Storia vera. Un bambino nasce in una famiglia che non si può definire povera, ma neanche benestante. Una famiglia che non gli fa mancare nulla, ma che non potrà un giorno aiutarlo a comprarsi una casa, o mantenerlo a lungo. Il bambino, da adulto, dovrà cavarsela da solo, insomma. Questo per quanto riguarda i soldi.

Per quanto riguarda il livello culturale, i genitori non hanno in casa quella marea di libri che definisce una determinata classe socioculturale. Ma sono persone intelligenti. Danno importanza all’istruzione.

Il loro figlio sin dalle elementari mostra un intelletto notevole. Il suo vocabolario è ricco, il suo cervello assorbe qualsiasi forma di conoscenza, gli insegnanti lo celebrano. Alla fine delle medie gli dicono “Alle superiori potrai iscriverti dove vuoi”. E lui sceglie il classico, perché gli pare sia la scuola più dura. Si diploma con il massimo. Si iscrive a Lettere, forse? In realtà no, si iscrive a Fisica. Il fatto è che il suo cervello va realmente più veloce degli altri. Per un cervello così, Fisica è sempre attraente.

Si laurea in corso, con lode, ma già verso la fine dell’università sente che qualcosa gli si è spento nel cuore. Non capisce bene cosa farà, da tempo sa che restare in università sarà quasi impossibile. Qualcuno gli spiega che potrebbe cambiare città, o addirittura andare all’estero. Uno come lui, all’estero, potrebbe avere molte opportunità. Potrebbe persino andare a Londra a fare il trader sui mercati finanziari, e diventare ricco. Le persone con una solida formazione quantitativa sono amate dalla finanza. Il problema è che lui non se la sente, ma poi, scusa, come dovrebbe fare?

Non è in grado di capire come si deve muovere, va bene studiare, va bene essere intelligenti, ma saper trovare le soluzioni esistenziali furbe è un’altra cosa. E poi ama la sua città, vuole stare vicino ai genitori, ha gli amici, le abitudini. Si tratta di scegliere, ecco il famoso bivio.

Passano alcuni anni e lo troviamo perfettamente immerso nel precariato. Vive con i suoi, dà ripetizioni ai ragazzini, ha un principio di depressione. Qualcosa, evidentemente, è andato storto. Non solo per lui, ma anche per noi, come società: avevamo fra noi una persona intellettualmente dotata, come abbiamo potuto lasciare che si avvitasse così?

Ora immaginiamo che questo ragazzo, ormai uomo, incontri Daniela Santanchè o Giorgia Meloni. Immaginiamo che racconti loro la sua storia. Cosa gli diranno? Non so. Magari niente. Magari sussurreranno: “Non dovevi fare il liceo, dovevi fare l’alberghiero, perché così avresti trovato lavoro”. Il governo sembra in effetti portare avanti questo messaggio. È un messaggio sbagliato? Secondo me non sbaglia chi, per passione, sceglie l’alberghiero (o qualsiasi altra scuola), ma non credo che nessun percorso (neppure il liceo) debba diventare una scelta obbligata.

Penso che un paese non possa ignorare la varietà dei propri talenti solo perché sembra offrire soprattutto Turismo e “Made in Italy”. Davvero siamo capaci di immaginarci unicamente come ristorante o albergo dell’umanità? I paesi principalmente turistici sono, come noto, luoghi poco entusiasmanti per chi ci vive.

Ci troviamo in un momento storico di grande incertezza, in Italia, ma anche altrove. I genitori pensano al futuro dei figli con apprensione. Un po’ sono genitori ansiosi come tratto generazionale, un po’ sono impauriti dall’intelligenza artificiale che modificherà il mercato del lavoro, un po’ sono preoccupati dalla competizione fortissima che ormai anima qualsiasi professione.

Chi ha i soldi, come sempre, prova a buttarli sul problema (non c’è come dare soldi in pasto a un problema per illudersi di risolverlo): diplomi internazionali, anni all’estero, opportunità. Se andrà bene, andrà molto bene, l’appartenenza all’élite sarà salva. Se andrà male, la prole dilapiderà il patrimonio. Brutta cosa, ma non mortale. E chi invece i soldi non li ha?

Deve sperare che i propri figli aderiscano con entusiasmo all’Italia turistica e alimentare promossa dal governo? Non c’è possibilità di immaginare un paese con sorti più variegate dal punto di vista industriale, culturale, tecnologico? Forse immaginare richiede, politicamente, troppa fatica.

Se provi a dire che i ricchi di norma non fanno l’alberghiero, qualcuno risponderà: “Ma io conosco figli di ricchi veneti o bresciani che lo fanno”. Poi salta fuori che parliamo di gente che lo possiede, un albergo. O che ha in programma di aprire un ristorante per il figlio dopo il diploma.

Dubito che Daniela Santanchè abbia in mente queste persone già ben piazzate, quando va a caccia di camerieri per il futuro del nostro paese.

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