, piccoli vermetti morti e invisibili). Esistono ottimi salmoni allevati e non ma, c’è bisogno che ve lo dica?, non costano due euro alla busta.

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I tortellini

Dall’ecologia al lavoro minorile, per restare su temi scottanti. I tortellini sono il simbolo delle case in cui i bambini vengono sottomessi dal giorno in cui cominciano le vacanze di Natale alle ore 11:00 del 25. Le loro piccole manine, le loro dita affusolate sono manna dal cielo per la produzione industriale di tortellini, anolini, marubini e affini. È inutile che poi boicottiate i marchi di palloni da calcio, se questo è il vostro rispetto per i diritti dell’infanzia.

Il risotto

Attenti, è una sirena d’Ulisse. Ammalia, seduce cantando “una sola pentolaaaaa, non sporchi nienteeeeee” e allora l’incauto cuoco natalizio vi si avvicina con entusiasmo e come mille prima di lui vi si schianta naufragando. Il risotto vi incatenerà alla cucina per un tempo incalcolabile, mentre gli altri si divertono voi mescolate, mentre gli altri mangiano gli antipasti voi mescolate, mentre gli altri bevono voi bevete, ma mescolando. E poi alla fine, tra brodo e altri ingredienti, una pentola sarà l’unica stoviglia rimasta pulita a fine serata. Ottimo invece per sociopatici e odiatori di suocere.

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Il tacchino intero

Non fatevi prendere dall’americanofilia da postumi del giorno del Ringraziamento, il tacchino è una sòla. Intanto è enorme. La sua fotogenica dimensione inficia pesantemente la cottura uniforme, e quindi di solito se le cosce sono cotte, il petto è stopposo. Per ovviare a questo inghippo, di norma, lo si brina per giorni in un cassone di plastica pieno di salamoia, che andrebbe riposto in frigo. Occupa tutto il frigo. Per giorni. E poi, alla fine, il petto è comunque stopposo.

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Il capitone

L’anguilla è in via d’estinzione, è praticamente al gradino precedente la sparizione della specie. Se non bastasse, quello servito sottaceto (tradizionale al nord) puzza da morire, costa un potosì, e sembra un pesce preistorico in formalina. Da vivo, invece, è terribilmente difficile da acchiappare, a meno di non ricorrere a un cappello come insegna Monicelli in Parenti Serpenti. Poi però il cappello va buttato. Ma soprattutto, l’anguilla è in via d’estinzione. Direi che nel 2021 può bastare.

Il Soufflè

Lo scrivo in maiuscolo perché è il banco di prova di ogni aspirante chef, e questo perché è difficile. La sua ingegneria è basata principalmente sulla tenuta degli albumi montati a neve, ma anche sulla scorrevolezza delle pareti dei pirottini in cui viene infornato, sulla temperatura precisa del forno, sul timing preciso di cottura e di estrazione dal forno stesso. In poche parole, è una menata. Voi non siete Gordon Ramsay. E non è il caso di dimostrarlo proprio a Capodanno. Tagliate una fetta di panettone e a posto così.

Il panettone

Il finale del paragrafo precedente non è certo un invito ad autoprodurvi il lussuoso lievitato meneghino. Dovreste destreggiarvi con vari rinfreschi del lievito madre, impastare due volte, sviluppare una maglia glutinica inossidabile, pregare qualunque divinità vi venga in mente perché cresca in cottura. E lavorare tre giorni. Ormai anche la panetteria egiziana sotto casa produce un panettone premiato come “il migliorissimo di sempre”. Compratelo. Anche lì, volendo. Ma compratelo.

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La frutta secca

È frutta. È secca. Nessuno dei due termini trasmette allegria né spirito natalizio. Perché sommandoli dovrebbe andare diversamente?


Ricetta: la mia “non” pasta al forno

La mia “non” pasta al forno che invece sporca DAVVERO una sola teglia, è buonissima, resta umida a lungo, costa poco e piace a tutti.

Qui la ricetta:

Ingredienti per 4 persone
700 grammi di macinata mista manzo-maiale;
100 grammi di pancetta tritata;
3 cucchiai di concentrato di pomodoro;
2 cucchiai di salsa Worchestershire;
3 cucchiai olio Extra Vergine d’oliva;
1/2 cucchiaino di sale;
1 cucchiaino di pepe;
1/2 cucchiaino di peperoncino secco;
1 cipolla tritata finemente (anche al mixer);
1 carota (vedi sopra);
3 spicchi d’aglio (idem);
100 gr misto parmigiano e pecorino, grattugiati;
500 ml brodo (come c’è);
250 ml panna fresca;
300 gr pasta di semola formato grosso, tipo paccheri o pennoni;
100 gr provolone piccante a dadini;
Sale, pepe, prezzemolo e olio evo, quanto basta.

In una teglia capiente, 40x30, amalgamate con un cucchiaio di legno i primi undici ingredienti. Aggiungete metà del parmigiano e del pecorino e amalgamate bene il tutto, livellatelo omogeneamente e infornate a 250° per 25/30 minuti. La carne si ritirerà, sarà bella colorita in cima e lascerà un saporito sughetto sul fondo.

Tirate fuori la teglia dal forno e date una mescolata alla carne per spezzettarla come se fosse un ragù. Aggiungete alla teglia il brodo caldo, la panna e mescolate. Aggiungete la pasta cruda, cercando di farla restare sotto la superficie del sugo per quanto possibile (non ci resterà mai tutta): rimettete la teglia in forno e fate cuocere per altri 25 minuti a 200°, mescolando di nuovo a metà cottura.

Tirate fuori la teglia una terza volta, aggiungete dentro il provolone e il prezzemolo e date un’altra mescolata, quindi cospargete la superficie con il parmigiano e il pecorino restanti e rimettetela in forno, più vicina alla resistenza, finché il formaggio non comincerà ad abbrustolire e farà un po’ di crosticina. Spegnete il forno, lasciatelo a porta aperta, e ravvivate se serve quando è ora.

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