Ricostruire le biografie dell’emigrazione popolare italiana in Francia, durante il secondo conflitto mondiale, permette di rilevare l’importanza del tributo pagato dal mondo del lavoro italiano alla resistenza francese. L’impegno antifascista degli emigrati maturò negli anni Trenta, con la partecipazione alle lotte sindacali, alle manifestazioni, ai Comitati contro le guerre e all’associazionismo, favorì la loro integrazione nella società francese e continuò poi nella lotta contro nazisti, collaborazionisti e fascisti negli anni 1940-44.

Il coinvolgimento degli stranieri e degli italiani nella resistenza francese avvenne soprattutto tra le file della Main d’oeuvre immigré (Moi), il movimento nato negli anni Venti per iniziativa del sindacato e del partito comunista francese per organizzare le migliaia di emigrati di varie nazionalità. Tali gruppi della Moi ebbero sempre una certa autonomia organizzativa e politica.

La resistenza

Mentre l’accordo fra i vari movimenti resistenziali francesi fu possibile nel maggio del 43 col Comitè National de la Résistance, le azioni di protesta iniziarono a manifestarsi nella zona occupata fin dal 1940 e la Moi dall’estate dello stesso anno iniziò a riorganizzare i propri gruppi: polacchi, rumeni, ungheresi, molti dei quali ebrei, italiani e spagnoli, rifugiati tedeschi. La loro particolare condizione di emigrati, ebrei, antifascisti, irregolari, colpiti dalla repressione, li spinse a riorganizzarsi velocemente e a promuovere prime forme di resistenza contro l’occupazione tedesca.

Nella regione di Parigi la partecipazione italiana alla resistenza, durante i quattro lunghi anni di occupazione, fu eterogenea. Vi furono coloro che animarono una resistenza civile e che si armò solo al momento dell’insurrezione della città nell’agosto 1944. Furono lavoratici e lavoratori manuali costretti a riparare in Francia fin dal 1922 per motivi politici ed economici, mai stati iscritti ai partiti antifascisti in esilio, alcuni avevano aderito ai gruppi Moi del Pcf, il partito comunista francese, ma soprattutto al sindacato e all’associazionismo.

Si erano integrati a pieno nella società francese negli anni Trenta e al momento dell’occupazione parteciparono fin dal 1940 alle azioni di protesta. La resistenza armata della Moi ebbe come protagonisti i rivoluzionari di professione del Pci, il Partito comunista italiano, già responsabili dei gruppi Moi, con esperienza di vita clandestina e capacità militari acquisite in Spagna, che tornarono utili alla lotta armata durante l’occupazione.

Dopola caduta del fascismo

Con la caduta del fascismo, alcuni, su mandato del Pci, rientrarono in Italia per organizzare i Gap, i Gruppi di azione patriottica, nella resistenza italiana. Tra i combattenti della Moi troviamo inoltre emigrati di seconda generazione che entrarono nella resistenza anche per sfuggire alle deportazioni imposte dal Servizio di lavoro obbligatorio per la Germania (Sto).

Anche i quadri del Pci parteciparono alla resistenza. Agirono per conto del Centro estero del partito perseguendo due obiettivi: l’organizzazione della propaganda clandestina per l’emigrazione italiana, che fu stampata dall’agosto 1940, e la selezione di persone da inviare in Italia. Nei primi mesi del 1943 alcuni quadri fecero rientro in Italia per organizzare la resistenza, altri rivestirono incarichi direttivi nella Moi o furono il contatto tra la Moi e il Pci.

Fucilazioni

A Parigi sono alcuni Affaires, i processi organizzati dai nazisti contro i resistenti, a testimoniare l’impegno degli italiani nelle file della resistenza sia armata sia civile. Sciolto il Patto Molotov-Ribbentrop con l’attacco di Hitler all’Unione sovietica, il partito comunista in Francia organizzò la lotta armata contro nazisti e collaborazionisti: una prima formazione armata fu l’Organisation spéciale (Os), lo stesso fece la Moi creando gruppi divisi per nazionalità, l’Organisation spéciale della Moi.

L’ex brigatista Carlo Pozzi è il primo italiano dell’Organisation spéciale della Moi fucilato a Parigi per distribuzione di stampa sovversiva nel dicembre del 1941. Nel marzo 1942 il processo della Maison della Chimie, porta alla fucilazione di 24 partigiani dell’Os stranieri e francesi, coinvolgendo tre italiani ex brigatisti, Riccardo Rohregger e Mario Buzzi, accusati di avere creato involucri di esplosivi per l’Os, e Spartaco Guisco, per l’uccisione del capo della Kommandatur di Nantes nell’ottobre del 1941.

Franchi tiratori

Nell’agosto del 1942 l’Affaire Tintelin, contro la propaganda e diffusione di stampa comunista, coinvolse Vittoria Nenni, insieme al marito Henry Dabeuf e all’italiano Riccardo Boatti. L’Affaire si concluse con la fucilazione di 88 persone tra le quali Dabeuf e Boatti e la deportazione di Vittoria Nenni ad Auschwitz dove morirà di tifo.

Dalla primavera del 1942 l’organizzazione armata Os si ristruttura dando vita ai Francs-Tireurs et Partisans (Ftp) animati dai francesi e dagli stranieri della Moi. Tra il 1942 e il 1943 i Ftp colpiscono costantemente le forze di occupazione e collaborazioniste, organizzano attentati, sabotaggi e deragliamenti. La repressione è spietata e sono centinaia gli ostaggi che vengono fucilati per rappresaglia.

Braccati

I Ftp sono braccati dalla Gestapo, dalla Wehrmacht e dalla polizia francese, la Brigade spéciale. Quest’ultima riuscì ad arrivare al dirigente politico della Moi, il polacco Dawidowitch che, arrestato, rese possibile la cattura degli ultimi Ftp-Moi, nel novembre del 43. Cadranno così i ventenni Rino Della Negra e Spartaco Fontanot coinvolti con altri tre italiani nell’affaire dell’Affiche Rouge. Nella locandina di colore rosso, che fu attaccata dai nazisti su tutti i muri di Parigi per screditare la resistenza, vi erano i volti, i nomi, e le azioni di alcuni Ftp, descritti come stranieri, ebrei e terroristi. L’affaire si concluse con la fucilazione al Mont Valerien di 23 giovani armeni, polacchi, ungheresi, francesi, spagnoli e italiani e la decapitazione di Olga Bancic.

Storie simili a quelle dei Ftp italiani di Parigi si trovano a sud della Francia, nella zona libera governata dal regime di Vichy e occupata dai tedeschi a partire dal novembre 1942. Qui i Ftp italiani furono diretti da esponenti di primo piano del partito comunista italiano come la Noce e Clocchiatti. Il livornese Barontini guidò varie azioni di guerriglia nella città di Marsiglia prima di rientrare in Italia e organizzare i Gap. Nicoletto guidò un gruppo di Ftp italiani a Cap d’Ail nella zona occupata dai fascisti.

Nel tolosano fu attiva la 35e brigade Ftp-Moi dal 1942 al 1944. Ne fecero parte i ventenni Enzo Godeas e Rosina Bet entrambi trucidati dai nazisti nel marzo del 44. Il sedicenne Leon Landini nel 1942 entrò nei Ftp-Moi e realizzò molte azioni fra cui l’attacco di una caserma dell’esercito italiano nel Frejus nel marzo del 1943, nel 1944 passò al Battaglione Moi Carmagnole-Liberté di Lione.

L’insurrezione finale

L’azione dei partigiani Moifu resa possibile da una consistente rete di supporto. Antifascisti che procurarono documenti falsi, trasportarono armi e stampa, nascosero ebrei e partigiani, liberarono i soldati italiani della IV armata tenuti prigionieri dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943. In questa vasta attività di sostegno furono molte le donne ad essere protagoniste. A Parigi, ad esempio, Elgina Pifferi e Sparta Fontanot furono due strette collaboratrici dei Ftp italiani.

Nell’agosto del 44 al momento dell’insurrezione della capitale francese, molti italiani parteciparono ai combattimenti per liberare la città come avvenne anche in altre città francesi. La chiamata all’insurrezione degli italiani fu diretta dai leader dei partiti esuli antifascisti riuniti fin dal 1943 nel Comitato italiano di liberazione nazionale in Francia che collaborò con il Cnre che dal gennaio 1944 iniziò a stampare il giornale Italia Libera. Secondo i documenti del Ciln si stimano in 20mila i partecipanti italiani all’insurrezione finale della Francia; 800 il numero delle unità nei Fto e 2000 i “morts pour la France”.

Nel dopoguerra gli italiani, che furono coinvolti in vari modi nella resistenza francese, continuarono il loro impegno antifascista animando l’associazionismo resistente per il riconoscimento dei diritti dei resistenti stranieri e della trasmissione della loro memoria che il potere politico francese, sia gaullista che comunista, tese a ignorare fino agli anni Ottanta. L’associazione dei garibaldini di Parigi con altre associazioni organizzò la commemorazione in ricordo dei caduti dell’Affiche Rouge per diffondere la memoria del contributo degli emigrati stranieri alla resistenza francese.

Eva Pavone è una storica italiana. A questi temi è dedicato un volume di prossima pubblicazione sul ruolo degli italiani nella resistenza in zona occupata.

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